Quanto è probabile una guerra civile in Turchia?

I recenti scontri tra membri della diaspora curda e turca in Europa riflettono la violenta transnazionalità di questo conflitto

Barzoo Eliassi, Elena Fiddian-Qasmiyeh

ImmagineIl violento attacco ad una pacifica adunanza pro-curda ad Ankara il 10 ottobre è scioccante, atroce e non rappresenta un’anomalia. Fa parte di una tendenza storica e contemporanea più ampia: i Curdi sono stati a lungo esposti a diverse forme di violenza in Turchia e, più in generale, in Medio Oriente.
In Turchia, le esperienze di governo curdo – secolari-kemaliste ed islamiste – mostrano che questo popolo non può contare sull’attuale maggioranza per vedersi riconoscere i diritti politici.
Questo poiché la sua voce politica e le sue rivendicazioni vengono considerate una minaccia all’unità e all’integrità territoriale
della Turchia. Le voci curde – comprese quelle espresse nelle adunanze pacifiche – sono percepite da molti come una sfida diretta ai Turchi etnici: ostacolano, infatti, la loro volontà di governare lo Stato e la Nazione turca. L’organizzazione politica della Turchia costituisce un esempio di etnocrazia: garantisce i cittadini ed i loro diritti su base etnica. L’etnia al potere pretende di vantare la proprietà dello Stato, controlla i suoi cittadini e si riserva il monopolio del potere. Al contrario, i Curdi si oppongono all’ideologia secondo la quale i Turchi etnici sono i padroni dello Stato, godono di una posizione dominante in virtù dell’appartenenza ad un’etnia e beneficiano della facoltà di assegnare i diritti e distribuire le risorse nella società. In questo senso, riconoscere i diritti ai Curdi viene interpretato come rendere la Turchia meno turca e più curda. Ciò spiega perché molti Turchi etnici siano intimiditi dalla parola “Kurdistan”, come dimostra la nostra ricerca sulla diaspora curda. Una motivazione fondamentale alla base della recente violenza abbattutasi in Turchia è che i Curdi hanno registrato un inatteso successo alle recenti elezioni: il Partito Democratico del Popolo (HDP), pro-curdo, ha impedito al Presidente Erdogan di realizzare il suo sogno di creare una Repubblica presidenziale. Ciò gli avrebbe garantito poteri maggiori di quelli detenuti dal Parlamento. Allo tempo stesso, nonostante i Curdi siano risultati le prime vittime dell’ascesa dell’ISIS, si sono anche affermati come gli avversari militari più forti nel Kurdistan iracheno e nel Rojava, la regione della Siria a maggioranza curda. La città di Kobane, sita nella suddetta regione della Siria, è divenuta il simbolo della resistenza curda. Ha garantito a questo popolo un crescente riconoscimento internazionale e la legittimità a risiedere nella regione. Si può anche ipotizzare che le recenti manifestazioni di violenza ai danni dei Curdi discendano proprio dal successo, nazionale ed internazionale, riscosso a fronte dei successi militari ottenuti contro l’ISIS.
Il Presidente Erdogan è ben consapevole che il nazionalismo ufficiale spesso converge con quello popolare. Ciò spiega gli attacchi delle ultime settimane contro obiettivi istituzionali – le sedi dell’HDP pro-curdo – e personali – i piccoli negozi di proprietà curda. Chiarisce anche perché la violenza abbia “viaggiato” (per utilizzare un termine di Edward Said) dal Medio Oriente all’Europa, con i violenti scontri verificatisi tra le grandi comunità della diaspora curda e turca in Germania e in Svezia.

