Centomani: “Non regaliamo gratis i gradi di camorrista”

Giuseppe Centomani, dirigente del centro di Giustizia minorile per la Campania, analizza il complesso rapporto fra il mondo giovanile e la criminalità organizzata. “Non sempre è la camorra a reclutare: spesso i giovani ne sfruttano il nome”

Giovanni Taranto

Adolescenti e criminalità organizzata in Campania. Quanto è profondo oggi il rapporto malato fra camorra e giovanissimi? Che proporzioni ha assunto il reclutamento dei minorenni fra le fila dei clan? E quanto pesano, nello scenario criminale, la presenza e l’azione dei nuovi gruppi criminali formati quasi esclusivamente da minori? Giuseppe Centomani, dirigente del Centro di Giustizia minorile per la Campania, ha le idee molto chiare sulla natura del fenomeno che sembra vedere in strada sempre più ragazzi armati e pronti a delinquere.
E lo descrive come molto più complesso di quel che potrebbe apparire. “Questa non è altro che l’espressione in determinati contesti a rischio di fenomeni che interessano tutti i giovanissimi. Non bisogna dimenticare che questi sono adolescenti del 2017. Che, però, subiscono in maniera diversa le possibili degenerazioni che interessano tutti i ragazzi della loro età e che influiscono negativamente sulle competenze emotive, sulla capacità di autocontrollo e su quella di riconoscere negli altri la sofferenza. I costrutti culturali sono gli stessi per tutti gli adolescenti e in tutti, ad una certa età, si manifesta il desiderio di affermazione. Oggi, spesso, con la voglia di ostentare ricchezza, con l’esasperazione dell’apparenza”.

Come accade, dunque, che, in alcuni casi, si arrivi al crimine violento e alla nascita di gruppi armati e strutturati?
“Il problema è che, in contesti differenti, i medesimi fenomeni soffrono di condizionamenti differenti. Gli strumenti di decodifica degli adolescenti sono diversi a seconda degli ambienti in cui sono immersi. E il livello di devianza si manifesta in maniera differente. In un ragazzo della “Napoli bene” si paleserà con comportamenti socialmente deprecabili, ma senza sfociare nella violazione penale. I ragazzi dei quartieri più a rischio, invece, hanno spesso meno strumenti sul piano culturale per filtrare messaggi e contesti e poter esprimere la loro naturale devianza adolescenziale in maniera meno critica”.

La “forbice” fra i tipi differenti di manifestazione di questo disagio è talmente ampia da comprendere espressioni forti, ma non dannose, e il crimine armato?
“In un contesto più agiato e meno problematico, il normale livello di trasgressione si esprime attraverso l’ostentazione di potere sotto forma di abiti griffati, orologi di marca, mini auto. In ambienti a rischio, l’adolescente lo esprimerà anche attraverso un abbigliamento particolare, ma, soprattutto, attraverso gli strumenti raccattati nel suo contesto. Fra cui, magari, le armi”.

Stessa pressione, modi differenti di esprimere la naturale esigenza di trasgressione…
“E’ così. In determinati ambienti manca la consapevolezza che non tutto quello che è pensabile si possa anche fare. Se vedi una bella ragazza non è che puoi saltarle addosso. Se vuoi la bella moto non puoi rubarla. Ma, per determinati contesti culturali, a molti adolescenti risulta difficilissimo separare il pensabile dal fattibile. Così, a volte, si innescano fenomeni di comportamento criminale che costituiscono un costrutto distorto rispetto anche al concetto di camorra”.

Si delinea un panorama molto complesso. Con casi abissalmente differenti agli estremi. Ma anche tutta una serie di espressioni intermedie che non è facile decodificare. Come legge la situazione?
“Credo che, attualmente, dei minori coinvolti in Campania in fatti di una certa gravità criminale solo una piccola parte sia stata o venga reclutata dalla camorra. In buona parte, invece, sono questi giovanissimi che utilizzano linguaggi e strumenti propri della camorra per soddisfare “qui e ora” dei loro bisogni improcrastinabili. Vogliono tutto e subito. Hanno scoperto che con le armi e la violenza si può conquistare un angolo di piazza, un vicolo protetto dagli sguardi delle forze dell’ordine per poter esercitare lo spaccio di droga”.

