La società della connessione disconnessa: i giovani, il sapere e il linguaggio che svanisce

C’era un tempo, nemmeno troppo lontano, in cui la conoscenza si cercava. Si sudava. Si costruiva pagina dopo pagina, libro dopo libro, in silenziose biblioteche dove l’informazione non era mai immediata, e proprio per questo diventava preziosa. Cercare significava imparare davvero: significava attendere, selezionare, memorizzare, collegare. Ogni concetto appreso aveva un peso, un contorno, una radice. Quel sapere faticoso diventava stabile, profondo, trasformava il modo stesso di pensare.
Oggi viviamo un paradosso. Siamo immersi in un oceano di informazioni, ma stiamo annegando nell’ignoranza. È il fenomeno che alcuni studiosi chiamano paradosso della distribuzione dell’ignoranza culturale: più l’accesso all’informazione è ampio, più la cultura autentica sembra sfumare.
Il problema non è solo quantitativo: è qualitativo. È cambiato il modo in cui ci relazioniamo al sapere, e ancor più il modo in cui i giovani lo fanno.

Il fast‑food della conoscenza
L’informazione è diventata come un hamburger di un fast food: pronta in pochi secondi, saporita al primo morso, ma priva di nutrimento vero. Articoli brevi, video da 15 secondi, post semplificati, meme e reaction. Tutto si consuma in fretta. Nulla resta.
La velocità con cui le nuove generazioni accedono ai contenuti ha inibito la memoria a lungo termine e il pensiero critico. Perché impegnarsi a ricordare qualcosa, se si può digitare su Google in due secondi?
Eppure, la memoria non è solo un archivio. È uno strumento di costruzione del pensiero. Non si può elaborare ciò che non si trattiene. Non si può collegare ciò che non si conosce. Non si può creare nulla, se prima non si è assimilato nulla.

Le parole perdute: il crollo del lessico e dell’empatia
Uno dei sintomi più preoccupanti di questo cambiamento è l’impoverimento lessicale. Le nuove generazioni conoscono sempre meno parole. Hanno difficoltà a esprimersi. Faticano a descrivere ciò che sentono, ciò che provano, ciò che osservano.
Secondo il Times of India, l’uso eccessivo di dispositivi digitali da parte dei bambini è direttamente collegato a una regressione delle competenze linguistiche. I bambini che leggono regolarmente sviluppano un vocabolario più ampio, una sintassi più articolata, una maggiore capacità di espressione emotiva. Ma oggi la lettura è in declino verticale: nel 1984, il 35% dei tredicenni leggeva ogni giorno per piacere. Oggi solo il 14% lo fa (Vox, 2023).
A scuola e nelle famiglie, si comincia ad avvertire il disagio: giovani che non sanno spiegare cosa provano, che si rifugiano in abbreviazioni, in faccine, in like, in “non lo so”. Un lessico povero genera una mente povera. E una mente povera non sa comprendere gli altri.

Relazioni sociali sempre più effimere
Anche sul piano delle relazioni umane il quadro è critico. Se da un lato i social offrono possibilità di connessione mai viste prima, dall’altro hanno reso le relazioni superficiali, liquide, fugaci.
La comunicazione digitale ha tagliato fuori il linguaggio del corpo, lo sguardo, il tono della voce, tutti elementi fondamentali per sviluppare empatia e comprensione reciproca. Il risultato? Giovani sempre più isolati, ansiosi, incapaci di sostenere un confronto diretto, faccia a faccia.
Il Child Mind Institute parla di una vera e propria “anestesia emozionale”. Il neurobiologo Enrico Tongiorgi ha dichiarato: “Molti giovani oggi non riescono più a riconoscere, nominare, condividere ciò che provano. Vivono una realtà che non li obbliga a relazionarsi con se stessi.”

