Una riflessione sul tema dell’accoglienza

Accogliamo persone dai Paesi in Via di Sviluppo spesso coinvolte in sofferenze psichiche indotte anche da traumi, partenze ed approdi problematici, spaesamenti, costrizioni nelle carceri, violenze e torture.

Mi permetto di iniziare questi frammenti di riflessione con dei vissuti personali. Fin da ragazzo, mi pare di essere stato attento, sia pure con tutti i limiti, alla storia delle persone, in particolare quelle sofferenti, tribolate, nel corpo e nella mente. Come in ogni comunità, anche nel piccolo paese di Tualis, nelle montagne della Carnia, vivevamo alcune di esse. La loro storia potrebbe essere emblematica del rapporto fra accoglienza e distacco. E’ comunque attraversata dagli interrogativi sulle dimensioni e sui comportamenti “misteriosi” delle persone sofferenti nella psiche. Da allora ad oggi, il percorso è stato lungo e pregnante di presenze e significati. L’attenzione di allora è indubbiamente cresciuta, sempre considerandone umilmente i limiti. Attualmente, è rivolta anche ad alcune persone ospiti del Centro di accoglienza e di promozione culturale Ernesto Balducci di Zugliano (Udine). Una sofferenza psichica indotta anche da traumi, partenze ed approdi problematici, spaesamenti e ricerca di un’accoglienza – che sappia unire la dimensione umana, il rispetto dei diritti ed un riconosciuto e praticato percorso di cittadinanza – costrizioni nelle carceri, violenze e torture. In questi anni, nell’esperienza del Centro Balducci, abbiamo considerato, insieme anche ai servizi psichiatrici del territorio, come le risposte alle sofferenze psichiche delle donne e degli uomini immigrati debbano – proprio per “necessità umana” – conoscere altri universi culturali e simbolici. Dobbiamo progressivamente impegnarci in questa esplorazione, liberandoci da ogni presunzione di superiorità e da ogni giudizio di poca considerazione o, addirittura, esclusione. Si tratta di una dimensione importante dell’incontro con l’altro e con le sue diversità. Richiede informazione, studio, formazione, relazione, confronto, in un procedere sempre in divenire e mai concluso.

Riprendendo alcuni passaggi significativi della memoria storica personale e comunitaria, ricordo, in modo significativo, l’esperienza vissuta in qualità di insegnante di religione all’Istituto Statale d’Arte di Udine in una classe 4^ nell’anno scolastico 1973-1974: il rapporto degli studenti con gli operatori dell’allora ospedale psichiatrico di S.Osvaldo (Udine) e la visita allo stesso. Un vissuto di sconcerto e profonda riflessione da parte dei giovani, impegnati successivamente ad elaborare scritti ed a realizzare manifesti molto eloquenti e significativi sugli aspetti disumani dell’ospedale psichiatrico e sui possibili percorsi di umanizzazione. L’intuizione e l’esperienza del dott. Franco Basaglia sono state straordinarie. Nelle mie percezioni e riflessioni personali, ho avvertito quella rivoluzione come una profezia laica, profondamente umana, sull’uomo e sulla società. La sofferenza psichica racchiude anche, alle volte in modo prevalente ed evidente, la mancanza, il dolore, le tribolazioni delle relazioni umane. La chiusura dei manicomi ha portato all’identificazione del malato con la malattia e con il luogo di segregazione ed emarginazione, con la presunzione che la società dei sani si difenda dai malati relegandoli nei luoghi a loro idonei e fuggendo, in questo modo, illusoriamente, dall’analisi delle cause delle sofferenze della mente. L’intuizione e la prassi operativa di Franco Basaglia, e del movimento che ne è seguito fino a decretare per legge (180) la chiusura dei manicomi, ha riconsegnato alle relazioni umane la sofferenza psichica delle persone, attribuendo alle relazioni la possibilità di accogliere ed accompagnare, condividere fragilità ed intuizioni, dolori e speranze, tenerezze e violenze. L’incontro, quando è profondo e veritiero, è sempre rivelativo: noi tutti, nella sofferenza dell’altro, riconosciamo aspetti della nostra interiorità, nella fragilità le nostre fragilità, negli aspetti difficilmente decifrabili i nostri aspetti più difficili da accettare, nei sogni svincolati da rigide razionalità le dimensioni dei nostri sogni. Noi, personalmente, ci interroghiamo.