Insomma, potrebbe sembrare camorra, ma non lo è?
“Sono adolescenti, questi, che fanno cose che potrebbero sembrare proprie della criminalità organizzata, ma, in realtà, per quanto possiamo comprendere, agiscono in maniera incontrollata e incontrollabile. Le loro azioni criminali sono finalizzate a soddisfare ciò che percepiscono come un bisogno, e lo fanno addirittura in contraddizione con quella che potrebbe essere definita la cultura camorristica. Non regaliamo gratis i “gradi” di camorrista a nessuno”.

Esiste, dunque, una vera contrapposizione dei due mondi: quello delle nuove “paranze dei giovanissimi” e quello della camorra vera e propria…
“La camorra non gradisce attenzione. Non vuole attirare le forze dell’ordine nella propria zona di influenza. Si sforza, addirittura, di mantenere una pax camorristica con altri clan per non far scattare indagini, per non destare l’attenzione dell’opinione pubblica. Culturalmente, la camorra non si vuol porre in contrapposizione con la popolazione dei quartieri in cui opera. Anzi, si presenta come protettrice, alleata, contigua alla popolazione, dalla quale vuole essere coperta e che, spesso, ha pensato “la camorra ci fa campare”. La camorra agisce strategicamente, proiettandosi sul lungo periodo con piani di espansione militare, economica.
Ha una visione a lungo termine”.

…e questi gruppi di giovanissimi?

“Questi ragazzi che hanno scelto la strada del crimine armato sono, invece, violenti contro la comunità, che intimidiscono e non esitano a danneggiare. Commettono, senza pensarci troppo, atti clamorosi che attirano le forze dell’ordine. Non hanno capacità strategiche, né visione a lungo termine. Combattono, sparano per avere qualcosa qui e ora. Ammazzano o rischiano di uccidere per un fine immediato, i cui effetti, il più delle volte, svaniscono in brevissimo tempo. Non hanno capacità di mantenere pace o rapporti: le alleanze fra questi gruppi di giovanissimi criminali sono fluide e sempre in divenire. Qualcuno ha parlato di camorra liquida. Oggi sono alleati, domani si scontrano. Insomma, questo non è un fenomeno di matrice camorristica, ma un fenomeno giovanile violento e criminale. Questi adolescenti utilizzano strumenti, cultura e linguaggi della camorra, ma non sono la camorra”.

camorra intervista centomani
Chi sfrutta chi, dunque?
“Paradossalmente, analizzando bene il fenomeno, si potrebbe dire che la camorra non usa e non sfrutta questi adolescenti che delinquono. In un certo senso, è il contrario, con il loro saccheggiare linguaggio e metodi della criminalità organizzata vera e propria. Spesso, si pensa genericamente al concetto dei poveri ragazzi sfruttati dalla criminalità organizzata. Ce ne sono, certo. Ma qui parliamo di altro. Di adolescenti imbevuti di cultura camorristica che, però, si comportano in modo antitetico rispetto alla camorra stessa”.

E la camorra “vera” come si pone nei confronti di questo fenomeno?
“Un importante boss pentito ha riferito ai magistrati che questo tipo di organizzazioni giovanili da una parte sono funzionali agli scopi della camorra, perché, con le loro azioni avventate ed eclatanti, distolgono l’attenzione dai veri clan, ma che, in fondo, si tratta di quattro fessi. Volendo, sarebbe facile eliminarli velocemente e farli sparire sciogliendoli nell’acido. Ma la camorra vera si serve di loro e li sfrutta per vie traverse, pur senza assorbirli e renderli organici. Li mette gli uni contro gli altri. Li fa ammazzare fra loro. Li sobilla per tenerli sotto controllo e per far concentrare su di loro le indagini delle forze dell’ordine”.