Adolescenza rubata, adultizzazione precoce
In questo scenario, come denuncia anche Paolo Crepet, si inserisce un altro fenomeno drammaticamente attuale: l’adolescenza rubata. Ragazzi e ragazze che conducono vite da adulti, con il consenso, spesso inconsapevole, di genitori troppo permissivi. Libertà senza freni, assenza di regole, iperstimolazione digitale. L’identità si costruisce sui like, sull’approvazione istantanea, su modelli irrealistici e narcisisti.
Nel suo libro “I figli non crescono più”, Crepet lancia un allarme: “Stiamo generando una generazione fragile, incapace di tollerare la frustrazione, abituata ad avere tutto e subito.” E questo tutto e subito è proprio ciò che Internet rappresenta.

Uno sguardo sul futuro: disconnessione umana
Il rischio, ormai tangibile, è di vedere nascere una società tecnologicamente iperconnessa ma umanamente disconnessa. Dove la parola perde significato. Dove il dialogo profondo è sostituito da battute superficiali. Dove il pensiero riflessivo viene considerato noioso, e la cultura un lusso per pochi.
Una società in cui le biblioteche sono vuote, e il sapere è un’illusione a portata di click.
Non si tratta di demonizzare Internet o i social network: essi sono strumenti potenti, e come ogni strumento possono costruire o distruggere. Il punto è che oggi stanno distruggendo più di quanto costruiscano, perché manca l’educazione all’uso consapevole. E manca il tempo per fermarsi, leggere, ascoltare, interiorizzare.

Cosa possiamo fare
Invertire la rotta è ancora possibile. Ma serve coraggio. Serve ripristinare il valore della lentezza, della fatica, del silenzio. Serve educare al dubbio, alla complessità, alla parola. Riportare la lettura nelle case e nelle scuole. Riscoprire la scrittura come strumento di pensiero. Coltivare relazioni autentiche, fatte di sguardi e silenzi, non solo di notifiche.
Perché se perdiamo la parola, perdiamo l’identità. Se perdiamo il pensiero, perdiamo la libertà.
E non possiamo permetterci di consegnare ai nostri figli, e ai figli dei nostri figli, un mondo in cui si comunica tanto, ma non si dice più nulla.

Eppure. In mezzo a questa oscurità, c’è ancora una fiamma.

Ci sono ragazzi che leggono in silenzio, seduti sull’autobus, sfidando il rumore.

Ci sono scuole che insegnano il valore dell’ascolto, del dibattito, della scrittura lenta.

Ci sono famiglie che spegnono il Wi-Fi a cena, che chiedono: “Come stai davvero?”

Ci sono insegnanti, educatori, bibliotecari, che resistono.

Che insegnano che parlare è un atto rivoluzionario. Che leggere è un gesto d’amore. Che pensare è un diritto, ma anche un dovere.

La luce c’è. Ma è piccola. E fragile.

Sta a noi proteggerla.

Forse non tutto è perduto. Forse possiamo ancora rialzare la testa e scegliere di tornare a parlare con profondità. A pensare con lentezza. A costruire relazioni vere.

A insegnare che non tutto deve essere veloce, semplice, leggero.

Che ciò che resta, spesso, è ciò che ha richiesto fatica.

E allora sì, il futuro sarà degno. Degno di essere vissuto. Degno di essere raccontato.

Perché finché ci sarà una parola giusta detta al momento giusto, finché ci sarà un pensiero che nasce dal cuore, finché ci sarà qualcuno disposto ad ascoltare davvero, l’umanità avrà ancora una speranza!

Sana Sandro

Laureato in Ingegneria Informatica e in scienze della Comunicazione: mi occupo d'Information Technology dal 1990, negli anni ho lavorato con aziende di diverso tipo dalle PMI alle Enterprise e la PA. Dal 2003 m’interesso di comunicazione, PNL e Public Speaking. Dal 2014 mi sono specializzato in scouting e R&D di soluzioni in ambito Cybersecurity. CEH - EC-Council Certified Ethical Hacker, CIH EC-Council Certified Incident Handler, ISC2 - CISSP - Certified Information Systems Security Professional, relatore a SMAU 2017 e SMAU 2018, docente SMAU Academy & ITS, membro dell'Associazione Informatici Professionisti dal 2017 e Coordinatore per la regione Friuli-Venezia Giulia per AIP-ITCS. Membro CLUSIT e giornalista presso RedHot Cyber, Cybersecurity360 & Digital360. Consulente framework CIS, NIST e ENISA. 

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