
Lo sconvolgimento dello scenario geopolitico, con l’invasione russa dell’Ucraina dello scorso 24 febbraio, è la scenografia lugubre delle grandi manovre in atto nel comparto italiano della difesa e in quello dei poli strategici nazionali.
È notizia recente quella dello stop imposto dal governo alle mire della Cinese Efort Intelligent Equipment sulla Robox, leader nella produzione di elettronica per la robotica.
Come anticipato da Formiche.net, il governo Draghi non ha impedito la scalata dell’azienda novarese all’impresa del Dragone, interessata ad accrescere la partecipazione azionaria dal 40 al 49%, ma, con l’attivazione del Golden power, ha negato la condivisione del know-how tecnologico e il trasferimento di software e codici sorgente.
La scelta dell’esecutivo è collegata alla necessità di tutelare uno degli asset strategici della tecnologia nostrana. Un settore, quello della robotica, che è destinato nei prossimi anni ad acquisire un’importanza sempre maggiore non soltanto nell’ambito civile, ma, nel breve periodo, soprattutto in quello militare.
Ma Robox è soltanto l’ultimo dei casi di esercizio del Golden power per la tutela dell’interesse nazionale in settori produttivi strategici.
Già in precedenza, dall’inizio del 2021, l’ex presidente della BCE ha fatto più volte ricorso ai poteri speciali dello Stato, non solo in materia di cloud e tecnologia 5g, ma anche per la tutela della sicurezza e della difesa nazionali.
In totale, come riportato da StartMagazine, sono sette i casi in cui è stata azionata la normativa del Golden power dalla sua introduzione, con i droni friulani di Alpi Aviation, i semiconduttori di Lpe, il fotovoltaico di Applied Materials Italia e i semi vegetali di Verisem, fra i più importanti casi di eccellenze industriali oggetto di interesse e delle mire espansionistiche delle acquisizioni straniere.
L’azione dell’Esecutivo si inserisce all’interno di un’onda lunga atlantista che ha caratterizzato il governo Draghi nel suo riposizionamento internazionale dall’inizio del mandato. Il tutto per tornare a ribadire ancora una volta la storica vicinanza del Belpaese agli Usa, dopo i mesi dei governi Conte e dopo importanti relazioni intrecciate anche con Pechino.
Nell’ambito militare, acque molto mosse per Oto Melara e Wass. Il futuro per l’azienda di blindati, carri e sistemi d’arma e quello della discendente del Silurificio Whitehead di Fiume, il più antico del mondo, è più che mai incerto.
Ciò che è trapelato, come riportato da Repubblica, riguarda l’interessamento della tedesca Rheinmetall per Oto Melara. L’azienda di Düsseldorf ha infatti presentato offerta non vincolante di acquisto per il 49% delle azioni dell’italiana alla controllante Leonardo, della quale Oto Melara con Wass fa parte.
L’azienda di La Spezia è però tuttora, assieme a Wass, oggetto di una triangolazione di interessi fra la stessa Rheinmetall, Fincantieri e Knds. Con l’italiana che, dopo aver dimostrato il suo interesse per la partita, anche a causa del recente cambio di dirigenza non ha scoperto ancora le sue carte. E con la cordata franco-tedesca della difesa che nel 2021 aveva già presentato un’offerta di acquisto per le due controllate di Leonardo, da quest’ultima ritenuta «potenzialmente interessante». Dinamiche oggi rallentate anche per le conseguenze della guerra in Ucraina.
Secondo Analisi Difesa la mossa di Rheinmetall su Oto Melara e Wass sarebbe propedeutica alla «creazione di un centro nazionale di eccellenza nel settore terrestre», prevedendo anche «la possibilità di produrre in Italia i veicoli da combattimento Lynx». La visione tedesca della partita potrebbe non essere allora del tutto priva di appoggi nella Penisola.
La dinamica, infatti, si complica ulteriormente proprio tenendo in considerazione l’interesse dell’Italia a entrare nel progetto MGCS. Il futuro carro armato europeo è infatti oggi espressione di una sinergia franco-tedesca che potrebbe trovare nuova linfa con il suo allargamento all’Italia e al consorzio tra Leonardo, la stessa Oto Melara e Iveco Defence Vehicles (CIO). Il tutto, con le attuali componenti cingolate del nostro esercito, oramai sempre più obsolete, che diversamente da quelle ruotate necessitano già da tempo di un rinnovo.
Ed è stato anche il titolare del MISE Giorgetti, in visita alla Fincantieri di Monfalcone, a ragionare sulla possibilità di aggregare le realtà costruttrici italiane per la costituzione di un polo nazionale della difesa che «metta insieme Leonardo e la parte non civile del gruppo navale».
Sul tema si erano rincorse diverse voci relative a una possibile fusione di Leonardo con Fincantieri. Illazioni, come riportato da Milano Finanza, prontamente bocciate dai mercati e smentite anche dall’a.d. di Leonardo. Profumo ha infatti precisato a Repubblica il suo disaccordo a una fusione fra le due realtà della difesa italiana. Ciò sia per il diverso core business delle due, elettronica per l’una, costruzione navale per l’altra, ma anche per l’interesse attuale di Leonardo, focalizzato sulla leadership dell’«elettronica per la sicurezza» entro i futuri «grandi poli dell’industria della difesa europea», continua ancora Repubblica. Senza contare, come sottolineato da molti osservatori, che uno strumento di coordinamento fra i due attori già esiste ed è costituito dalla joint venture Orizzonte Sistemi Navali, realtà controllata dalle due aziende per lo sviluppo integrato di unità navali militari.
Anche il ministro per l’innovazione tecnologica e la transizione digitale Colao è intervenuto sulla questione, precisando come questa sia eventualmente «un’ipotesi da discutere con gli amministratori delegati delle società».
Nel campo si alternano voci e visioni diverse, fra le quali quelle di coloro che chiedono la garanzia dell’italianità delle aziende. Come la UILM, che propone un’alleanza fra la stessa Fincantieri e Leonardo con Oto Melara, Wass e il consorzio missilistico europeo MBDA, di cui la stessa Leonardo è proprietaria al 25%, nella costituzione di un «polo dell’industria armiera».
La partita, in ogni caso, è ancora tutta da giocare.