Arte: specchio e voce del cambiamento

“Una vita nel buio, una vita di impegno per essere considerata alla pari degli altri e finalmente una laurea in Legge. Un tailleur grigio, camicia bianca e così inizio il lavoro da sempre sognato ma un collega mi ha violentata e nel buio del mio mondo mi ha sussurrato: sei una povera cieca”.

Questa è solo una delle tante didascalie- tradotte in italiano, inglese, spagnolo e francese – che si possono leggere accanto agli abiti presentati alla mostra itinerante dal titolo “Com’eri vestita?”.  I capi di abbigliamento in esposizione rappresentano, fedelmente, cosa indossava la vittima quando ha subito la violenza. L’obiettivo di questa mostra è quello di scardinare lo stereotipo secondo il quale la donna avrebbe potuto evitare la violenza se avesse indossato vestiti meno provocanti. 

Questo progetto nasce negli Stati Uniti, nel 2013, da un’idea di Jen Brockman, direttrice del Centro per la prevenzione e formazione sessuale dell’Università del Kansas, e di Mary A. Wyandt-Hiebert responsabile del Centro di educazione contro gli stupri dell’Università dell’Arkansas. Dopo aver ascoltato la poesia della dottoressa Mary Simmerling “What I was wearing”(Cosa stavo indossando), le due donne hanno pensato a un modo per riprodurre in maniera visibile e tangibile quanto riportato nel poema. Da qui la decisione di esporre in una mostra gli outfit delle donne vittime di violenza sessuale. 

L’esposizione ha riscontrato un grande successo, tant’è che è stata diffusa anche in Italia dall’Associazione Libere Sinergie, che la ripropone riadattandola al contesto socio culturale del nostro Paese. Libere Sinergie nasce con l’obiettivo di sviluppare una cultura contro gli stereotipi e i pregiudizi sulle donne, al fine di contribuire alla creazione di una società in cui possano essere garantite pari opportunità sia nell’ambito privato sia in quello pubblico. 

La tuta da ginnastica, il grembiule delle pulizie, la t-shirt abbinata ai jeans, questi sono solo alcuni dei diciassette outfit esposti all’interno di questa mostra. Capi di abbigliamento comuni, che ogni donna ha nel proprio armadio o che indossa quotidianamente. Ed è proprio la “semplicità” di questi abiti che suscita nei visitatori reazioni molto forti, portandoli spesso a identificarsi nelle storie narrate. Tuttavia, non è quel vestito, quel jeans o quella maglietta la vera causa della violenza. Non è eliminando alcuni capi di abbigliamento che le donne posso salvaguardarsi da un abuso. 

Come afferma la Brockman, è la persona che compie la violenza a causare il danno. Ecco perché il progetto ha come obiettivo quello di rendere il pubblico e la comunità consapevoli del fatto che l’abbigliamento non può e non deve essere considerato la causa di uno stupro.

“Era un mio compaesano, voleva aiutarmi perché non avevo il permesso di soggiorno e l’idea di pulire la sua casa e curare i suoi figli mi rendeva felice. (…). Quando la moglie usciva iniziava il mio calvario, mi violentava e ogni volta che cercavo di scappare mi picchiava. La prima volta che è successo indossavo un paio di pantaloni e un maglione”. Quei pantaloni e quel maglione che diventano simulacro della violenza subita, che perdono quell’aspetto di normalità e quotidianità. 

Gli abiti esposti sono appesi a delle grucce, come se fossero in un armadio, pronti per essere indossati. Tra i tanti capi di abbigliamento in esposizione c’è anche la riproduzione del pigiama indossato dalla diciannovenne Jessica Valentina Faoro quando, nel Febbraio 2018, venne uccisa a coltellate dal tranviere che le aveva dato ospitalità nella sua abitazione a Milano. Jessica è morta perché si è ribellata all’uomo che ha cercato di abusare di lei. 

In questo allestimento semplice ma evocativo, la domanda “Com’eri vestita?” riecheggia davanti ad ogni abito. Tre parole che puntualmente, in tutto il mondo, le donne vittime di violenza si sentono rivolgere dopo la denuncia di stupro. “Ricordo anche com’era vestito lui quella notte…- scrive Mary Simmerling al termine della sua poesia- Sebbene nessuno me lo abbia mai chiesto”.  

Questo progetto è l’ennesima dimostrazione che attraverso l’arte e la cultura è possibile affrontare temi che hanno una grande importanza a livello sociale. Ed è questa consapevolezza che ha portato l’associazione @uxilia a investire in iniziative di carattere culturale organizzando e realizzando, tra le tante attività, rappresentazioni teatrali, spettacoli musicali e mostre. Eventi che aiutano le persone a riflettere, non solo sulla propria esistenza ma anche sulla realtà che le circonda. Tra le tante iniziative dell’associazione ci sono anche quelle ispirate ai principi di pari opportunità tra uomini e donne, che vengono perseguiti e possono essere raggiunti anche attraverso l’arte. D’altronde, l’arte è lo specchio e la voce dei cambiamenti che stanno avvenendo nella nostra società. 

Massimiliano Fanni Canelles

Viceprimario al reparto di Accettazione ed Emergenza dell'Ospedale ¨Franz Tappeiner¨di Merano nella Südtiroler Sanitätsbetrieb – Azienda sanitaria dell'Alto Adige – da giugno 2019. Attualmente in prima linea nella gestione clinica e nell'organizzazione per l'emergenza Coronavirus. In particolare responsabile del reparto di infettivi e semi – intensiva del Pronto Soccorso dell'ospedale di Merano. 

Tags:

Rispondi