
_ dal 28 marzo al 28 giugno 2025 in mostra al Pac di Milano _
Shirin Neshat è un artista iraniana nata nel 1957 e trasferita negli Stati Uniti nel 1974, dopo aver vissuto la rivoluzione iraniana nel suo paese. È una donna molto istruita ed è diventata negli anni una figura di alto livello nelle arti visive in tutto mondo. Esperta di cinema, teatro e fotografia, le sue narrazioni toccano temi che vanno dal dualismo uomo-donna ai conflitti religiosi e politici del suo paese.
Dai suoi primi lavori, come “Women of Allah” – una serie di fotografie in bianco e nero di donne con testi calligrafici arabi, in volto o sugli abiti – alla vittoria del Leone d’argento per la miglior regia con il lungometraggio “Donne senza uomini”. Un film che narra la storia di quattro donne, sullo sfondo di un colpo di Stato ambientato nel 1953, provenienti da classi sociali differenti che vivono la stessa preoccupazione per il contesto politico.
Ospite nei migliori musei del mondo, come il Museum of Modern and Contemporary of Seoul o il Serpentine Gallery in London, è anche vincitrice dei premi più prestigiosi come il Leone D’oro, il Primo premio Internazionale alla Biennale di Venezia 48, Hiroshima Prize o Praemium Imperiale a Tokyo 2017. Negli anni è diventata una voce potente del suo paese in tutto il mondo, capace di mostrare i mille volti dell’Iran.
In un libro di Hugo Huerta Martin – noto artista messicano che ha raccolto interviste fatte ad artiste internazionali di alto livello -, Shirin afferma di essere affascinata dalle donne iraniane che in passato hanno lottato contro tutto, provocatorie e vittoriose. Sempre ad Hugo spiega come la Rivoluzione Islamica ha influenzato la sua di vita e quella milioni di altri iraniani, costretti a vivere lontani dalla famiglia dal 1979. Tutta la sofferenza che ne deriva ha creato in lei l’impulso di essere un artista, ed ammette che senza la rivoluzione forse non sarebbe mai diventata un artista.
Nello stesso libro Shirin descrive il suo lavoro con il termine “Rebellion”, e spiega che i suoi personaggi assumono sempre una forma di provocazione, come in Turbulent 1998, dove la cantante trasforma la sua repressione in una forza creativa, o in Fervor 2000 in cui la protagonista in conflitto per la tentazione verso il sesso opposto esce dalla folla per protesta. In Women Without Men ogni personaggio, indipendentemente dalla provenienza sociale, prende la sua vita in mano, rifugiandosi in un frutteto, ultraterreno, libero da inibizioni sociali, culturali e religiose.
Le sue donne vivono una sorta di isolamento, devono affrontare situazioni tragiche, sono molto diverse tra loro e giocano ruoli diversi nella società.

La mostra del Padiglione d’Arte Contemporanea di Milano ripercorre trent’anni della sua carriera, intitolata “BODY OF EVIDENCE”. Espone 200 fotografie e 10 videoinstallazioni, da Women Of Allah, fino a Fury che anticipa il movimento “Woman, Life, Freedom”.
Fervor (2000) aprirà il percorso nella prima sala, seguirà nella seconda Rapture (1999), Turbulent (1998), Land of Dreams (2019), The Book of Kings (2012), un’installazione nata dopo la nascita del Green Movement Iraniano. Un’opera che include una selezione di ritratti, con testi del poema epico Shahnameh (Il libro dei Re) e da composizioni di scrittori contemporanei e prigionieri dell’Iran. Woman of Allah (1993-1997), Soliloquy (1999), e Passage (2001).
Fury (2023) è un’installazione video accompagnata da una serie di fotografie che sottolinea lo sfruttamento delle prigioniere politiche in Iran.
Corpi di donne in immagini vivide, performance, musiche e danze che evidenziano il corpo come oggetto di desiderio ma anche violenza.