
“Più le crisi si allontanano geograficamente, meno ce ne occupiamo, indipendentemente dalla gravità. Però il Sudan non è lontano, nemmeno in termini geografici”.
Così Irene Panozzo, analista politica e consulente, ha concluso la conferenza “Il Sudan non è una crisi lontana” tenutasi oggi al Meeting di Rimini.
Quella che affligge il Sudan dall’aprile 2023 è una guerra civile devastante – in termini sociali, politici, economici, sanitari e soprattutto umanitari. Una lotta di potere che vede contrapporsi le Forze Armate Sudanesi (SAF, Sudan Arm Forces) – l’esercito regolare guidato dal generale al-Burhan – contro le Forze di Supporto Rapido (RSF, Rapid Support Forces) – la milizia paramilitare, composta principalmente da milizie janjawid (“demoni a cavallo” che si ritengono più dei mujahidin), guidata dal generale Hemedti. Un conflitto che, in seguito a due colpi di Stato nel 2019 e 2021, si è esacerbato ed esteso in altre regioni (tra cui il Darfur), perché non ha avuto successo l’ipotesi di un accordo per transitare verso un governo civile in cui inglobare le RSF nelle SAF.
È stata dichiarata dall’ONU come LA PEGGIOR CRISI UMANITARIA IN QUESTO MOMENTO AL MONDO: 14 milioni di persone sono costrette a lasciare le proprie case (numero che supera i profughi ucraini e gazawi sommati insieme); 4 milioni di queste hanno cercato riparo come rifugiati nei paesi limitrofi, come il Ciad e l’Etiopia – già fragili di per sé; almeno 150.000 persone hanno perso la vita, seppur questo sia un dato sottostimato; 25 milioni (oltre la metà della popolazione sudanese) sono esposti a gravi livelli di insicurezza alimentare, con intere regioni in condizioni di carestia. In più, tante strutture mediche sono state distrutte e i servizi sanitari sono insufficienti, aggravando le condizioni igienico-sanitarie della popolazione, molta affetta da malaria e colera.
Panozzo ha detto che questa è una crisi difficile da raccontare perché non ci sono dei buoni e dei cattivi, che spesso è la semplificazione che si usa per raccontare le guerre. In realtà gli unici buoni sono i civili. Chi si sta scontrando invece ha cercato prima di far fallire la transizione democratica e ora sta combattendo e commettendo crimini di guerra (uccisioni di massa, bombardamenti a tappeto, saccheggi di interi villaggi, violenze etniche).
La crisi sudanese è dimenticata, sottolinea Valerie Guarnieri – Direttrice Esecutiva Aggiunta dei Programmi delle operazioni WFP. Non se ne parla, ha ricevuto pochissima attenzione anche dal punto di vista dei finanziamenti per supportare i bisogni umanitari; ma la crisi c’è… e non è lontana. Per evitare che questa situazione altamente drammatica diventi una catastrofe, deve diventare una priorità operativa e politica: grazie al World Food Programme, sono state raggiunte 4 milioni di persone che ricevono cibo e sostegno nutrizionale.
Gli aiuti però sono una soluzione solo temporanea, da soli non risolveranno la situazione. Nessuno vuole dipendere dagli aiuti per sempre, nessuno vuole scappare dal proprio paese, nessuno vuole lasciare la propria casa; i sudanesi vogliono diventare autonomi e riprendersi in mano la propria vita. La diplomazia italiana deve promuovere ed attivarsi per soluzioni politiche rispetto al conflitto, che sta impedendo ai civili di sopravvivere.
Per riportare alla luce questa situazione, Marco Rusconi – direttore dell’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo – ha suggerito di investire nella narrazione, quindi di parlarne sui media e valorizzare quello che le agenzie umanitarie e la cooperazione italiana stanno facendo, e di coordinare le attività a livello regionale, nazionale e globale, nonché di muoversi tutti nella stessa direzione anche insieme all’Unione Europea… e guardare a lungo termine per aiutare le persone a riprendere in mano le proprie vite.