Insomma, la situazione è molto complessa. Non si può, più semplicemente, dare la lettura classica della camorra che sfrutta gli adolescenti.
“Nei documenti ufficiali che redigiamo come servizi di giustizia minorile, in effetti, oggi si legge che non esiste un vero e proprio reclutamento in massa dei minorenni da parte della camorra. Il fenomeno c’è, ma rappresenta solo una minima parte della realtà. Esiste reclutamento vero e proprio, esiste affiancamento, scimmiottamento e poi ci sono fenomeni di appartenenza”.

Insomma, qualcuno viene scelto, qualcuno nasce in ambienti che quasi lo destinano ad una vita nel clan…
“Il reclutamento vero e proprio avviene in maniera abbastanza limitata, soprattutto in casi limite, ad esempio da parte di clan decimanti da guerre camorristiche o dalle forze dell’ordine, magari con i boss reclusi da tempo e quasi più nessuno sul campo. Ecco che, allora, il bisogno di manovalanza fa sì che si reclutino anche minorenni pur di restare operativi in qualche modo. Reclutamento che avviene fra ragazzi già prossimi alla cultura camorrista. Altri minorenni, entrano, invece, a far parte organicamente dei clan per appartenenza: i figli dei boss o degli esponenti di spicco delle cosche.
Ragazzi che hanno quasi un destino segnato e vengono cresciuti per assumere un ruolo nella famiglia.
Parallelamente, invece, c’è chi, nella sfera di influenza dei clan, non è nato e cresciuto, né è stato scelto per l’arruolamento, ma sembra quasi, ingenuamente, crogiolarsi nell’atteggiarsi a camorrista…
“Esistono anche fenomeni di scimmiottamento degli schemi camorristici da parte di alcuni gruppi di adolescenti che credono di fare i camorristi senza esserlo, e non hanno neppure la capacità di agire secondo gli schemi della criminalità organizzata. Delinquono, compiono crimini anche gravi, ma restano al di fuori di quella che può essere identificata come camorra”.

…e poi c’è chi sembra associato alla camorra, ma non lo è, pur avendo una sorta di identità nebulosa, delineando una nuova figura nello scenario criminale, probabilmente non meno critica e pericolosa di quella del camorrista…
“La gran massa di adolescenti che viene in contatto con il crimine e gli ambienti camorristici entra in questo vortice per un processo di affiancamento. Sono i ragazzi delle cosiddette paranze dei bambini. Organizzazioni che non esistono neppure materialmente, non hanno struttura organizzata secondo schemi camorristici veri e propri. I camorristi le chiamano “paranze degli scemi”. Giovanissimi che affiancano la camorra, ma non sono targati camorra. Spesso, sono ancora legati a valori infantili e infantile è la parte buona del loro vissuto. Giurano “su mammà”. Qualcuno parla di “mammorristi”. Ma sono solo sfruttati dalla camorra vera e destinati ad essere decimati da questa o dalle forze dell’ordine. La camorra vende loro le armi e procura loro la droga da consumare o spacciare. E’ un loro fornitore, ma non viene certo rappresentata da loro. E, se anche la camorra volesse reclutarli, quegli adolescenti, con la convinzione (erronea) di poter acquisire potere da soli, preferiscono non sottomettersi e restare autonomi. Sbagliando totalmente i calcoli, perché potrebbero essere annientati in un soffio.
Ma loro hanno una sorta di sensazione di onnipotenza. Il che, a volte, li rende anche più pericolosi della camorra: agiscono d’impulso, senza freni, senza valutare conseguenze. Né per la vita altrui, né per la propria. Il che, spesso, ne decreta una tragica fine”.

Giovanni Taranto, giornalista professionista, esperto di cronaca nera e giudiziaria e collaboratore di SocialNews

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