Isis, lo stupro sistematico delle donne yazide

Lo Stato Islamico commette atrocità raccapriccianti ogni giorno. Reclamando l’appoggio del Corano gli uomini del Califfato operano con una crudeltà inimmaginabile colpendo chiunque non sia disposto a cedere alle loro pretese. Nell’estate del 2014 l’ISIS ha iniziato ad attaccare i territori attorno al monte Sinjar, situati nel nord dell’Iraq. Nel mirino c’era la comunità yazida, una minoranza religiosa che costituisce la maggior parte degli abitanti di quei territori, considerata dagli jihadisti come kuffar, infedele. Quella che sembrava essere un’azione militare come le precedenti ben presto si è dimostrata differente. I miliziani dell’ISIS, infatti, hanno messo in atto una vera e propria “conquista sessuale”. Dopo aver invaso i villaggi del Nord dell’Iraq gli uomini del Califfato hanno annunciato di aver ripristinato l’istituzione della schiavitù sessuale, dando avvio ad una prassi di stupro sistematico delle donne yazide.

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L’Isis e “la teologia dello stupro”

La “conquista sessuale” attuata nei confronti della comunità yazida era stata pianificata meticolosamente dai combattenti dello Stato Islamico. I guerriglieri, in questo modo, volevano procurarsi le loro schiave utilizzando lo stupro come arma di guerra. Una volta conquistati i territori attorno al monte Sinjar, infatti, gli uomini e i giovani della minoranza sono stati massacrati mentre le donne, se non volevano convertirsi all’Islam, venivano catturate per poi essere ammassate in piccole prigioni, dove potevano essere stuprate anche cinque volte al giorno.

Si è sviluppato così un vero e proprio mercato delle schiave: vendute per cifre irrisorie o addirittura regalate, queste donne subiscono, ancora oggi, umiliazioni e abusi costanti dai quali fortunatamente, molte sono riuscite a scappare. Il “dipartimento della ricerca e della fatwa” dell’ISIS ha addirittura diffuso un manuale di 34 pagine sulle regole di “gestione” delle schiave. Non ci sono molti limiti, né alcuna forma di tutela della dignità umana: anche le bambine possono essere stuprate.

Nel quarto numero di Dabiq, il giornale dello Stato Islamico, gli jihadisti giustificano la riduzione in schiavitù delle donne yazide attraverso un’interpretazione particolare dell’Islam. Secondo questa visione, da molti studiosi islamici contestata, gli yazidi, a causa del loro credo, sono considerati “adoratori del diavolo”. Lo stupro sulle donne di questa minoranza è, quindi, un atto di devozione voluto e giustificato dal Corano e, per questo, non può essere considerato peccato. Per i miliziani dell’ISIS, quindi, la violenza sessuale su queste giovani non è solo un diritto, ma soprattutto un dovere. In questo modo si avvicinano ad Allah. Inoltre, questa pratica consente ai combattenti di mantenersi puri non cedendo, così, alla tentazione di incorrere in relazioni illecite.

Grazie alle testimonianze di ventuno ragazze fuggite dalla prigionia degli jihadisti, e in base a varie comunicazioni ufficiali, Rukmini Callimachi, giornalista che si occupa di terrorismo per il New York Times, ha pubblicato un articolo nel quale spiega come il Califfato abbia elaborato, di fatto, une vera e propria “teologia dello stupro”. Le violenze carnali sulle schiave sessuali si presentano, infatti, come dei veri e propri rituali, ogni stupro è preceduto e seguito da una preghiera ad Allah. Secondo Callimachi, lo schiavismo sessuale ripristinato dall’ISIS sembra riguardare solo la minoranza yazida, non essendoci traccia di una violenza tale rivolta ad altra minoranza. Il manuale del “dipartimento e della fatwa” dell’ISIS però, permette anche lo stupro di donne cristiane ed ebree qualora si trovino in territori conquistati.

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I combattenti dell’ISIS, comunque, possono anche decidere di liberare le proprie schiave sessuali, concedendo così, a queste ragazze, una via di fuga. Una giovane yazida di venticinque anni ha raccontato al New York Times che il suo padrone libico, avendo progettato di sacrificare la sua vita facendosi saltare in aria, le concesse la libertà. Grazie ad un certificato di emancipazione firmato da un giudice dell’ISIS, infatti, la giovane ha potuto ricongiungersi alla sua famiglia. Questa testimonianza, come molte altre, rivela come l’istituto della schiavitù nello Stato Islamico sia caratterizzato da una intricata burocrazia.

Per le violenze e le umiliazioni subite, molte donne yazide, se non riescono a scappare, tentano il suicidio, come denunciato dalla deputata irachena Ameena Saeed Hasan. Pur di sfuggire alla “teologia dello stupro” preferiscono togliersi la vita.

Ogni tentativo di ribellione da parte delle prigioniere viene messo a tacere dagli jihadisti. A Mosul, per esempio, diciannove donne, che si sono rifiutate di sottostare alla schiavitù sessuale, sono state rinchiuse in una gabbia di ferro e bruciate vive davanti a moltissime persone che nulla potevano per fermare questa atrocità.

La lotta di Lamiya Aji Bashar e Nadia Murad Basee Taha

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Lamiya Aji Bashar e Nadia Murad Basee Taha sono due giovani attiviste yazide ex schiave dell’ISIS. Nel 2016 hanno ricevuto il premio Sakharov per la Libertà di Espressione dal Parlamento Europeo per la loro continua battaglia a difesa dei diritti inalienabili dell’uomo, nonostante le profonde cicatrici inflitte loro dai miliziani. Chiedono giustizia e invocano l’aiuto internazionale affinché nessuna donna o bambina della loro comunità subisca più violenze simili. Nadia Murad è oggi ambasciatrice Onu per la dignità dei sopravvissuti al traffico di esseri umani, in quanto superstite delle torture degli uomini dell’Isis. Nel 2015 ha portato la sua testimonianza come ex schiava di fronte al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.Sono stata violentata, torturata, costretta a indossare vestiti che non coprivano il mio corpo. Ho cercato di fuggire, ma una delle guardie mi ha catturata e picchiata, mi ha messo in una stanza con altri uomini e tutti hanno fatto quello che volevano finché non sono svenuta».

Non c’è limite all’orrore quando si parla di Stato Islamico. Le torture che le donne yazide sono costrette a subire violano tutti i più elementari principi umani. L’ONU ha accusato lo Stato Islamico del crimine di genocidio: sotto gli occhi del governo di Damasco, di quello turco e di tutta la comunità internazionale, infatti, si è compiuta una vera e propria campagna di pulizia etnica. Gli uomini del Califfato utilizzano la cultura dello stupro per violare le donne e privarle della loro dignità. Ma la comunità yazida non si piega e chiede giustizia e l’aiuto internazionale affinché queste minoranze non vengano lasciate sole ad affrontare “il male”.  Di fronte ad uno scenario fin troppo drammatico, il mondo deve agire per sconfiggere l’ISIS ma anche progettando un futuro per quelle terre e per le loro genti, martoriate da anni di violenze, affinché crudeltà del genere non si ripetano più.

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