Sostenibilità e ‘novel food’: l’ostacolo è solo culturale

L’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (FAO), agenzia specializzata con lo scopo di contribuire ad accrescere i livelli di nutrizione, aumentare la produttività agricola, migliorare la vita delle popolazioni rurali e contribuire alla crescita economica mondiale, prevede che la popolazione mondiale raggiungerà nel 2050 oltre i 9 miliardi di persone, di  conseguenza la produzione alimentare globale dovrà aumentare del 60% per tenere il passo con questo incremento demografico. Nel frattempo il settore agricolo è tra i maggiori responsabili del riscaldamento globale data l’emissione di gas serra negli allevamenti intensivi e nelle risaie e di protossido di azoto nei campi fertilizzati. Il disboscamento inoltre, necessario alla creazione di nuovi campi coltivabili o da adibire al pascolo, produce anidride carbonica e accelera la perdita della biodiversità. L’agricoltura è poi la maggiore fonte di consumo e inquinamento dell’acqua provocato dal deflusso di fertilizzanti e letame. Per questo è indispensabile che la tecnologia, la ricerca scientifica e le metodologie di produzione del futuro siano orientate alla sostenibilità, alla riduzione degli sprechi e al risparmio.

The Future of Food and Agricoluture: Trends and Challenges (il futuro dell’alimentazione e dell’agricoltura: tendenze e sfide) rapporto della Fao del 2017, afferma che nonostante nel corso degli ultimi trent’anni siano stati fatti significativi progressi nella riduzione della fame nel mondo, l’espansione della produzione alimentare e la crescita economica hanno spesso comportato un costo pesante per l’ambiente. Quasi metà delle foreste che un tempo ricoprivano la terra sono ormai scomparse, le falde acquifere si stanno esaurendo, la biodiversità è profondamente erosa.  Il cambiamento climatico (maggiore variabilità delle precipitazioni, l’aumento della frequenza di siccità, le inondazioni) influenzerà tutti gli aspetti della produzione alimentare. Il tasso attuale di progresso non sarebbe sufficiente a sradicare la fame nel mondo per il 2050, sono necessarie dunque grandi trasformazioni. L’aumento di produzione necessario per soddisfare la crescente domanda alimentare dovrà provenire principalmente dal miglioramento della produttività e da una maggiore efficienza nell’uso delle risorse.

Qual è la sfida principale che dovremo affrontare?

La sfida principale è produrre di più con meno risorse, preservando e valorizzando le condizioni di vita dei piccoli agricoltori e garantendo l’accesso al cibo ai più vulnerabili. Il mondo necessita di passare a sistemi alimentari più sostenibili che facciano un uso più efficiente delle risorse, diminuendo allo stesso tempo i combustibili fossili, le emissioni di gas serra e conservando la biodiversità.

La promozione dell’innovazione, uno dei punti forti del rapporto della Fao, porta a chiedersi anche quale sarà il cibo di domani o meglio il cibo dei nostri figli. Il 2018 rappresenta un anno chiave per la svolta alimentare dell’intera Unione Europea. Dal 1° gennaio 2018 è in vigore il Regolamento(UE) n. 2015/2283 del 25 novembre 2015 che si occupa della regolamentazione della produzione e del commercio dei novel foodin Europa aggiornando la normativa precedente. I novel food (nuovi alimenti) sono alimenti che non vengono consumati in maniera significativa in Europa prima del maggio 1997, anno di entrata in vigore del regolamento CE 258 che regolamenta per la prima volta l’immissione sul mercato dei nuovi alimenti. A partire dal 1 Gennaio 2018 cambia l’iter di autorizzazione dell’immissione sul mercato dei ‘novel food’ e possono fare il loro ingresso sul mercato europeo gli insetti e i prodotti a base di insetti. Le alghe ad esempio sono tra i primi novel food giunti nel nostro paese e assieme agli insetti rappresentano i cibi che sicuramente consumeremo in futuro, ma non sono gli unici. Sono esclusi dall’elenco dei ‘novel food’: OGM, additivi, aromi e integratori alimentari.