E dovrebbe interrogarsi la società tutta per evitare di registrare durezze, violenze, disumanità. Se queste si concretizzano brutalmente in determinate situazioni, di fatto, si preparano, poco a poco, dietro le quinte di una società apparente e vincente che nasconde così spesso aggressività e violenze, malesseri profondi non raccontati per non infrangere i codici ritenuti normali e anche perché mancano luoghi, tempi e, soprattutto, persone disponibili ad accogliere, ascoltare, senza giudicare, accompagnare e sostenere. Le comunità e le esperienze diffuse sul territorio sono importanti perché favoriscono questa rivoluzione e ne diffondono i contenuti. L’umanità sofferente chiede che le esperienze vengano maggiormente diffuse, e con esse il nuovo atteggiamento nei confronti delle persone sofferenti nella psiche e nell’anima perché diventino protagoniste, attive, significative, a se stesse ed agli altri, riconosciute come persone umane. Siamo consapevoli di come la sofferenza psichica ci interpelli sempre nel suo problematico rapporto fra le storie personali, familiari, sociali, fra dimensioni organiche ed uso dei farmaci e fra dimensioni dell’anima e delle relazioni. Il Centro Balducci, nei suoi limiti, cerca di mantenere una relazione con alcune comunità di persone sofferenti nella psiche. Un momento significativo per noi tutti è stata la conclusione del Convegno del settembre 2009, vissuta nell’ex ospedale psichiatrico di S. Osvaldo, raggiunto dopo una camminata di 40 minuti. Un momento di incontro, canto, colori di bandierine ed aquiloni, per affermare a noi tutti ed alla società intera, da quel luogo, un tempo non lontano, di relazione, che la liberazione è in atto. E questo prima di recarci in carcere ad evidenziare come, invece, la liberazione, in quel luogo, non sia ancora iniziata e vada intesa come umanizzazione della pena e ripresa dei percorsi umani dei detenuti. Sono poi diventati appuntamenti importanti la festa di Natale ed alcuni incontri di riflessione, celebrazione e festa da vivere insieme nel centro Balducci. Alcuni gruppi di persone partecipano, a volte, alla celebrazione dell’Eucarestia qui a Zugliano.

Nel regime manicomiale, la religione era spesso funzionale all’umiliazione ed alla segregazione. La fede autentica è, invece, sempre liberatrice, proprio a partire da quel Gesù di Nazareth che incontra le persone che soffrono nella psiche, quelle che il Vangelo chiama indemoniate, sapendo che demonio è colui che divide, scinde, dissocia. Gesù incontra, accoglie, favorisce, riconcilia nell’intimo. Rasserena. Ho vissuto l’esperienza commovente di celebrazioni dell’Eucarestia in cui le persone sofferenti sono state protagoniste con la loro sensibilità, la loro spontaneità, le loro parole rivelative degli aspetti umani più delicati e profondi, senza inibizioni, senza preoccupazione dei possibili commenti, senza maschere di conformismo ed ipocrisia. Continua, quindi, questo cammino di incontri di umanità con l’attenzione e l’impegno volti a favorire l’umanità con l’accoglienza, la premura e la cura nel senso più profondo del termine.

don Pierluigi Di Piazza
Responsabile del Centro di Accoglienza e Promozione culturale ‘Ernesto Balducci’ di Zugliano (UD)

Massimiliano Fanni Canelles

Viceprimario al reparto di Accettazione ed Emergenza dell'Ospedale ¨Franz Tappeiner¨di Merano nella Südtiroler Sanitätsbetrieb – Azienda sanitaria dell'Alto Adige – da giugno 2019. Attualmente in prima linea nella gestione clinica e nell'organizzazione per l'emergenza Coronavirus. In particolare responsabile del reparto di infettivi e semi – intensiva del Pronto Soccorso dell'ospedale di Merano. 

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