NET NEUTRALITY: CONCETTO GIUSTO DA RIPENSARE ALLA LUCE DELL’OGGI

E’ UN PRINCIPIO “SUPERATO” QUELLO DELLA NATURA SUPER PARTES DELLA GRANDE RETE? ADDIRITTURA DA ABOLIRE? CANCELLARLO NON RISOLVE I PROBLEMI, MA LI RETRODATA, RESUSCITANDO QUELLI PRECEDENTI, A COMINCIARE DALL’ECCESSIVO POTERE CONDIZIONANTE DI CHI POSSIEDE E GESTISCE LE RETI.

Cambiare le cose sbagliate è giusto e doveroso, ripensare quelle giuste può essere fastidioso, ma necessario. Fra queste, il concetto di net neutrality, già messo in discussione nel mondo, quello statunitense, dove prima si affermò.

Per net neutrality s’intende il principio secondo cui la rete di telecomunicazione è neutrale rispetto ai contenuti che trasporta. Concetto giusto, nato per evitare che il gestore della rete approfittasse della propria posizione di forza per vendere o far prevalere i propri servizi rispetto a quelli offerti da altri o, se si preferisce, per impedirgli di far viaggiare i propri contenuti in modo privilegiato rispetto a quelli di altri. Giusto. Però l’evoluzione è stata così rapida che, nel giro di pochissimo tempo, ne sono derivate due conseguenze:

a.) la quantità di contenuti scambiati è enormemente cresciuta, ma si è tenuti a farli viaggiare tutti alla stessa velocità, sicché un messaggio con “sos” potrebbe doversi mettere in coda rispetto a uno “tvb”; b.) la ricchezza del mercato dei contenuti si è impennata, mentre quella delle reti si è depauperata. Una volta, possedere la rete era essenziale, ora è marginale. Ne risulta che la crescita tecnologica resta essenziale allo sviluppo delle telecomunicazioni e anche al mercato dei contenuti, ma investirvi era troppo remunerativo un tempo, troppo poco oggi.

Ergo, la net neutrality resta un principio giusto, ma deve essere ripensato alla luce dei fatti. Non a caso, come accennato, proprio negli Usa la Fcc (Federal communication commission, il loro regolatore indipendente) l’ha già archiviato, anche se, al momento, più sulla carta che nella realtà. Ciò perché cancellare la net neutrality non risolve i problemi, ma li retrodata, resuscitando quelli che avevamo prima, a cominciare dall’eccessivo potere condizionante di chi possiede e gestisce le reti.

Si cammina sulle uova. Per questo propongo degli interrogativi.

1. È accettabile che un privato stabilisca cosa debba arrivarmi prioritariamente e più velocemente? Non credo proprio.

2. È meglio che a farlo sia un gestore pubblico o una pubblica autorità? Nemmeno, qui il problema non è se una simile decisione è bene sia presa da un privato o da un pubblico, ma se sia sano che sia presa.

3. È accettabile che sia io a stabilire cosa mi interessa avere prima e più velocemente? Certo, ma siccome non è pensabile che debba o possa farmi una rete per i fatti miei, stiamo parlando di due tipologie di rete (non necessariamente distinte dal punto di vista fisico): una neutrale, capace di creare ricchezza più per chi immette contenuti che per chi li trasporta; l’altra sottoposta ai desideri del consumatore, quindi per lui più costosa. Ed è qui che ci troviamo a dover decidere:

(a) una rete libera e neutrale, che si impoverisce e consente la nascita di oligopoli globali, come quelli dei motori di ricerca; (b) una sottoposta all’indirizzo di chi la gestisce o di chi la regola; (c) una che consegna questo potere al consumatore, chiedendogli, però, di pagarlo. La terza è la soluzione che mi convince di più, sebbene porti con sé l’inevitabile divisione fra chi paga e chi no, favorendo i primi. Basterebbe, però, salvare i contenuti didattici e l’uso nelle scuole per rendere accettabile questa conseguenza collaterale. Le scuole italiane non hanno questo problema: comperiamo ancora quintali di libri di testo, a dimostrazione che l’evoluzione ha certo dei problemi, ma l’involuzione ne ha di peggiori.

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