Colpiamoli anche noi, grazie all’intelligence

La nostra storia “interna” non ci ha risparmiato il terrorismo. Facciamo tesoro dell’esperienza vissuta sulla nostra pelle per affrontare le minacce contemporanee

Davide Giacalone

davide-giacaloneI terroristi islamici non sono “fedeli che sbagliano”, ma fondamentalisti convinti che la loro morte e la morte degli infedeli migliorerà il mondo e onorerà la divinità. Che ne siano convinti per autofanatizzazione, indottrinamento o rincitrullimento di cui altri approfittano è più un problema loro che nostro. Quello nostro è di neutralizzarli, anche usando la forza. Per riuscire a farlo, però, dobbiamo avere le idee chiare e non commettere lo sciagurato errore di credere alle parole dei terroristi, identificando una fede con l’operato dei tagliagole e delle bombe umane.
Per riuscire a farlo, anzi, aiuta molto il contributo delle comunità islamiche presenti nel nostro Paese e nella nostra Europa: devono non solo prendere le distanze, ma anche condannare duramente i dementi della guerra santa. La nostra storia “interna” non ci ha risparmiato il terrorismo. Era forte, organizzato, appoggiato dall’estero, galleggiante su un bacino di consenso ben più numeroso di quanti non riuscisse ad arruolarne fra gli assassini. Non è questa la sede per occuparcene approfonditamente (ma si deve farlo, perché rappresenta una pagina recente e importante della nostra biografia nazionale), ma nel contrastarlo si girava a vuoto fino a quando s’è continuato a non voler vedere che si trattava di organizzazioni con una forte base ideologica, la cui radice s’intrecciava con quella del più grande partito della sinistra, quello comunista (il terrorismo fascista è stato fenomeno diverso, non meno criminale, ma diverso). Non si colpiva in modo efficace fino a quando li si è sottovalutati, a cavallo fra i “compagni che sbagliano” e la speranza che si estinguessero dopo i primi arresti.
La loro forza e la qualità del loro attacco alle istituzioni costrinse tutti ad aprire gli occhi. Li aprirono bene i dirigenti del partito comunista italiano, che si resero conto di quanto quel fenomeno li riguardasse da vicino. Erano, quindi, i primi ad essere interessati ad estirparlo, anche se le radici, appunto, erano nutrite da ambienti internazionali e finanziamenti non troppo distanti dai propri.

Fenomeni molto diversi, certamente, ma, come si vede, con qualche significativa analogia. Come quei terroristi non erano “sedicenti” comunisti, ma comunisti, i terroristi non sono sedicenti Islamici, ma Musulmani a pieno titolo. Se si vuole schiacciarli, come si deve, quel titolo va loro tolto. E, ancora una volta, i più interessati sono quelli che se li trovano fra le radici. Gli altri, ovvero noi, hanno il dovere di saper distinguere e trovare gli strumenti adatti a colpire. Anche in questo la storia ci aiuta a sapere che gli stessi finanziatori e collaboratori logistici non la prenderanno bene, ma non sono nella condizione di uscire allo scoperto e farne una questione diplomatica. I colpi che sferreranno saranno sotto il tavolo. Bisogna attrezzarsi per colpire anche noi, sotto il tavolo.

Il modo migliore per farlo è l’uso dell’intelligence. Le prime organizzazioni fondamentaliste non erano infiltrabili, ora la situazione è cambiata. È vero che provano sempre ad utilizzare gruppi familiari, ripetendosi i casi di fratelli mandati ad agire e morire, ma è anche vero che la qualità degli arruolamenti è assai decaduta.
Fra quanti hanno agito, più di recente, ce ne sono che fino a qualche settimana prima bevevano, si drogavano e andavo a puttane. Non si tratta di esprimere un giudizio morale, ma di osservare che non trattasi esattamente dei costumi del Musulmano devoto e osservante, pronto a rimbambirsi fino a divenire milite della guerra santa.
Per colpirli vanno anche presi sul serio. I loro proclami non sono “deliranti”, sono lucidamente assassini.
Il che autorizza le forze di sicurezza ad intervenire nel più brusco dei modi. È vero che in una guerra asimmetrica, in cui le forze di sicurezza difendono tutto e tutti, mentre il terrorista colpisce solitario dove e quando gli pare, il secondo è avvantaggiato, al punto che la sicurezza assoluta non è agguantabile, ma è anche vero che la forza d’osservazione e selezione, da parte dello Stato, è assai maggiore. Va usata. Il che comporta anche una collaborazione vera fra i servizi delle diverse Democrazie europee.

Noi, per loro, siamo un bersaglio unico, non ha senso che ci siano contrasti plurimi. S’è visto che i Paesi più esposti sono proprio quelli in cui la prevenzione, quindi la conoscenza delle persone e delle zone, o la repressione immediata, quindi il monitoraggio dei movimenti e delle fughe, hanno funzionato di meno.
Se non vogliamo morire di paura dobbiamo superare la paura di reagire. Ma occhio a non fare confusione: la guerra santa l’hanno in mente loro, il nostro interesse è opposto, consistente nel combatterli senza chiamare in causa divinità. Né al seguito, né a contrasto. Capisco il senso di chi, facendo politica in giro per il mondo, va dicendo: fermiamo i Musulmani. Fa il surf su una paura collettiva. Non sono del tutto sicuro che loro sappiano dove vanno a parare: verso la distruzione del nostro mondo. Abbiamo, infatti, un solo modo per riuscire a perdere ed essere sopraffatti: utilizzare il linguaggio dei fondamentalisti praticandone anche la raffinatezza culturale e la ricercatezza dei modi. Allora sì che saremo persi. Cosa che escludo possa mai accadere.

Davide Giacalone, Editorialista di RTL 102.5 e Libero

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