Diaspore apolidi in Europa
In Turchia, una delle questioni chiave della contesa è l’asserzione che i Curdi siano determinati a dividere il Paese, istituendo uno Stato curdo indipendente. Una nostra ricerca iniziata nel 2011, parte di un progetto comparativo più ampio su “Diaspore apolidi curde, palestinesi e rom nella UE”, operata sui Curdi residenti nel Regno Unito e in Svezia ha esaminato come questo popolo, nella diaspora, interpreti la sua apolidia e l’attaccamento ad una Patria nel Medio Oriente. I membri curdi della diaspora nell’Unione Europea rappresentano, in parte, il prodotto della violenza politica attuata in Medio Oriente e sono spesso particolarmente coinvolti nella lotta. Nel Regno Unito ed in Svezia, questa etnia conta individui, famiglie ed intere comunità emigrate o scappate non solo dalla Turchia, ma anche da Siria, Iraq ed Iran. Nonostante le differenze interne, su tutti domina il medesimo interrogativo: come sottrarsi alla violenza di cui sono storicamente vittima e che si perpetua anche ai giorni nostri? Da una parte, la ricerca conferma che molti Curdi di Iraq, Iran e Siria vedono nel federalismo e nell’indipendenza la soluzione al dramma della continua violazione dei propri diritti. Al riguardo, è forte il desiderio di fondare uno Stato curdo indipendente nel Medio Oriente. Al contrario, altri appartenenti a questa etnia indicano proprio nella rivendicazione di uno Stato indipendente, e nel capitalismo, le motivazioni della discriminazione subita. In questo senso, molti Curdi “europei” non cercano la nascita di un nuovo Stato, ma una maggiore tutela dei propri diritti. Questa visione è condivisa anche da molti Curdi residenti in Turchia: essi hanno abbandonato il nazionalismo ed ambiscono ad un nuovo ordine sociale nel quale le diverse comunità etnico-politiche possano convivere in modo egalitario e non discriminante. La maggior parte degli intervistati, favorevoli o contrari all’indipendenza e al federalismo, ha comunque lamentato il fatto che i Curdi rappresentino un “popolo negato” sia in Medio Oriente, sia nella diaspora: la loro rivendicazione di esistenza politica viene, infatti, consideratadestabilizzante per il Medio Oriente. Storicamente, la stabilità considerata della regione è sempre stata associata alla repressione delle discriminazioni politiche, etniche e religiose, come sperimentato non solo dai Curdi, ma anche da altre etnie vittime di soprusi in occasione della cosiddetta Primavera Araba. In conclusione, finché i Curdi continueranno a subire violenze e discriminazioni in Medio Oriente, i residenti nella regione ed i membri della diaspora continueranno la lotta politica e militare.

Visti come una minaccia
Nel complesso, la nostra ricerca indica che i conflitti politici tra il movimento curdo e lo Stato turco non sono delimitati entro le frontiere della Turchia, ma si estendono anche ai Paesi europei meta di una grande diaspora, sia curda, sia turca. I recenti scontri avvenuti in Europa riflettono la violenta transnazionalità del conflitto: la violenza – allo stesso modo espressione di oppressione e di resistenza – sta “viaggiando” nel tempo e nello spazio.
La diaspora curda viene vista da quella turca come un braccio esteso del PKK; dal canto loro, molti Curdi pensano che i Turchi “europei” rappresentino l’oppressione transnazionale perpetrata in Patria. Se la recente violenza in Turchia possa o meno condurre ad una guerra civile, dipende dalla reazione degli altri partiti e dei loro sostenitori. Finché il conflitto viene interpretato come circoscritto all’AKP al Governo ed al PKK, la guerra civile resta un evento improbabile. Un aspetto è particolarmente evidente: la politica anti-curda e le violenze persisteranno finché la rivendicazione curda ad un’identità politica verrà vista come una minaccia e non come una modalità per reclamare il rispetto dei diritti, fra i quali quello di veder riconosciuta la propria presenza, politica e di fatto, in Medio Oriente.

Articolo pubblicato precedentemente su Open Democracy, traduzione a cura di Elena Cavucli

di Barzoo Eliassi, senior lecturer at Linnaeus University
e Elena Fiddian-Qasmiyeh, lecturer in human geography at University College London

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