Il gioco che cambia mentre lo giochi: Hello Games e la “catastrofe creativa” di No Man’s Sky

Quando si parla di No Man’s Sky, oggi si pensa a uno dei progetti più audaci e trasformativi della storia dei videogiochi: un universo praticamente infinito, in continua evoluzione, capace di rinascere più volte dalle proprie ceneri. Ma dietro tutto ciò si nasconde una storia molto più umana, un evento che avrebbe potuto cancellare tutto: la tempesta che travolse lo studio di Hello Games e quasi distrusse il gioco prima ancora della sua uscita.

Quella che poteva essere una tragedia totale si rivelò invece una “catastrofe creativa”, come l’ha definita il fondatore Sean Murray. Una frattura che avrebbe potuto spezzare il team ma che finì per plasmarne l’identità e la resilienza. 

È il Natale del 2013. Hello Games è ancora uno studio minuscolo, affacciato sul Tamigi. I quattro membri originari, insieme ad alcuni nuovi arrivati, stanno lavorando giorno e notte al loro progetto più ambizioso: un gioco di esplorazione spaziale ambientato in un universo praticamente infinito, generato in gran parte in modo procedurale.

Ma quando una violenta alluvione colpisce Guildford, l’acqua si riversa nello studio e devasta tutto: computer, build, tool proprietari, file sorgenti. Molti mesi di lavoro spariscono in poche ore.

Quella notte il team si ritrova fuori dall’edificio, in strada, con l’acqua alle caviglie e il futuro in dubbio. Ed è lì che, invece di arrendersi, decidono di ripartire da capo. Per qualsiasi team sarebbe stato un colpo devastante. Per uno studio di 15 persone che stava provando a costruire uno dei giochi più ambiziosi dell’epoca, un colpo mortale. Eppure, in quell’assurdo capovolgimento delle certezze, Hello Games trova una strana forma di libertà.

La catastrofe diventa occasione. Ripartendo da zero, il team riconsidera idee e soluzioni tecniche che fino a quel momento erano state date per scontate. È un reset doloroso ma anche purificante. E la filosofia di No Man’s Sky, in un certo senso, nasce proprio lì: nel caos.

Quando No Man’s Sky viene mostrato agli eventi internazionali, molti non credono sia possibile: un universo procedurale, miliardi di pianeti, ecosistemi che si generano da soli, nessun caricamento, nessuna mappa predefinita. E tutto questo da un team minuscolo. La “catastrofe creativa” imprime però un tratto distintivo sulla filosofia dello studio: un invito alla reinvenzione continua. Dal 2016 a oggi No Man’s Sky è cambiato così tanto da sembrare un altro gioco: basi, flotte, esobiologia  fasi narrative, diventa quasi una metamorfosi costante. Il gioco non è semplicemente “giocato” ma si evolve insieme a chi lo gioca. La storia della tempesta è più di un aneddoto. È un punto di svolta che segna un modo di lavorare. 

Oggi No Man’s Sky è spesso usato come esempio di resilienza industriale. Non solo per come il team ha recuperato dal lancio difficile, ma perché la sua identità stessa è stata forgiata nella crisi. Se c’è una morale nella storia di Hello Games, è che i momenti di rottura a volte liberano spazi inattesi. Quello che un’alluvione ha distrutto, un piccolo studio ha ricostruito con ancora più determinazione. Il risultato è un’opera che non è solo un videogioco, ma un universo infinito nato da una notte in cui tutto sembrava perduto.

Riccardo Fanni Canelles

Ho frequentato la European School of Trieste dall’asilo fino alla terza media in lingua inglese, un percorso che mi ha dato un’impostazione internazionale e stimolante sin dai primi anni di studio. Attualmente sto concludendo il percorso Liceale all'istituto Galileo Galilei” di Trieste ( liceo Scientifico Tradizionale ). Coltivo da tempo un forte interesse per lo sviluppo tecnologico, con una particolare attenzione ai campi dell’intelligenza artificiale e dei videogiochi, che considero strumenti fondamentali per il futuro e potenti mezzi di espressione creativa. 

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