La Comunità di Sant’Egidio apre ai richiedenti asilo

A partire dal mese di gennaio, sarà possibile per mille persone ottenere un visto per raggiungere legalmente il nostro Paese. L’iniziativa, unica nel suo genere, è promossa in collaborazione con la Federazione delle Chiese Evangeliche italiane

Paolo Parisini

Schermata 2016-02-19 a 18.23.21Sulla questione migranti esiste una percezione mediatica, anzi, mediatizzata, del problema, che spesso ne confonde la reale comprensione. Ci sembra di vivere in uno stato di emergenza continuo, tale che perfino le rare “pause” di aggiornamento da parte di questa informazione divenuta ormai liquida – un calderone che tende a omogeneizzare i commenti nei social e gli editoriali – sembrano solo il minaccioso accumulo delle notizie sulle ondate che verranno.
Oltre ad ingrassare le paure dei cittadini ed a fomentare i nazionalismi, in Europa il problema immigrazione provoca una paralisi di idee nelle classi politiche moderate, preoccupate di non perdere un cauto equilibrio elettorale. Un cortocircuito che sembra infinito.

Episodi come quelli di Colonia, esempio di brutale maschilismo al di là di ogni speculazione etnica, rischiano, inoltre, di accantonare ogni residuo di pietas nei confronti di queste masse di disperati.
Non c’è Siriana incinta, né giovane Afghano con segni di tortura che possa sgonfiare la bolla di rabbia e indignazione. Come in una specie di distorta logica del taglione, arrivano annunci di chiusura, come quello della Slovacchia, per cui a “pagare” per il reato di decine di criminali sarebbero migliaia di loro conterranei del tutto estranei alla triste vicenda. Vi ricordate di Aylan, riverso sulla spiaggia turca? Forse non esiste più. Forse, per qualcuno, semplicemente non è mai esistito.
Del resto, per cancellarlo, è bastato cliccare sulla X in altro a destra dell’immagine.
In tutta la sua disarmante banalità, si ripropone ad ogni livello il medesimo problema: non la paura dell’immigrato, né la difesa delle frontiere, ma la pervicace negazione dell’esistenza dei profughi.
La negazione oltre ogni evidenza. “Non esistono” quelle file di giovani in caffettano fuori dalle questure, è una specie di allucinazione qualsiasi traccia di bivacco, materassi e coperte, scarpe e taniche di plastica. Tutto ciò “non esiste”. Resta nel limbo della transitorietà perché non è ancora digerito dall’Europa – dai comuni cittadini alle istituzioni – come una realtà storica oggettiva.
Si continua a gestire il problema come un’“emergenza” confidando possa magicamente cessare da un momento all’altro.

L’immobilismo europeo e la sua limitatezza di vedute nell’ambito dei flussi migratori traggono la loro ragion d’essere in questa puerile negazione, in questa inerzia fatalista del “Non può piovere per sempre”. Tocca, così, al terzo settore guardare in faccia il problema, pescando dall’ingegno della gente comune che vede la realtà senza gli occhiali di posizioni ideologiche o strategie politiche.
Tra questi casi rientra il progetto ecumenico che vede coinvolti la Comunità di Sant’Egidio e la federazione delle Chiese Evangeliche italiane per l’apertura dei primi corridoi umanitari di profughi verso l’Italia, con particolare riferimento alle categorie più vulnerabili, quali donne, bambini, anziani e persone malate. Siglato agli inizi del Giubileo della Misericordia, il progetto si configura come “un vero e proprio accordo di pace”, secondo le parole del Presidente di Sant’Egidio, Marco Impagliazzo, “in quanto permetterà di salvare tante vite umane”.
L’esperimento pilota, che parte con un budget di un milione di Euro, prevede che un migliaio di persone possa transitare attraverso alcuni desk situati in Marocco, Libano ed Etiopia per giungere nel nostro Paese con visti rilasciati per “motivi umanitari” a spese delle associazioni promotrici.
Niente viaggi della morte, niente bare galleggianti, sicurezza per i profughi e, allo stesso tempo, misure di identificazione e controllo più efficaci e puntuali nel Paese di destinazione.
Questi rifugiati verranno poi accolti in Lazio, Piemonte, Sicilia e Toscana, dove potranno beneficiare anche dei corsi di lingua e cultura italiana promossi da Sant’Egidio.

Un modello di iniziativa privata con l’ausilio delle autorità consolari che si auspica possa venir replicato in altri Paesi dell’Unione Europea. Un modo per affrontare il “problema nel problema”: come potrebbe altrimenti una famiglia con bimbi piccoli o una persona anziana sopravvivere alle lunghe e tremende traversate sulle carrette del mare? Nondimeno, rappresenta una visione sull’Europa: qualcosa che nasce dalla comprensione che il mondo, il “vecchio continente” a cui eravamo abituati, sta cambiando e che noi non possiamo più permetterci di subire la storia ignorandola. Da un bel pezzo, ormai, si parla di un crollo sistemico dell’Occidente. Il crollo del modello europeo, com’è concepito oggi, produrrebbe il rumore di un fruscio assordante, tonnellate e tonnellate di scarti di burocrazia. Non possiamo aspettare eternamente il risveglio di Bruxelles, né, tanto meno, permettere che pensiero e azione vengano delegati ad irascibili partiti xenofobi. Forse, oggi è il tempo di una rinnovata iniziativa della società civile europea, dai progetti delle associazioni all’apertura delle famiglie che ospitano i profughi, dai medici volontari nei campi improvvisati ai pescatori siciliani che salvano un uomo in mare. Una rivoluzione culturale che parte dal basso ed è già in atto.

Paolo Parisini, Presidente della comunità di Sant’Egidio,Trieste

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