Il despota, l’equilibrista e il “padre” della Nazione Populisti o “semplici” dittatori alla vecchia maniera?
Gabriele Lagonigro
Si stava meglio quando si stava peggio? Al bando ogni nostalgia per la defunta e ben poco democratica Unione Sovietica, ma, visto lo stato di salute di molte Repubbliche dell’ex mondo socialista, qualche rimpianto – forse – è più che giustificato anche per chi non professa simpatie comuniste.
Meglio dittatori che gay
Così parlò “sir” Aleksandr Lukashenko, Presidente (anzi “Batka”, padre, come lui stesso si fa “amichevolmente” chiamare dai suoi compatrioti) della Bielorussia. Un tipetto che dei principi illuministi se ne sbatte allegramente, considerando che, nel 2015, è stato rieletto per il quinto mandato consecutivo, in barba ad ogni norma costituzionale che lui e i suoi compagni di regime hanno smontato a piacimento dagli anni ’90 fino ad oggi. Nell’ultima tornata elettorale, ha vinto con quasi l’84% dei consensi.
La sua principale avversaria, la leader dell’opposizione Tatiana Korotkevich, si è fermata al… 4%. Neanche la Bulgaria dei tempi sovietici garantiva simili plebisciti.
Tutti innamorati di Lukashenko a Minsk e dintorni? Il Pil è in crescita costante, i redditi minimi sono stati alzati, il Paese è sicuro e, rispetto ai vicini, si vive meglio: la liberalizzazione selvaggia che ha minato le fondamenta sociali di molte altre Nazioni dell’ex blocco qui non ha attecchito.
Ma non è certo un’oasi felice la Bielorussia: manca la libertà e scusate se è poco. È l’ultimo Paese europeo in cui vige la pena di morte e i diritti umani qui non hanno residenza. Non è populismo, questo, perché il senso dello Stato, provenendo dall’apparato dell’Unione Sovietica,
Lukashenko ce l’ha insito nel suo dna, ma è un’idea di organizzazione statutaria che non ha niente a che vedere con quella di un Paese moderno. Anche perché, per la sua successione, si parla già dei suoi figli…
Sultano assoluto
Esistono modi diversi per manifestare il proprio potere. C’è chi lo esercita senza scrupoli mantenendo, però, un basso profilo, ma c’è anche chi lo ostenta apertamente, infischiandosene delle reazioni. Nursultan Nazarbaev è uno di questi. Il padre-padrone del Kazakistan ha trionfato nelle ultime elezioni presidenziali raccogliendo “solamente” il 97,75% dei voti. Un successo sul filo di lana, insomma… Un despota? Non ci sono sue statue d’oro in giro per Astana, ma chi lascia solo il 2% dei consensi all’opposizione può essere definito in altri modi? Eletto per la prima volta nel 1991, nel 1995 un contestato referendum ha esteso il suo mandato fino al 2000 per essere poi nuovamente candidato nel 1999 e nel 2005. La sua ultima rielezione è stata condannata dall’Osce, ma al Presidente kazako interessa ben poco, e a chi fa affari con lui ancora meno. Nel voto del 2011 si sono presentati tre oppositori: Nazarbaev, naturalmente, ha trionfato con il 95% dei suffragi ed uno dei suoi pseudo-sfidanti ha addirittura dichiarato che avrebbe votato per lui. Decoubertiniano?
È come se i 5 Stelle, alle prossime amministrative, votassero in massa per Matteo Renzi… Intanto, nel novembre scorso, in occasione del 25° anniversario dell’indipendenza, il Parlamento ha votato una dichiarazione per modificare il nome della capitale Astana. Come? Una parte propone di chiamarla Nursultan, gli altri, invece, Nazarbaev. Una sorta di “dio sole”, insomma.
