Cambio di clima negli USA: le politiche migratorie di Trump nel suo secondo mandato

Tra deportazioni forzate, abusi contro il potere giudiziario, errori amministrativi sistemici e una retorica che assimila intere popolazioni a gang criminali, le politiche migratorie dell’amministrazione Trump segnano un punto di non ritorno.

Ieri sera, la Corte Suprema degli Stati Uniti ha approvato l’utilizzo della legge del 1798, l’Alien Enemies Act,che gli permetterà di deportare immigrati venezuelani verso paesi terzi, e cancellato l’alt alle deportazioni di massa ordinato dal giudice James Boasberg il mese scorso. La Corte ha però posto dei limiti: l’ordine di deportazione deve essere approvato da un giudice e deve essere annunciato con preavviso all’imputato. Per quanto il massimo rappresentate del potere giudiziario negli States si sia avvicinato alle politiche di Trump con questa sentenza, il modo in cui le procedure legali sono state bypassate completamente dal Servizio Immigrazione e Controllo Doganale (ICE), suggerisce che i limiti imposti al Alien Enemies Act  non verranno rispettati. Infatti, l’agenzia incaricata della gestione del controllo dell’immigrazione negli ultimi mesi ha arrestato e deportato centinaia di migranti senza previo processo e ignorando lo stop alle deportazioni ordinato da Boasberg.

Nel suo discorso inaugurale, Trump aveva promesso di fare appello all’Alien Enemies Act per combattere l’immigrazione. La legge, utilizzata solo tre volte nella storia della nazione, è utilizzabile solo in stato di guerra, e permetterebbe di ignorare i regolari processi burocratici e legali nella gestione dell’immigrazione. Per avere possibilità di ricorrere alla legge straordinaria, Trump ha quindi dichiarato guerra alla gang criminale operativa in Venezuela, la Tren de Aragua, famosa per il traffico transnazionale di droga e di esseri umani.  Il risultato, purtroppo, è stata la deportazione indiscriminata dei cittadini venezuelani, semplicemente in quanto tali. Nel corso degli ultimi mesi, infatti, centinaia di persone originarie del Venezuela sono state arrestate, portate in un centro di detenzione dell’agenzia ICE, e successivamente deportati in paesi terzi, tra cui El Salvador e Nicaragua, dove vengono detenuti in maxi-prigioni costruite appositamente per l’incarcerazione di terroristi e migranti, e il tutto senza un giusto processo.

La ICE a volte bussa alla porta, spesso nel cuore della notte, chiedendo di entrare, di solito dicendo che si tratti di un semplice controllo, oppure sottolineando che fossero interessati a una sola persona, e che se avessero collaborato le altre sarebbero state lasciate in pace, ma il risultato è sempre lo stesso: tutte le persone presenti nell’abitacolo vengono catturate, arrestate, e portate verso il centro di detenzione dell’agenzia ICE senza nessun previo processo, senza possibilità di consultare un legale, e spesso senza aver mai commesso alcun crimine. In altri casi, il richiedente asilo si presenta al suo appuntamento per controlli di routine agli uffici ICE e viene arrestato lì, senza che gli venga detto il perché. Nell’America di Trump, i richiedenti asilo hanno paura di fare controlli di routine, ma non possono saltarli, perché comporterebbe un’infrazione della procedura di richiesta di permesso di soggiorno e quindi un mandato d’arresto. Alla radio, passano messaggi che invitano i migranti a lasciare gli Stati Uniti, e di farlo al più presto, per salvarsi dalla deportazione forzata.

Il clima che si respira negli Stati Uniti non è lo stesso dell’anno scorso. Per quanto le politiche migratorie di Repubblicani e Democratici siano sempre più vicine, se non ormai una cosa sola, le deportazioni di massa che sono avvenute negli ultimi mesi segnano un punto di non ritorno. Anche durante la presidenza di Biden molti richiedenti asilo venivano arrestati senza processo, nel 2024 sono stati registrati circa 821 arresti ogni mese durante appuntamenti per controlli di routine. Tuttavia, in quel caso gli agenti dell’ICE potevano posticipare gli arresti, dando priorità all’incarcerazione di richiedenti asilo con precedenti penali e che sembravano rappresentare un pericolo per la sicurezza della nazione. Questa svolta nelle politiche migratorie americane è data proprio da un cambiamento nelle priorità operative dell’ICE, ed è qui l’inghippo: Trump ha esteso le priorità dell’agenzia in modo tale da includere l’arresto non solo di immigrati sospetti di comportare un pericolo per la sicurezza, ma di qualsiasi immigrato presente illegalmente negli Stati Uniti.

L’amministrazione Biden aveva permesso ai migranti di richiedere asilo dall’interno del territorio statunitense, ma con l’obbligo di presentarsi regolarmente agli uffici dell’ICE con regolarità. Tuttavia, questo significa che, almeno tecnicamente, gli immigrati, nel corso della loro richiesta d’asilo, sono presenti illegalmente negli USA, ed è questo cavillo burocratico che l’amministrazione Trump ha deciso di utilizzare nella sua guerra contro gli “illegal aliens” (alieni illegali), o come diremmo in Italia gli immigrati clandestini. Si parla spesso di “guerra all’immigrazione”, seguendo la retorica di diversi partiti politici di estrema destra, ma in questo caso, il termine “guerra” è utilizzato in maniera letterale, ed è qui che entra in gioco l’Alien Enemies Act.

La guerra all’immigrazione, che si basa su una narrazione per cui tutti i cittadini venezuelani possono essere accusati di essere membri del cartello criminale. L’ICE di rado fa controlli adeguati sulle persone che arresta, e se si analizzano i verbali dell’agenzia si trovano spesso errori e inesattezze, che suggeriscono una mala fede di fondo, e che portano alla deportazione forzata di persone innocenti. Un esempio, analizzato dai giornalisti di Reuters, è quello di Reyes, un uomo di 24 anni, padre di famiglia e residente a Tampa, in Florida, è stato arrestato dall’ICE durante un controllo di routine. L’accusa, come da prassi ormai consolidata dall’agenzia, era quella di affiliazione alla gang Tren de Aragua. Il verbale dell’ICE, però, presentava un numero identificativo e un nome diversi da quelli del detenuto, e per di più non era presente nessuna prova di affiliazione alla gang. Il caso di Reyes non è un caso isolato, e denota una sistematizzazione di abusi di potere da parte di ICE e dell’esecutivo in merito di politiche per l’immigrazione, segnando un passaggio verso una sempre più intensa repressione delle persone latino-americane residenti negli Stati Uniti.

Chiara Caria

Chiara Caria è una laureanda in Global Cultures (laurea magistrale, Università di Bologna) e Comunicazione Giornalistica, Pubblica e D’Impresa (laurea magistrale, Università di Bologna), laureata in Mediazione Linguistica Interculturale per Interpreti e Traduttori (laurea triennale, Università di Bologna). Interessata a questioni di geopolitica, conflitti globali e diritti umani, collabora con Social News e altre riviste. 

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