
Negli anni ’80 i videogiochi arcade erano più che un passatempo: erano un fenomeno culturale dove i ragazzi si sfidavano a colpi di joystick e monetine. Ma tra tutti i cabinati dell’epoca, ce n’era uno che guadagnò una sinistra fama: Berzerk. Secondo la leggenda, questo gioco non solo metteva alla prova i riflessi, ma poteva addirittura uccidere.
Pubblicato nel 1980 dalla Stern Electronics, Berzerk era un titolo rivoluzionario. Ambientato in labirinti pieni di robot ostili, il giocatore impersonava un piccolo omino che doveva sopravvivere evitando scariche laser e, soprattutto, l’inquietante Evil Otto: una faccina sorridente che rimbalzava per lo schermo, inarrestabile.
A rendere il gioco unico era la sua voce sintetizzata. All’epoca sentire un videogioco “parlare” era qualcosa di sorprendente, quasi inquietante. I robot pronunciavano frasi metalliche come “Get the humanoid!” o “Intruder alert!”, contribuendo a creare un’atmosfera tesa.
La leggenda della “maledizione” nacque da due episodi di cronaca realmente avvenuti. Nel 1981, Jeff Dailey, 19 anni, giocò una partita a Berzerk e morì poco dopo d’infarto. Nel 1982, Peter Burkowski, 18 anni, crollò a terra davanti al cabinato dello stesso gioco, sempre per arresto cardiaco, dopo aver giocato due partite consecutive. Due giovani, due morti improvvise, tanto bastò perché la voce si diffondesse. Berzerk non era un gioco come gli altri era ormai definito maledetto..
In realtà, le spiegazioni razionali non tardarono ad arrivare. Entrambi i ragazzi avevano problemi cardiaci pregressi, e l’intensità delle partite poteva aver innescato la tragedia. Dal punto di vista medico nessun mistero, ma la narrazione di un gioco “che uccide” era troppo affascinante per non diffondersi. In un’epoca in cui i videogiochi erano ancora visti con sospetto, considerati da molti una minaccia per i giovani, la storia di Berzerk sembrava confermare le paure dei genitori.
Oggi sappiamo che nessun cabinato era “posseduto” o progettato per nuocere. Eppure Berzerk rimane uno dei pochi videogiochi con una vera “storia nera” alle spalle. È entrato nell’immaginario collettivo, diventando parte di quelle leggende urbane che mescolano realtà e suggestione.
La verità probabilmente è banale: coincidenze tragiche. Ma l’idea che un videogioco potesse spingersi oltre lo schermo, fino a incidere sulla vita reale in modo fatale, colpì l’immaginazione popolare. Ed è proprio questo il punto: a volte non serve il paranormale per costruire un mito. Bastano due eventi sfortunati a trasformare un normale videogioco in una leggenda oscura.