La nuova Bibbia
“Chi leggerà per tre volte il mio libro conoscerà il divino e andrà in paradiso”. Così affermava, oltre un decennio fa, Saparmurat Niyazov riferendosi alla sua opera letteraria, il Rukhnama. Chi è (anzi era) costui? Il nome dice poco, ma è stato colui il quale ha retto, modellato e plasmato a suo piacimento il Turkmenistan, quasi 500.000 km2 nell’Asia Centrale, un’altra ex Repubblica dell’Unione Sovietica. Una dittatura monopartitica retta per 15 anni da questo soggetto stravagante e, allo stesso tempo, delirante, deceduto nel 2006. Paragonava il suo libricinoalla Bibbia e al Corano rendendolo obbligatorio in tutte le scuole del Paese, erigeva statue di se stesso, naturalmente dorate, modificava il calendario e toglieva arbitrariamente le pensioni ad oltre 100.000 cittadini a causa della crisi economica. La gente moriva di fame e lui se ne restava rintanato nel lusso più assoluto. Niyazov, con il suo Rukhnama, è passato a miglior vita, ma il Turkmenistan, suo malgrado, rimane sempre nel limbo.
A guidarlo, oggi, c’è il dentista dal nome impronunciabile Gurbanguly Malikgulyyewich Berdimuhammedow. Non pianta gli alberi in mezzo al deserto come il suo predecessore, ma continua a stravincere le elezioni con il 97% dei suffragi. E a fare affari d’oro, ad Est e ad Ovest, grazie ad un’apparenza sicuramente più presentabile rispetto al suo predecessore e ad alcuni interventi interni che hanno alleviato, almeno in parte, le sofferenze del suo popolo.
Il Turkmenistan vanta la quarta riserva mondiale di gas e dispone di petrolio in quantità industriale: a chi interessa, in Cina o in Europa, se la grandeur del dentista si abbatte come una scure sui propri avversari e se il culto della personalità non è molto dissimile dalle “tendenze” nordcoreane?
L’equilibrista
Nella scure delle dittature post sovietiche non si può dimenticare l’incantevole Uzbekistan di Bukhara e Samarcanda.
Fino a pochi mesi fa, qui vigeva la stretta del carismatico Islom Karimov, al potere (anche lui) per quasi 30 anni fino al settembre scorso, quando è mancato in seguito ad un’emorragia cerebrale. Galeotta, per tutti questi personaggi, fu la caduta dell’Urss: tutti, o quasi, questi liberisti fino al midollo provengono dall’ex apparato comunista e hanno allegramente dimenticato le loro origini nel Pcus. Ma in politica, si sa, la memoria è corta, a queste latitudini ed anche alle nostre.
Anche qui, in questa Repubblica in cui la popolazione professa al 90% la fede islamica, i referendum per allungare il potere del leader sono stati adeguatamente pilotati e gli avversari sono apparsi come comparse per garantire un minimo di apparente credibilità ad un sistema malato.
Di certo, Karimov è stato abile a destreggiarsi in politica estera, mantenendo buoni rapporti con Mosca, ma attirandosi,
ai tempi di Bush, le simpatie americane nella guerra ai talebani in Afghanistan. Un piede di qua ed uno di là, a seconda della convenienza.
Potere e miseria
Che dire, infine, del povero Tagikistan? È il Paese più arretrato fra tutte le ex Repubbliche sovietiche e, come gli altri, è caratterizzato da un uso del potere a scopi più clientelari che sociali. Il 60% della popolazione vive al di sotto della soglia di povertà e la corruzione è dilagante, così come lo è la prostituzione per sbarcare il lunario. Per tenere a freno la rabbia della popolazione e convogliarla verso un nemico esterno si agitano (a proposito di populismi) gli anacronistici, pessimi rapporti con l’Uzbekistan, considerato la causa di molti mali interni, assieme ad una retorica nazionalista e xenofoba, in alcuni casi addirittura contro Mosca, se è vero che molti cognomi sono stati “derussificati”. Buon per Emomali Rahmon, che da quasi
un quarto di secolo e con l’86% dei voti alle ultime (poco libere) elezioni, tiene in mano (ed in scacco) Dushanbe ed il resto della Nazione.
Gabriele Lagonigro, direttore di City Sport e co-caporedattore di SocialNews