L’Europa e la Nuova Via della Seta: non solo l’Italia apre alla Cina

La politica italiana si è divisa sull’ipotesi di aprire all’iniziativa cinese One Belt One Road (OBOR), comunemente conosciuta come Nuova Via della Seta, atta a velocizzare l’interscambio commerciale tra Cina ed Europa. commerciale Dall’Unione Europea proviene un forte scetticismo verso una possibile partnership Sino-Italiana: vi è infatti il timore di lasciare troppo spazio d’azione al Dragone asiatico. La Cina potrebbe approfittare di una partnership economica per accrescere la propria influenza politica sull’Europa. Ma qual è il rapporto fra gli altri Stati dell’Unione e il progetto cinese?

di Piero Lorenzini

La Nuova Via della Seta è un progetto ambizioso lanciato dal Governo cinese di Xi-Jin-Ping nel 2013, atto a collegare più efficacemente lo Stato asiatico con l’Europa. L’intento è di velocizzare i trasporti di merci verso i mercati europei sia attraverso un miglioramento delle infrastrutture di terra, quali strade e ferrovie, che di mare, ossia porti. La Cina ha, inizialmente, investito imponenti somme di denaro, prevalentemente pubblico, in Stati dell’Asia Centrale, del Medio-Oriente e dell’Africa.

Per completare il progetto, ha poi cercato di includere anche Stati europei nella propria iniziativa. Seppur gli obiettivi possano sembrare puramente economici, secondo alcuni osservatori, l’iniziativa cinese tenderebbe in realtà a accrescere le proprie ingerenze politiche: il fine ultimo non sarebbe aumentare l’interscambio commerciale, ma ampliare la dipendenza, sia politica che economica, degli Stati aderenti al progetto verso la crescente potenza asiatica. Di conseguenza, l’atteggiamento delle istituzioni europee è di marcato scetticismo verso possibili partnership tra Stati Membri e Cina. Tuttavia, alcuni Governi europei hanno già aperto alla Nuova Via della Seta, mentre altri si sono allineati all’atteggiamento dell’Unione, osteggiando l’iniziativa. Cerchiamo quindi di capire quale sia l’approccio dei vari Stati membri rispetto alla OBOR: non sorprende che fra i Paesi aderenti vi siano quelli meno sviluppati, probabilmente attratti dalle prospettive di crescita economica, mentre gli Stati leader – ad esempio Francia e Germania – non ritengono prioritario il firmare accordi circa la Nuova Via della Seta. L’Italia non è quindi l’unica ad aprire alla Cina, tuttavia, sarebbe il primo Paese fondatore a firmare un Memorandum circa il progetto cinese.

Fra i primi Stati ad avere concluso accordi con il Governo cinese troviamo la Grecia. Nel 2016, l’impresa cinese COSCO acquisì il porto del Pireo, uno dei più importanti del Mediterraneo. L’intento evidente era quello di aprirsi una via di accesso al mercato europeo: le merci provenienti dal canale di Suez potevano essere dunque incanalate nel Continente attraverso il porto greco. Due anni dopo, nell’agosto 2018, l’inclusione della Grecia nella Nuova Via della Seta divenne formale attraverso la firma, da parte dei due governi, di un memorandum di intesa. Molti videro in questo atto un’evidente ingerenza politica nei confronti di uno degli Stati UE più deboli economicamente. Vi è infatti il timore che il governo cinese possa utilizzare investimenti economici per avere come contropartita supporto politico su questioni calde, quali violazioni dei diritti umani e prevaricazioni territoriali. D’altronde, simili accordi sono stati poi sottoscritti da altri dodici Stati UE, prevalentemente Balcanici e dell’Est Europa: Bulgaria, Croazia, Repubblica Ceca, Estonia, Ungheria, Lettonia, Lituania, Malta, Polonia, Portogallo, Slovacchia e Slovenia. Ad essi potrebbe aggiungersi a breve anche l’Italia, dopo che il Premier Conte ha annunciato di voler prendere parte al progetto. L’inclusione dell’Italia nella Nuova Via della Seta denoterebbe un salto di qualità non indifferente per le mire cinesi verso l’Europa. Si tratterebbe infatti di poter contare su porti e infrastrutture dello Stato che è la seconda manifattura dell’UE, tra i Paesi fondamentali per l’economia del continente.

Non stupisce, quindi che subito l’Unione Europea abbia voluto intervenire per affermare i propri dubbi su possibili ingerenze cinesi sul nostro Paese. In un documento recentemente redatto dalla Commissione si pone l’accento su possibili ripercussioni sulla sicurezza informatica e sull’economia Italiana. In effetti, l’adesione di Stati “minori” al progetto cinese non destava particolare preoccupazione, ma un’intesa Sino-Italiana è di tutt’altra portata e apre a scenari inediti. Inoltre, sulla stessa linea di scetticismo troviamo anche alcuni governi importanti dell’Unione. Il Presidente Francese Macron ha affermato in gennaio che una cooperazione fra UE e Cina nell’ambito della Nuova Via della Seta è ipotizzabile solamente se il governo cinese aprirà il proprio mercato interno ai prodotti europei. Anche la Cancelliera tedesca Angela Merkel non nasconde i propri sospetti sulle reali mire del governo cinese verso l’Europa: in Febbraio ha infatti dichiarato che gli investimenti cinesi nei paesi dell’UE non devono essere collegati a richieste politiche. Della stessa idea il governo spagnolo, che in Novembre ha rifiutato la richiesta di XI-JIn-PIng di firmare un memorandum di intesa sulla One Belt One Road, che avrebbe dovuto essere simile agli accordi firmati dai già menzionati altri tredici Paesi UE. Fra i restanti Stati membri pochi hanno sciolto le riserve, cercando di bilanciare l’evidente vantaggio economico che una partnership con la Cina riserverebbe e i timori di cui sopra.

Da questa breve analisi si possono trarre alcune importanti conclusioni. In primo luogo, l’Italia non è certamente il solo Stato europeo che aspira a trarre vantaggi dall’iniziativa OBOR. In secondo luogo, va però riconosciuto che l’impatto della firma italiana al memorandum sarebbe di tutt’altra caratura. L’Italia diverrebbe il primo Paese fondatore a disallinearsi dalle indicazioni della Commissione. Infine, bisogna tuttavia ricordare che all’interno dell’Unione, ed in particolare entro il Mercato Unico, i singoli Paesi non possono avere una politica commerciale autonoma, che è invece prerogativa dell’Unione. Anche per questo, l’impatto dei memoranda di intesa con la Cina sarà obbligatoriamente limitato e difficilmente potrà portare a ingerenze politiche reali da parte del Paese Asiatico. Si tratterà, molto probabilmente, di singoli accordi in ambito prettamente infrastrutturale. Ben consapevoli di questo, i Commissari Europei intendono più che altro dare un segnale politico, più che sostanziale, col fine di arginare anticipatamente ogni possibile mira cinese. In effetti, in un clima di globale fluidità delle alleanze internazionali, una certa dose di cautela risulta necessaria nell’approcciarsi ad uno Stato non democratico, i cui obiettivi geopolitici non sono ancora del tutto chiari.



Piero Lorenzini

Mi sono laureato in Affari Internazionali presso l’Università di Bologna e presso la Johns Hopkins University, con focus in Affari Europei ed Economia Internazionale. Appassionato di politica, economia, giornalismo e di sport; nel tempo libero sono infatti un ciclista agonista che compete a livello nazionale ed internazionale. 

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