Umami: il quinto gusto del piacere

Partendo dal presupposto che la percezione di un gusto, di un odore o di una sensazione tattile sia un processo multifattoriale che coinvolge in modo sinergico tutti i sensi, nel 1916 lo psicologo tedesco Hans Henning propose un modello teorico in cui categorizzava le sensazioni gustative in quattro gusti fondamentali: dolce, acido, amaro e salato. Secondo questa teoria, ogni altro sapore sarebbe una combinazione di queste quattro qualità primarie. Alcuni anni prima, nel 1908, il professor Kikunae Ikeda dell’Università Imperiale di Tokyo (oggi Università di Tokyo) aveva osservato la presenza, all’interno di un brodo di alghe noto come dashi, di un gusto che non rientrava in nessuna delle categorie precedentemente identificate. Assaggiando quel brodo, Ikeda riconobbe lo stesso sapore distintivo presente in alimenti come pomodori, asparagi, carne e formaggi che   aveva   avuto   modo   di   gustare   durante   un   soggiorno   in   Germania.

Spinto dalla curiosità scientifica, utilizzò le strutture di laboratorio dell’università per isolare il composto responsabile di quel gusto unico. Riuscì così a identificare la sostanza chiave, e chiamò quel nuovo gusto con il termine giapponese umami, che può essere tradotto come “saporito” o “delizioso”.

Ma cos’è chimicamente il gusto Umami?

Per gli esseri umani, saper distinguere i cinque gusti fondamentali è un’abilità di sopravvivenza indispensabile, perché ci consente di evitare cibi rischiosi e di assumere i nutrienti in modo sicuro. Rilevando il sapore aspro degli acidi organici nella frutta acerba o nel cibo in decomposizione, o l’amaro degli alcaloidi, ad esempio, la nostra lingua ci consente di evitare il pericolo. Al contrario,quando percepiamo la dolcezza degli zuccheri che ci servono come fonte di energia, o la sapidità dei minerali necessari per mantenere l’equilibrio dei liquidi corporei, li consumiamo attivamente. L’umami, invece, segnala all’organismo che abbiamoassunto proteine. Percepire l’umami innesca la secrezione di saliva e succhi gastrici, facilitando la digestione delle proteine.

Infatti, dal punto di vista scientifico, il gusto umami viene percepito grazie a specifici recettori situati nelle cellule gustative della lingua, che rispondono principalmente alla presenza di acido glutammico e di alcuni nucleotidi (come l’IMP –inosinmonofosfato e il GMP – guanosina monofosfato). L’acido glutammico è un amminoacido naturalmente presente nelle proteine di molti alimenti, tra cui carne, pesce, verdure e prodotti fermentati o stagionati, dove può trovarsi anche in forma libera,responsabile della tipica sensazione di sapore umami. Infatti, è proprio la forma libera dell’acido glutammico a stimolare direttamente i recettori del gusto umami presenti sulla lingua. Questa forma si ottiene attraverso processi che liberano l’amminoacido dalle proteine, come la stagionatura, la fermentazione, l’essiccazione o la maturazione naturale degli alimenti. Nel prosciutto crudo, ad esempio, la stagionatura favorisce la degradazione delle proteine muscolari, liberando glutammato in formalibera. È noto che più lunga è la stagionatura, maggiore è la concentrazione di glutammato libero, e di conseguenza il gusto diventapiù intenso e ricco di umami. Va però precisato che il profilo aromatico del prosciutto crudo non dipende solo dal glutammato: anche sale, grassi e componenti volatili della carne contribuiscono al sapore complessivo. Tuttavia, il glutammato libero, grazie alla sua alta attività sensoriale, gioca un ruolo chiave nella percezione del gusto ed è facilmente riconosciuto dai recettori delpalato. Lo stesso processo avviene nella stagionatura del Parmigiano Reggiano. Questo formaggio contiene caseina, una proteina del latte che, durante lunghi periodi di stagionatura (12, 24 o anche 36 mesi), si rompe in peptidi e amminoacidi liberi, tra cui l’acido glutammico, contribuendo al caratteristico sapore umami del formaggio. Anche l’essiccazione, come nel caso dei pomodori secchi, favorisce la liberazione di glutammato libero, concentrando il sapore. Gli alimenti fermentati come salsa di soia, miso, natto e tempeh sono tra le fonti più ricche di glutammato libero, grazie all’azione dei microrganismi che decompongono le proteine e liberano amminoacidi attivi dal punto di vista gustativo. Infine, ci sono alimenti che contengono naturalmente acido glutammico libero, anche senza processi di trasformazione. Tra questi troviamo: pomodori maturi, piselli, mais dolce, aglio, asparagi, broccoli e funghi. In particolare, i funghi sono interessanti anche per la presenza di nucleotidi come la guanosina monofosfato (GMP), che sinergizzano con il glutammato, potenziando ulteriormente la percezione dell’umami.

Piccola curiosità: il gusto umami è importante anche per i neonati; il latte materno è ricco di acido glutammico, circa 17 mg/100 ml di latte.

Per concludere, l’acido glutammico viene prodotto anche su scala industriale utilizzando ceppi specifici di microrganismi. Questi microrganismi, a partire da fonti carboniose — generalmente zuccheri presenti nella melassa, nell’amido di mais o nella canna da zucchero – sintetizzano l’acido glutammico. Successivamente,

questo viene estratto e fatto reagire con sodio per ottenere il glutammato monosodico, ovvero il sale dell’acido glutammico. Questa trasformazione serve a neutralizzare l’acidità dell’acido glutammico e a renderlo più solubile, facilitandone l’uso come esaltatore di sapidità nei prodotti alimentari. Il glutammato monosodico è comunemente indicato in etichetta con la sigla E621. Oggi il glutammato è ampiamente utilizzato nell’industria alimentare, in particolare in prodotti come: zuppe pronte, dadi da brodo, salse industriali, carni lavorate, piatti pronti da fast food, snack salati come patatine, cracker e hamburger confezionati…

È sicuro?

Nel 2017 il gruppo di esperti scientifici dell’EFSA sugli additivi alimentari e le fonti di nutrienti aggiunti agli alimenti (ANS) ha fornito un parere scientifico che valuta la sicurezza dell’acido glutammico-glutammati (E 620–625) quando utilizzati come additivi alimentari. In particolare è stata stabilita la così detta DGA (Dose Giornaliere Accettabile), ovvero la quantità di acido glutammico-glutammati che possiamo mangiare tutti i giorni per tutta la vita senza avere alcun tipo di effetto dannoso per la nostra salute. In particolare la dose stabilita è di 30 mg/Kg corporeo, ciò significa che se considerassimo una persona di 75 Kg la DGA è pari a 2,25 grammi di glutammato tutti i giorni per tutta la vita. Per fare un paragone, il Parmigiano Reggiano che è uno degli alimenti che ne contiene di più ha per 100 grammi circa 1,6 grammi di glutammato, prodotto naturalmente durante la stagionatura, quindi non aggiunto.

E voi avete mai riconosciuto questo gusto?

Riccardo Rizzi

Perito chimico, Laurea triennale in Scienze e Tecnologie Alimentari-Food Scienze Technology, Studente Magistrale in Controllo Chimico e Microbiologico degli Alimenti e Processi Alimentari 

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