LA NATURA UTOPICA DI GAIA E LE MERAVIGLIE DELLA TERRA

Se siamo ancora in vita – come specie umana – è perché batteri e virus hanno un precipuo, evidente interesse alla nostra sopravvivenza. Ciononostante, siamo pur sempre stati in grado di misurare qualcosa di imperscrutabile come il moto dei corpi celesti e di partire alla scoperta dell’universo. Ciononostante siamo in grado di modificare profondamente il paesaggio terrestre e produciamo arte e cultura.

La domanda di fondo è: può un’energia così insignificante e casuale come quella della vita avere influenza su un pianeta tanto enorme come la Terra? Ecco, forse proprio questo è uno dei segreti di Gaia, cioè della Terra stessa: dovunque è possibile riconoscerne parti – avrei dovuto chiamarle correttamente gilde – che dimostrano l’esistenza di un superorganismo autoregolato unico e nello stesso tempo frutto della interconnessione globale fra vita, suolo, oceano e atmosfera. In questo quadro puramente fisico gli uomini hanno importanza solo in quanto “organismi respiratori straordinariamente prolifici”: non è poco, forse, ma non è certo tutto. L’uomo non è al centro dell’universo – come i risultati della sua avventura intellettuale potrebbero far pensare -, ma certo ne è uno degli aspetti più complicati e non ancora interamente svelati. Il suo percorso merita forse un’attenzione maggiore di quella eventualmente dedicata ai batteri, ma la sua importanza è solo di contesto, come giustamente potrebbe far rilevare Gaia, se potesse parlare.

In effetti, in qualche modo, Gaia ci parla e attraverso le sue rocce e le trasformazioni continue cui sottopone la “realtà fisica” ci consente di delineare un quadro d’insieme in cui uomini e piante hanno “radici” negli oceani e nell’atmosfera, oltre che nel suolo, e se è vero che non esisterebbe vita senza aria e terra, è pur vero che non ci sarebbero suoli e atmosfera se non ci fosse la vita. Questo è uno dei segni più forti di questa integrazione sistemica che coinvolge l’intero pianeta come fosse un gigantesco organismo, fatto di parti che si evolvono, ma non evoluto, almeno in senso darwiniano, esso stesso, anzi, piuttosto unico.

Gaia è una pellicola sottile eppure cruciale fra il mondo di Vulcano e quello di Elio e, seppure non in grado di arrestarli, è in grado di cambiare l’intensità del flusso geodinamico interno (Vulcano) e di quello solare esterno (Elio), governando essa stessa l’evoluzione delle gilde e dei cicli geochimici da cui è composta. Tutto avviene attraverso gigantesche cellule di ricircolo di materia e cascate di energia che hanno operato per milioni di anni e che continueranno ad operare – questo è certo – anche se l’uomo dovesse condannarsi a una sempre più probabile autodistruzione. Se consideriamo la massa di tutti i batteri oggi esistenti si ottiene una somma che è circa 70 volte superiore a quella della Terra (pure enorme); se la confrontiamo con quella di tutte le argille dei suoli del mondo (in questo caso si arriva a migliaia di volte) e poi consideriamo quella degli uomini, potremmo renderci facilmente conto di dove sia l’errore “di sistema” della nostra mente irrimediabilmente antropocentrica.

E’ come se assistessimo a una sostituzione di paradigma rivoluzionaria: dall’uomo vitruviano o, se volete, parmenideo, misura di tutte le cose (una conquista filosofica che si rivela sempre più come un danno, dal punto di vista della Terra) all’uomo tutt’uno con il mondo naturale: non dominatore né demiurgo, solo partecipe. Forse siamo alla fine delle antinomie speciosamente antropocentriche: non ci sarà più l’uomo contrapposto all’animale, o la cultura contrapposta alla natura, magari per dominarla (come se fosse poi possibile).

Ci siamo comportati per secoli come se l’ambiente fosse una risorsa, il mero contenitore fisico dei minerali, del petrolio, dell’acqua o del paesaggio, lo scenario di cui fanno parte le piante e tutti gli animali. Tutti tranne uno, quello che una mano invisibile aveva posto – chissà perché – al centro di un meccanismo evolutivo di cui era l’insostituibile fulcro. Abbiamo creduto che l’ambiente fosse il luogo dove vive l’uomo, non il sistema cui l’uomo indissolubilmente appartiene: una visione distorta che si è tramutata in un tragico errore di prospettiva.

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