Quali strumenti normativi?

Giovanna Melandri

Da una parte, risulta assolutamente condivisibile la preoccupazione dell’industria degli audiovisivi sulla tutela dei propri prodotti; dall’altra, c’è l’altrettanto fondata apprensione degli utenti della rete, i quali temono interventi di tipo censorio e repressivo.

Negli ultimi 15 anni, la transizione digitale ha profondamente modificato le modalità di realizzazione e fruizione dei prodotti audiovisivi. Non si tratta di un semplice salto tecnologico. Le nuove piattaforme costituiscono, a tutti gli effetti, il nuovo lessico della contemporaneità. La digitalizzazione dei contenuti audiovisivi non comporta semplicemente dei miglioramenti nella qualità della riproduzione, ma pone al legislatore diverse questione normative e, soprattutto – mi sia consentito di usare un termine pomposo – questioni etiche. Possiamo pensare di perimetrare il campo dei contenuti audiovisivi digitali utilizzando gli strumenti del secolo scorso? In un’epoca di smaterializzazione dei supporti e dei contenuti, diviene imprescindibile affrontare il nodo legato alla tutela del diritto d’autore e della proprietà intellettuale. Vado subito al cuore della questione. Diversi Paesi stanno mettendo in campo strumenti normativi per tutelare i prodotti audiovisivi dal fenomeno del P2P illegale. Dell’esperienza francese, della Legge HADOPI, si è molto discusso. Il percorso parlamentare per la sua approvazione fu piuttosto accidentato, per usare un eufemismo. Un primo scossone deciso all’impianto della normativa giunse dal Parlamento europeo. Nel corso del dibattito sul cosiddetto Pacchetto delle Telecom, un emendamento presentato dalla Sinistra e dai Verdi, votato a larghissima maggioranza, riconobbe l’accesso alla rete come un diritto fondamentale del cittadino. Il secondo colpo alla legge fu assestato dalla Corte Costituzionale francese. I giudici rilevarono che il meccanismo punitivo della disconnessione minava alla radice il diritto proprio di ciascun cittadino ad esprimersi liberamente. Tale diritto può essere circoscritto solo al termine di un procedimento giudiziario e non attraverso una sanzione decisa da un’autorità delle telecomunicazioni. Ma se la Francia non ride, quali sono state le misure studiate dagli altri Paesi europei per contrastare il download illegale? Nel Regno Unito vige una legislazione punitiva. Un’analisi attenta della riduzione del fenomeno nello United Kingdom fornisce dei dati molto interessanti: in un’indagine sulla fruizione di contenuti digitali illegali tra gli adolescenti, veniva rilevata una sensibile diminuzione del download illegale di brani musicali. Tale dinamica non ha però minimamente influenzato il mercato discografico.

Il motivo è piuttosto evidente: gli adolescenti, così come gli adulti (basta scorrere i profili degli utenti di FB), preferiscono ascoltare direttamente i brani musicali su portali di contenuti audio-visuali come Youtube. Tempo fa, Elton John propose provocatoriamente di chiudere la rete per cinque anni, onde evitare fosse distrutta l’industria musicale. Un’artista socialmente sensibile come Bono Vox accolse con favore la proposta. Altri artisti, tra cui Shakira, si opposero a questa impostazione “neo-luddistica”, sostenendo che, attraverso il P2P, è possibile raggiungere gli utenti economicamente più svantaggiati. Di certo, la questione è assai complessa. Da una parte, risulta assolutamente condivisibile la preoccupazione dell’industria degli audiovisivi sulla tutela dei propri prodotti; dall’altra, c’è l’altrettanto fondata apprensione degli utenti della rete, i quali temono interventi di tipo censorio e repressivo. Se partiamo dal presupposto, proprio anche della UE, che la rete costituisca oggi una risorsa preziosa tanto quanto l’acqua o la corrente elettrica, dobbiamo ricercare una via diversa da quella francese. Penso, ad esempio, all’idea di realizzare meccanismi di compensazione a favore dei produttori di audiovisivi attraverso il contributo dei soggetti che erogano connettività. Così come non possiamo non guardare con favore all’esperienza di I-Tunes, lo store on-line che ha venduto oltre 10 miliardi di canzoni. Vanno dunque realizzate piattaforme in cui i contenuti legali siano facilmente accessibili ed offerti a costi contenuti. Mi pare che diversi soggetti, in Italia, siano favorevoli all’idea di spostare gli utenti dalle baie dei pirati della rete ai porti sicuri del download legale. Il futuro dell’audiovisivo si gioca, a mio avviso, non tanto sulla repressione, quanto sulla capacità dei vari soggetti coinvolti di stimolare il consumo legale di musica e film attraverso l’innovazione.

Giovanna Melandri
Deputato. Membro della Commissione Cultura, Scienze ed Istruzione.
Già Ministro per le Politiche Giovanili e le Attività Sportive

Rispondi