Referendum in Turchia, il racconto di chi l’ha vissuto

Il 16 aprile 2017 in Turchia si è svolto un referendum popolare riguardo ad alcune modifiche costituzionali con l’obiettivo di trasformare il Paese in una sorta di “regime di un solo uomo”.

Il promotore della riforma, Recep Tayyip Erdogan, ha vinto con il 51,3% dei voti e il popolo turco pare aver dato così al presidente e al suo Partito della Giustizia e dello Sviluppo (Akp) il permesso di riorganizzare la struttura statale e fare piazza pulita di quei valori democratici moderni che cercavano di farsi strada nella stessa classe politica turca.

I poteri attribuiti al presidente con le modifiche costituzionali saranno molto ampi: il capo dello stato sarà infatti libero di nominare i giudici senza bisogno di consultare il parlamento, potrà sciogliere le camere ed emanare decreti legge, eserciterà un controllo esclusivo sulle forze armate ed avrà anche il potere di scegliere i dirigenti delle più alte cariche del settore pubblico. Inoltre, scomparirà la carica di primo ministro, creando così un sistema pressoché squilibrato e privo di controlli sul capo dello stato che diventerebbe anche capo di governo.

Un referendum movimentato, criticato e che ha visto l’opposizione turca soffrire di non poche difficoltà e limitazioni.

erdogan referendum interviste

Andrea e Zehra (saranno utilizzati due nomi di fantasia) sono marito e moglie, da qualche anno vivono ad Istanbul e sono stati protagonisti di questa campagna politica agitata e poco chiara. Andrea è italiano, gli chiedo come ha vissuto il periodo precedente al referendum, cosa sentiva e come i cittadini turchi vivevano questo momento politico molto importante, e lui comincia a parlare, come un fiume in piena: «Quest’anno capisco un po’ il turco e per questo ho potuto parlare anche di politica con le persone che conosco. Ho scoperto che c’è davvero gente a favore del referendum anche se non sempre si riesce a capire che ha messo la croce sul SI. È una situazione complicata, molti sostenitori del partito di Erdogan, l’Akp, non erano e non sono d’accordo sulla figura autocratica che già prima della vittoria del referendum lui rappresentava, perché il valore e il sentimento per Atatürk è ancora forte» Mustafa Kemal, meglio noto Atatürk o “padre dei turchi”, fu colui che nominò la nascita della Repubblica di Turchia, strutturando il nuovo paese nascente come uno stato basato sui principi moderni e laici.

«Tutti i nostri amici hanno votato No, ma come ti dicevo, ho incontrato persone favorevoli e, curioso, ho chiesto loro il motivo per cui avrebbero votato sì: “la risposta è semplice, uomo, Erdogan ha costruito strade, ponti, ha migliorato la vita di tutti noi”. Ai turchi piace la figura dell’uomo forte, che difende il suo paese e che promette equilibrio e stabilità».

Il leader turco ha infatti basato la sua campagna sulla rievocazione dell’instabilità politica ed economica del paese degli anni Novanta, quando al governo si sono succedute una serie di coalizioni che non sono state in grado di gestire le sfide che lo Stato si trovava di fronte.

«Tutto martellava per il SI, segue Andrea, le pubblicità, i media, i giornali, persino i datori di lavoro e le società sportive. Ho un amico musulmano-levita contrario alla radicalizzazione compiuta dall’Akp che lavora come arbitro e lui stesso mi raccontava che durante  il periodo precedente al referendum la federazione aveva mandato un’e-mail ai dipendenti ordinando di non esprimere la loro opinione, se negativa, sui social network, pena il licenziamento. Ho insegnato italiano ad una pallavolista di serie A e della nazionale, parlando della questione scottante del referendum mi diceva di amare il suo paese ma non la sua classe politica, sottolineando il fatto che comunque non si può parlare di questo se sei contrario perché rischi sempre che qualcuno ti denunci e di perdere quindi il tuo posto nella nazionale».

A questo punto gli chiedo come ha vissuto il cambiamento da cittadino italiano che vive nel Paese e lui mi risponde che «se non accendi la tv e non leggi i giornali non percepisci un vero e proprio cambiamento, perché non è un cambiamento eclatante, ma è piuttosto subdolo e manipolatore».

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Mi rivolgo poi a Zehra, lei è turca ed ha vissuto la questione in modo ancora più personale e diretto. Mi focalizzo in particolare sul perché della vittoria della riforma, perché le persone abbiano deciso di mettere da parte la “modernità” e tornare ad un modello che ricorda l’impero ottomano.

Inizia dicendo che «Erdogan è venuto da una famiglia non ricca, non ha avuto una vita facile, ha dovuto farsi strada nella politica, partendo dal basso con il ruolo di sindaco e fondando il suo partito della giustizia e dello sviluppo. Ha costruito il suo “impero” passo dopo passo, delicatamente e con molta attenzione, curando le relazioni e guadagnando proseliti che ora sono i suoi sostenitori. Lui ha aiutato i deboli, ha fornito aiuti, li ha difesi e possiamo dire anche corrotti. È diventato il rappresentante di quella parte politica che veniva esclusa perché non faceva parte né della destra né della sinistra, facendo sentire i più conservatori compresi e sostenuti.»

Il SI ha vinto infatti nelle campagne, dove il partito Akp dà da mangiare, dove ci sono le persone più povere, più ignoranti, dove non ci sono molte università, dove non c’è internet o tecnologia e dove non arriva nemmeno la strada per andare a scuola.

Zehra riprende fiato e un po’ sconsolata continua «comunque la vittoria referendaria non è stata legale. Il fatto che siano state accettate  delle buste senza timbro ufficiale dimostra come Erdogan sapeva che avrebbe avuto delle difficoltà di vittoria e che era necessario imbrogliare. Nel suo discorso dal balcone ha usato un detto turco “Chi ha preso il cavallo ha passato Üsküdar (un quartiere)” che significa che quelli che hanno votato per il NO, anche se obiettano le votazioni, devono accettare che ormai è tutto sotto il suo controllo, anche la commissione elettorale, e che quindi non c’è nulla da fare per poter cambiare le cose. Personalmente sapevo che l’opposizione non avrebbe potuto fare molto, ma in cuor mio speravo che cambiasse qualcosa, mi aspettavo che la commissione elettorale facesse qualche passo in avanti, invece sono stata delusa e amareggiata nel percepire una generale e rassegnata accettazione». Entrambi infine mi dicono che “scapperanno” dalla Turchia, che a breve torneranno in Italia, incapaci di tollerare il questo ennesimo cambiamento democraticida.

La repubblica turca ha sicuramente avuto sempre qualche difficoltà, ma ciò che è importante è che non ha mai smesso di coltivare l’aspirazione e il desiderio di divenire una democrazia. La nuova Turchia ha deciso il 16 aprile 2017 di voltare le spalle a questo sogno.

 

Anna Toniolo

Anna Toniolo, nata a Mirano (VE) il 1/marzo/1994. Studentessa al terzo anno di Scienze Politiche, Relazioni internazionali e Diritti Umani all’Università degli Studi di Padova. Viaggiatrice e curiosa incallita, giornalista in erba per passione, combatto per la verità e la giustizia per vocazione. Su SocialNews alimento la mia passione per il giornalismo e la scrittura, alimentando la mia attitudine verso la giustizia e facendo del mio meglio per trasmetterla a chi legge. Cosa sono per me i diritti umani? Sono il filo rosso che unisce ogni essere umano, sono ciò che ci dovrebbe sempre ricordare che, anche se diversi, siamo tutti uguali. Bandite le discriminazioni. 

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