Da Padova l’esperienza del Collegio Universitario Aspiranti Medici Missionari, una ONG che si occupa di salute e sviluppo nei paesi dell’area sub-sahariana
Marta Regattin
Medici con l’Africa Cuamm, acronimo di Collegio Universitario Aspiranti Medici Missionari, nasce nel 1950 nella diocesi di Padova da un’idea del professor Francesco Canova e del vescovo, Monsignor Girolamo Bortignon. Lo scopo originario era quello di formare studenti di medicina, italiani e stranieri, desiderosi di dedicare un periodo della loro attività professionale al servizio degli ospedali missionari e delle popolazioni più bisognose nei Paesi in via di sviluppo. Cuamm è una Ong che si occupa di salute nei Paesi dell’Africa Sub-sahariana. Attualmente, è attiva in Etiopia, Sud Sudan, Uganda, Tanzania, Mozambico, Angola e Sierra Leone. In passato, ha lavorato a lungo in Kenya e ha sostenuto un progetto in Rwanda.
Sceglie di investire in progetti sanitari di medio-lungo termine piuttosto che concentrarsi sulle emergenze: l’obiettivo è quello di migliorare in modo concreto e duraturo il sistema sanitario locale dei Paesi in cui interviene. I progetti di igiene e sanità pubblica sono molto ampi: includono il sostegno alle Università per la formazione di nuovi medici locali, alle scuole per infermieri e ostetriche locali e l’invio di medici, infermieri, tecnici di laboratorio, amministratori, logisti e farmacisti che lavorano in ospedali missionari e governativi poiché Cuamm non dispone di strutture proprie. “Riteniamo importante rimanere a fianco delle popolazioni presso le quali interveniamo per il tempo necessario a fare un pezzo di strada assieme: ecco il significato dell’espressione ‘con’ l’Africa” – spiega Giancarlo Ometto, medico volontario presente dal 1988 nel Cuamm.
Il dottor Ometto riferisce che la gran parte degli interventi si concentra nei Paesi africani bisognosi di supporto ai propri sistemi sanitari e che da soli non riescono a garantire risposte efficienti ed efficaci alla popolazione. In queste zone, le cause di malattie e morte sono molteplici e collegate tra loro: è difficile stabilire delle priorità tra i numerosi problemi da affrontare. “Chi lavora in Africa” – continua – “sa che chi non mangia a sufficienza si ammala più facilmente e più facilmente muore. La malnutrizione è endemica in moltissime aree, non solo nelle savane, ma anche, e specialmente, nelle baraccopoli delle grandi città. La mancanza di acqua pulita è un’altra fonte di malattie e decessi. Anche la guerra e le conseguenti migrazioni forzate rappresentano un’altra causa di sofferenza e morte. E fin qui non ho parlato delle malattie, che pure ci sono, facilmente prevenibili e curabili… se solo si volesse!”
Il dottor Ometto continua enumerando le malattie più diffuse: malaria, enteriti da acque e cibi contaminati, malattie infettive per le quali esistono vaccini (morbillo, TBC, tetano) o che possono essere curate, come Aids, sifilide, polmoniti. Le uniche emergenze definibili tali ogni giorno affrontate dal Cuamm sono le maternità a rischio, un problema costante: per affrontarlo è nato il progetto ‘Prima le mamme e i bambini’, che coinvolge 4 Paesi, 4 ospedali principali, 22 centri di salute periferici e 1.300.000 abitanti. Obiettivo del progetto è garantire l’accesso gratuito al parto sicuro e alla cura dei neonati raddoppiando in cinque anni il numero dei parti assistiti in quattro distretti di Angola, Etiopia, Uganda e Tanzania. L’impegno a combattere la mortalità materna e infantile rientra in uno dei grandi Obiettivi del Millennio stabiliti dalle Nazioni Unite. Le aree in cui è più difficile intervenire sono le zone di guerra e dove persiste instabilità politica. “Solitamente non andiamo in aree di guerra, ma capita che ci ritroviamo “dentro”, come in Sud Sudan. Cerchiamo, allora, di offrire il nostro contributo come possiamo, anche curando i feriti di guerra”. Nei Paesi in cui il Cuamm interviene, le istituzioni e i Governi locali accettano volentieri l’aiuto. Il lavoro dei volontari integra, infatti, la scarsa assistenza sanitaria “istituzionale”. “Abbiamo appena ricevuto un riconoscimento ufficiale dalle autorità governative locali e nazionali in Sud Sudan e ci vengono richieste sempre più spesso professionalità specifiche e certificate (come medici specializzati)” – continua Ometto. Anche tra la popolazione il servizio di qualità erogato dalla struttura sanitaria nella quale operano i volontari del Cuamm è riconosciuto e gradito: in questi centri, soprattutto ospedali missionari, viene accolto anche chi non può pagare il servizio sanitario “ufficiale”. Molte attività sono svolte sul territorio perché finalizzate ad aumentare la consapevolezza della popolazione sulla propria igiene.
