La vittima di tratta è un rifugiato, una nuova conquista

Il Tribunale di Salerno, con ordinanza del 2 febbraio 2017, ha riconosciuto lo status di rifugiata ad una cittadina nigeriana vittima di tratta, una novità nell’ambito dell’applicazione della normativa su migranti e richiedenti asilo.

La tratta di esseri umani ha come principale obiettivo quello di trarre profitto dallo sfruttamento delle persone ed è una pratica proibita dal diritto internazionale. In un numero crescente di Stati, inoltre, è punita penalmente dalla legge, inoltre è dovere di ciascun governo contrastare il fenomeno della tratta e proteggere e assistere le vittime di questo. La tratta non comprende solo la commercializzazione del sesso e delle donne, ma rientrano in questa categoria anche il lavoro o i servizi forzati, schiavitù o pratiche simili, asservimento o prelievo degli organi ed altre pratiche analoghe, che rendono l’essere umano merce di scambio inanimata e senza dignità.

dichiarazione universale dei diritti dell'uomo articolo 4 socialnews tratta

Nonostante gli effetti degradanti di queste azioni ormai antiche e diffuse, non tutte le vittime di tratta rientrano nell’ambito della definizione di rifugiato, non potendo così richiedere agli Stati dove cercano rifugio la protezione internazionale.

L’Alto Commissariato per i rifugiati ha sviluppato una serie di linee guida di protezione internazionale per l’applicazione dell’articolo 1A(2) della Convenzione di Ginevra del 1951 relativa allo statuto dei rifugiati, evidenziando come le vittime o le persone a rischio di tratta possono rientrare nella definizione contenuta nella stessa Convenzione e potrebbero per questo godere della protezione che spetta a coloro che godono di questo specifico status.  

Il caso della cittadina nigeriana presa in carico dal Tribunale di Salerno è molto importante in questo contesto poiché il giudice, in base alle premesse sopra riportate, ha ritenuto che la richiedente fosse vittima di atti persecutori e che avrebbe potuto subirne ulteriori se fosse rientrata in patria, per questo motivo quindi avrebbe avuto diritto allo status di rifugiata e non al permesso di soggiorno per motivi umanitari, normativa applicata nella maggior parte dei casi in cui le vittime richiedevano una forma di protezione. La legislazione italiana relativa alla lotta alla tratta ai fini dello sfruttamento e della riduzione in schiavitù, è costituita sostanzialmente dalla legge n°228 del 2003, Misure contro la tratta di persone, e dall’articolo 18 del Decreto Legislativo n. 286 del 1998, “Testo Unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero“. È l’articolo 18 del Testo Unico a prevedere il rilascio del permesso di soggiorno per motivi di protezione sociale al fine di consentire allo straniero di sottrarsi a condizionamenti e torture dell’organizzazione criminale di cui è vittima. Questo particolare permesso è provvisorio ed ha durata di sei mesi, rinnovabile per un anno o per un periodo maggiore che non superi comunque i due anni, è inoltre legato alla partecipazione ad un programma di assistenza ed integrazione sociale ed alla possibilità, alla conclusione dell’iter, di poter ottenere un permesso di soggiorno per lavoro o per studio, qualora si è iscritti ad una scuola o università..

stop alla tratta degli esseri umani

Forma di protezione non trascurabile, dunque, anche quella fornita da questo particolare riconoscimento, che ci porta quindi a chiederci perché definiamo un successo il riconoscimento avvenuto per la cittadina nigeriana in questione. Al titolare dello “status di rifugiato” la Questura rilascia un permesso con motivo di asilo politico, ha una durata di 5 anni ed è rinnovabile, consente l’accesso allo studio, lo svolgimento di un’attività lavorativa, l’iscrizione al servizio sanitario e dà diritto alle prestazioni di assistenza dell’Inps e dei comuni. L’individuo è fornito dallo Stato di un documento che equivale al passaporto e, soprattutto, il soggetto può fare richiesta di ricongiungimento familiare per consentire l’ingresso in Italia dei propri familiari, senza essere obbligato a dimostrazioni specifiche richieste ai titolari di diversi permessi di soggiorno.

Il permesso di soggiorno per motivi umanitari, invece, ha una durata minore, solitamente di 6 mesi, ma per motivi specifici può essere prolungato fino a due anni. Questo permette al titolare di svolgere attività lavorativa, di accedere al Servizio Sanitario nazionale, di accedere ai centri di accoglienza dei Comuni e di accedere alla formazione. Il titolare di questo tipo di permesso non può richiedere il ricongiungimento familiare e non può rinnovare il permesso nel momento in cui venga giudicato che la situazione che ne ha motivato il rilascio non sia più verificabile.

 

Differenze minime, apparentemente, ma enormi da un punto di vista di possibilità e tempistiche. Il caso citato si presenta allora come una conquista, in un mondo sempre più caratterizzato dalla deriva dell’umanità e del rispetto di quei diritti che non sono qualcosa di astratto e facoltativo, ma appartengono all’individuo in quanto tale e sono vincolanti nel diritto internazionale e dovrebbero esserlo anche per la morale di ogni persona.

 

Anna Toniolo

Anna Toniolo, nata a Mirano (VE) il 1/marzo/1994. Studentessa al terzo anno di Scienze Politiche, Relazioni internazionali e Diritti Umani all’Università degli Studi di Padova. Viaggiatrice e curiosa incallita, giornalista in erba per passione, combatto per la verità e la giustizia per vocazione. Su SocialNews alimento la mia passione per il giornalismo e la scrittura, alimentando la mia attitudine verso la giustizia e facendo del mio meglio per trasmetterla a chi legge. Cosa sono per me i diritti umani? Sono il filo rosso che unisce ogni essere umano, sono ciò che ci dovrebbe sempre ricordare che, anche se diversi, siamo tutti uguali. Bandite le discriminazioni. 

Tags:

Rispondi