Essere turista è (anche) aprire la mente

Il turista informato e consapevole riesce a godere anche di posti massificati, scansandone gli aspetti meno gradevoli

Davide Giacalone

Va prestata attenzione a non assumere un atteggiamento snobistico ed elitario, semmai suggerendo un approccio costruttivo e utilitario. Il turismo non rappresenta solo una grande industria, ma anche la positiva realizzazione del desiderio di viaggiare e conoscere posti nuovi. È un consumo, ma anche un’apertura mentale. I guai cominciano quando il turismo consuma i posti che frequenta, quando costa (magari in termini di distruzione o de-pauperamento) più di quel che produce. Se si va a vedere bene, però, si scopre che la gran parte del turismo distruttivo e insostenibile (fuori dai casi criminali o degradanti, come il turismo sessuale che evidenzia la mancata tutela dei bambini) è, prima di tutto, mancanza di conoscenza e di organizzazione.
Il turista informato e consapevole riesce a godere anche di posti massificati, scansandone gli aspetti meno gradevoli. Gode di un vantaggio, quindi. Si potrebbero portare migliaia di esempi. Il più conosciuto e immediato, forse, è la nostra Venezia: anche nei giorni più insopportabilmente affollati, basta uscire dal circuito standard, scendere dalla giostra a giro fisso, e ci si ritrova per calli normalmente popolate, potendo apprezzare la città lagunare in tutta la sua magia. Per di più, scantonando, si riesce anche a bere e mangiare senza lasciare in pegno tutti i propri averi. Ed è così ovunque.

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L’errore spesso commesso consiste, da parte di chi vende e da parte di chi acquista turismo, nel targhettizzarlo, dividerlo in livelli di mercato, solo a seconda della capacità di spesa.
Occorre dividerlo anche secondo la capacità di conoscenza. Cosa che, poi, avviene spontaneamente, ma con maggiore difficoltà.
Altra faccenda sono gli insediamenti turistici, che comportano consistenti investimenti e, qualche volta, violentano quello stesso posto che intendono vendere. Quando capita, significa che c’è un fallimento del mercato, con ogni probabilità indotto da rapporti illeciti fra l’investitore e le autorità locali.
Nessuno, sano di mente, danneggia quel che vuole vendere. Capita quando si vende una copertina e poi si consegna al cliente un loculo cementificato. Questo, però, non significa affatto che il solo turismo possibile sia quello che spinge investimenti di recupero ambientale e culturale. Insomma, per intendersi, non significa che i soli alberghi leciti siano quelli lussuosi, capaci di recuperare residenze d’epoca e restituirle agli antichi splendori. Andare in vacanza in un villaggio artificiale, con tutti i confort e i divertimenti, spazi dedicati ai bambini (nel senso che te li tengono, suvvia, cerchiamo di non essere ipocriti), discoteche e altre occasioni d’intrattenimento, è del tutto lecito e non si vede perché si debba considerarlo con commiserazione.
Solo che non c’è ragione alcuna di collocare questi universi chiusi laddove la storia ha lasciato il suo segno o la natura è irripetibile. C’è un sacco di spazio disponibile senza che si compiano scempi.
Ci sono anche gli insediamenti turistici galleggianti, capaci di sollazzare migliaia di persone durante la crociera, salvo poi farle sbarcare, tutte contemporaneamente, in posti non sempre capaci di reggerle.
Qui si mescolano due questioni. Una è relativa alle rotte e agli approdi: essere visitati da quelle navi è ricchezza (l’estate 2015 ne ha portata molta in più in Italia a causa dell’insicurezza che aveva colpito le coste nord dell’Africa), ma per conquistarla non c’è bisogno di spingere questi villaggi naviganti nelle oasi naturalistiche o dove la loro presenza diventa un pugno nell’occhio.
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L’altra questione è relativa alle strutture che si incontrano una volta sbarcati: se sono carenti è segno che chi riceve quei turisti non ha minimamente imparato a guadagnarci, come sarebbe sano.
Un caso classico è Napoli: con quei flussi potrebbe rendere ricca e funzionante Pompei (solo per citare un sito), mentre l’intasamento allo sbarco serve solo a rifilare qualche pizza farlocca e qualche merce contraffatta. Come prendersi il meno lasciando il più.
Il turismo è una gran bella cosa, per chi lo pratica e per chi lo vende e lavora.
Quello insostenibile nasce dalla speculazione di chi baratta il proprio guadagno immediato con la distruzione o l’impoverimento di quel che vende. Sembra una furbata, ma è un baratto miserabile e che crea povertà.
Tutto questo senza dimenticare che l’Italia, posto meraviglioso e meta più frequentata dai turisti che arrivano da Paesi esterni all’Europa, è miracolosamente riuscita a restare totalmente estranea al mercato delle piattaforme di prenotazione. Non possiede un sito turistico multi-lingue proprio, non ha neanche un elenco aggiornato e utilizzabile degli alberghi e dei ristoranti, possibilmente geolocalizzati. Un caso di ciclopica demenza. Davvero insostenibile.

Davide Giacalone, Editorialista di RTL 102.5 e Libero

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