La Fao ha promosso un programma per incoraggiare l’allevamento degli insetti in quanto sono molto nutrienti, hanno un alto contenuto di proteine, sali minerali e grassi. Visto che esistono oltre 1900 specie di insetti commestibili, nel 2030 si ipotizza che potrebbero essere sfamate oltre 9 miliardi di persone. L’allevamento è facilissimo, i sottoprodotti minimi (e riutilizzabili come compost) e la resa nutrizionale massima. Alcuni insetti, specialmente allo stato larvale, sono anche ricchi di lipidi e contengono importanti vitamine e sali minerali. Secondo la Fao più di 2 miliardi di persone fanno già uso di insetti per fini alimentari, e le specie commestibili in commercio sono oltre 1.900. In 36 paesi africani vengono consumate almeno 527 specie diverse, lo stesso avviene in 29 paesi asiatici ed in 23 paesi nelle Americhe. Per quanto riguarda il nostro continente, la Svizzera è stato il primo paese europeo a commerciare prodotti composti da insetti destinati all’alimentazione. Se in diversi luoghi del pianeta mangiare insetti alla griglia è considerato un gustosissimo sfizio, in buona parte del mondo occidentale associare la parola “insetto” a “cibo” genera perplessità. Eppure chi li mangia assicura che i grilli sappiano di gamberetti e che le tarme della farina abbiano il gusto di noci.

Un’altra fonte nutritiva del futuro sembra essere anche la medusa. Estremamente diffusa nei principali mari della terra, presto potremo trovarla anche nei migliori ristoranti. Con la diminuzione dei tradizionali predatori d’acqua salata quali tonni e tartarughe, la quantità di meduse nei mari è certamente in continua crescita e mangiarle potrebbe essere un buon modo per contrastarne l’aumento. Sono ricche di sostanze nutritive e allo stesso tempo facili da allevare. Sulle tavole orientali la medusa è largamente diffusa, viene servita fritta, essiccata oppure utilizzata nel sushi.

Da un punto di vista scientifico invece le microproteine potrebbero sfamare il mondo tra qualche decina d’anni. Parliamo di proteine che derivano da cellule di funghi, lieviti e muffe sperimentate negli anni ’80 per la prima volta con il Quorn. La fonte principale di microproteine di questo prodotto è una muffa cresciuta in vasche ripiene di sciroppo di glucosio. Il risultato del processo produttivo è un solido giallo. Questo è stato distribuito sia in Europa che in Nord America e venne concepito inizialmente come alimento da usare in periodi di carestie. Oggi è disponibile nelle più svariate declinazioni e gusti (dal 2004 al 2009 è stato utilizzato come componente dei burger vegetariani della catena McDonald’s). Ovviamente quando parliamo di microproteine ci riferiamo ad alimenti ancora in fase di sperimentazione. Il fatto di essere “frutto” di laboratorio però rende l’impatto ambientale potenzialmente minimo e sostenibile.

Totalmente frutto della natura sono invece le alghe, anch’esse radicate nella cucina orientale ma apprezzate ugualmente in occidente grazie ai recenti processi di globalizzazione e multiculturalità. Questo ‘novel food’ è facile da coltivare e nel 2008 è stato citato dalla Fao come alimento sul quale puntare nei prossimi anni. L’alga spirulina ad esempio ha proprietà benefiche, le alghe alimentari blu e verdi sono utilizzate per il controllo del colesterolo, le alghe rosse sono ricche di vitamina C infine le alghe brune sono le più apprezzate dagli amanti del sushi. Il business delle alghe è altamente remunerativo e sviluppato come dimostra il caso orientale. Sebbene ricche di sostanze benefiche e di minerali esse hanno un limitato apporto calorico, questo le porta ad essere un alimento complementare.

Come sarà l’alimentazione del futuro dunque?

Sarà più nutriente, più salutistica, ci sarà tanta tecnologia, avrà rispetto dell’ambiente, costerà poco e sarà accessibile a un grande numero di persone. Non sarà comunque molto lontana da quella attuale; gli scienziati, gli agricoltori e gli imprenditori stanno lavorando per un obiettivo comune: un futuro sostenibile con cibi sani e gustosi per tutti.

Alexandra Elena Bressan

Nata a Bucarest (RO) il 30 settembre 1995, residente a Padova, frequento l’università di Scienze Politiche, Relazioni Internazionali e Diritti Umani. Nonostante l’italiano non sia la mia lingua madre ho sempre amato scrivere e da bambina desideravo fare la giornalista o l’inviata speciale. Crescendo mi sono sempre più dedicata e interessata al volontariato e al campo dei diritti umani. Quando ho avuto la possibilità di svolgere uno stage per la testata giornalistica SocialNews ho pensato fosse l’occasione adeguata per creare un buon connubio tra i miei interessi passati e quelli attuali. Mi aspetto di imparare molto da questa esperienza, entrare a contatto direttamente con temi attuali e di grande valore, quali sono i diritti umani. 

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