Si tratta di interventi di educazione sanitaria, vaccinazioni, servizi di assistenza alle donne incinte.
“In questo ambito si cerca di trasmettere il messaggio che certe cure tradizionali (ben presenti ovunque) possono fare male e che non sempre l’ostetrica del villaggio può risolvere i problemi di una gravidanza. Si tratta di un lungo lavoro che svolgiamo da molti anni. Quando mi trovavo in Kenya, trent’anni fa, organizzavamo incontri mensili con i guaritori tradizionali per condividere questi temi e cercare il loro appoggio”. L’approccio del CUAMM è, dunque, multilaterale: assistenza sanitaria, educazione della popolazione e del personale medico locale, dialogo con i guaritori tradizionali.
Il dottor Ometto ha lavorato in molti Paesi, l’ultimo dei quali è teatro di una terribile guerra civile, causa, tra le altre cose, di una drammatica carestia: il Sud Sudan. “L’anno scorso, durante l’estate, ho lavorato per due mesi nell’ospedale di Lui. Quando sono arrivato, la situazione sociale era tranquilla, poi è ripartita la guerra. Per la prima volta mi sono trovato in una situazione del genere. Ciò che più mi ha preoccupato è stata la sicurezza della gente e del personale che lavorava in ospedale”.
In quel momento, all’interno dell’ospedale, l’equipe del Cuamm era composta da personale italiano, ugandese e keniano. “Da responsabile del gruppo, ho chiesto a tutti se desideravano essere evacuati.
Tutti abbiamo preferito restare. Una decisione molto apprezzata dalle autorità e, soprattutto, dalla popolazione, la quale, in tal modo, non si è sentita abbandonata.” Un ospedale aperto nelle aree di conflitto rappresenta una vera e propria protezione per donne, bambini, anziani e tutti i civili che poco hanno da spartire con gli scontri in corso: “Ricordo che, in quei giorni, molte persone sono venute anche solo a dormire in ospedale. Nei primi giorni, quando si sono sentiti in lontananza i primi colpi di artiglieria, sono sceso in ospedale per fare il giro in pediatria e ho trovato il reparto vuoto. Nella mia pluriennale esperienza in Africa, non mi era mai successo. Solitamente, le pediatrie, specialmente nella stagione delle piogge, sono sempre affollate a causa della malaria. Per capirci, la situazione è tale che ci sono due madri, con relativi figli, per ciascun letto, più le stuoie sul pavimento. Cos’era successo quel giorno? Le donne avevano già conosciuto la guerra degli anni precedenti. Hanno preferito fuggire nella foresta con i figli malati per evitare gli orrori del conflitto armato”. L’intervento medico fine a se stesso nei Paesi africani non risolve i numerosi problemi sanitari nel lungo periodo. Seppur utile, può al massimo aiutare a superare le fasi critiche, ammesso che, in questi luoghi, esistano periodi peggiori di altri. L’azione del Cuamm e di altre Ong simili è
molto importante. Non si limita all’assistenza sanitaria, ma sviluppa progetti multilaterali focalizzati soprattutto sull’educazione del personale sanitario locale e della popolazione. Questi interventi si pongono l’obiettivo del miglioramento duraturo del sistema sanitario locale affinché questo continui a funzionare bene anche dopo la fine dei progetti. Devono, infatti, essere garantiti servizi di qualità a tutta la popolazione e vanno proseguiti gli interventi di educazione sanitaria rivolti alle persone e le attività di prevenzione.
Marta Regattin, collaboratrice di SocialNews