La feudalizzazione del mondo moderno: non possiedi nulla, ma devi continuare a produrre

Ricordi quando possedere qualcosa era normale? Una casa, una collezione di dischi, magari persino un software comprato su CD-ROM? Bene, scordatelo. Quel mondo è finito, e forse non tornerà mai più. Siamo entrati in una nuova era: l’era della feudalizzazione digitale, un processo subdolo e graduale che ci sta trasformando da cittadini a servi della gleba 5.0.
L’abbonamento come nuova tassa feudale

Non possediamo più nulla. O meglio, possediamo sempre meno. Le case sono in affitto, le auto sono in leasing o in car sharing, i contenuti sono in streaming, il software è in SaaS, persino le immagini generate dall’AI non sono nostre. Netflix, Spotify, Amazon Prime, Adobe Creative Cloud, Microsoft 365… ci danno accesso, non proprietà. La differenza è cruciale: non puoi rivendere ciò che non possiedi, non puoi modificare, trasferire, collezionare, tramandare.

Il modello dominante è diventato quello dell’abbonamento perpetuo. Un moderno tributo mensile, come il decimo versato al signore feudale: se non paghi, perdi tutto. È la rendita digitale. Una rendita che non costruisce nulla per te, ma arricchisce chi ti ha dato il permesso di usare ciò che era tuo.
Zuckerberg ti dà il campo… ma ci devi zappare per lui

Meta, TikTok, Instagram, X, YouTube… non ti danno solo accesso a un social. Ti danno un appezzamento di terra digitale, un piccolo spazio virtuale su cui puoi coltivare la tua vita sociale. Ma c’è una condizione: devi produrre contenuti. Sempre. Costantemente. Video, storie, reel, commenti, like, duetti, reaction, podcast, tutorial, meme. Una catena di montaggio infinita dove tu sei al contempo lavoratore, prodotto e merce.

Ma nulla di tutto ciò ti appartiene. Il tuo profilo può essere chiuso. I tuoi contenuti demonetizzati. I tuoi follower azzerati da un algoritmo. E soprattutto, il valore economico generato dalla tua attività non ti appartiene mai davvero. È estratto, impacchettato e monetizzato da chi possiede la piattaforma. Esattamente come il feudatario che incassava il raccolto del contadino in cambio del “diritto” di lavorare la terra.
Benvenuto nel neo-feudalesimo del XXI secolo

È una regressione travestita da progresso. Una distopia mascherata da “servizio”. Dove non hai una casa ma un account, non una proprietà ma una licenza temporanea, non una comunità ma un algoritmo che decide chi ti vede. Il cloud ha sostituito la cantina, la blockchain si propone come il notaio, l’identità è un wallet digitale. Tutto è concesso, nulla è tuo.

Nel medioevo, i servi della gleba non potevano lasciare la terra senza il permesso del signore. Oggi non puoi smettere di pagare il tuo abbonamento a Google Workspace o a iCloud senza perdere documenti, foto, relazioni. Siamo incatenati a ecosistemi digitali che non controlliamo, ma dai quali dipendiamo.
Non è solo tecnologia. È un paradigma sociale.

Questa feudalizzazione non è solo una questione di strumenti, ma di potere. Il potere di pochi soggetti di determinare le regole per tutti gli altri. E mentre ci vendono la sharing economy come il futuro, ciò che si condivide davvero è la nostra dipendenza da chi gestisce l’infrastruttura.

Anche la moneta – un tempo simbolo di autonomia – sta diventando digitale, tracciabile, controllabile. Con le valute digitali delle banche centrali (CBDC), il controllo potrebbe estendersi anche ai tuoi risparmi. Vuoi andare contro corrente? Ti possono staccare la spina. Letteralmente.


Cosa possiamo fare?

Svegliarci. Criticare. Reclamare la sovranità digitale. Pretendere il diritto alla proprietà, alla portabilità, alla decentralizzazione. Sostenere progetti open source. Acquistare contenuti, non solo “streammarli”. Coltivare spazi digitali alternativi. Decidere di non essere solo affittuari della nostra vita.

Perché se tutto quello che abbiamo è in affitto, allora anche la nostra libertà lo è.

E tu, domani mattina, ti sveglierai per vivere… o per creare contenuti su un terreno che non ti appartiene?

Sana Sandro

Laureato in Ingegneria Informatica e in scienze della Comunicazione: mi occupo d'Information Technology dal 1990, negli anni ho lavorato con aziende di diverso tipo dalle PMI alle Enterprise e la PA. Dal 2003 m’interesso di comunicazione, PNL e Public Speaking. Dal 2014 mi sono specializzato in scouting e R&D di soluzioni in ambito Cybersecurity. CEH - EC-Council Certified Ethical Hacker, CIH EC-Council Certified Incident Handler, ISC2 - CISSP - Certified Information Systems Security Professional, relatore a SMAU 2017 e SMAU 2018, docente SMAU Academy & ITS, membro dell'Associazione Informatici Professionisti dal 2017 e Coordinatore per la regione Friuli-Venezia Giulia per AIP-ITCS. Membro CLUSIT e giornalista presso RedHot Cyber, Cybersecurity360 & Digital360. Consulente framework CIS, NIST e ENISA. 

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