DALL’AVANGUARDIA FINLANDESE AI DISASTRI DELL’EUROPA DELL’EST

Lorenzo Degrassi

Gli istituti penitenziari scandinavi rappresentano un modello da imitare. Peggiorano, invece, le condizioni di Gran Bretagna e Irlanda. Male la Bulgaria, mentre, in Bielorussia, vanno in carcere… i disoccupati.

Se le carceri italiane assumono le sembianze di una polveriera sul punto di scoppiare, con un sovraffollamento superiore solamente a quello di Cipro e Serbia, nel resto d’Europa la situazione non è certo più rosea. Secondo l’ultimo report del Consiglio d’Europa, che comprende 47 Stati membri, di cui 28 facenti parte dell’Unione Europea, i detenuti nei Paesi aderenti alla UE sono circa 600.000. La cifra triplica, arrivando a circa 1.680.000, se consideriamo anche gli Stati extra UE, come, ad esempio, Russia e Bielorussia. I numeri emersi dall’analisi eseguita dal Consiglio d’Europa e dall’“International Centre for Prison Studies“ sull’affollamento carcerario in Europa sono particolarmente interessanti e forniscono un quadro abbastanza preciso della situazione della popolazione carceraria nel nostro continente.

Il dato più rilevante, soprattutto per quanto riguarda l’Italia, è quello concernente la presenza di detenuti ogni cento posti disponibili all’interno delle prigioni. Il rapporto delinea immediatamente la dimensione del fenomeno del sovraffollamento, tema da sempre molto dibattuto: in media, gli istituti italiani ospitano 140 detenuti ogni 100 posti teoricamente disponibili. In Europa, come detto, in questa particolare graduatoria risultiamo migliori solo di Cipro (147,5 su 100) e Serbia (146,8 su 100). Fanno, invece, poco meglio di noi Malta (137,39), Ungheria (135,9) e Grecia (135,3). Non va meglio in molti altri Paesi. Secondo lo studio, infatti, si stima che ben 19 Stati europei (extra e in-UE) scontino una popolazione carceraria che supera la capienza infrastrutturale nazionale. Analizzando da vicino queste 19 Nazioni, forse non è un caso che ben 12 di esse appartengano all’area orientale: fino a vent’anni fa, la situazione era di gran lunga inferiore a qualsiasi canone di umanità. Fa, inoltre, specie che, dei Paesi cardine dell’Unione Europea – Germania, Francia, Gran Bretagna, Italia e Spagna – solamente il nostro e quello transalpino si piazzino in questa poco encomiabile graduatoria (la Francia si pone all’undicesimo posto, con una rapporto di 116,83 su 100). Di certo, non un bel biglietto da visita per il Vecchio Continente.

Svariate le strade intraprese dai singoli Paesi, in passato e tuttora, per cercare di vuotare le strutture penitenziarie. Su tutte, l’indulto, applicato in Italia in via emergenziale. L’operazione, tuttavia, presenta dei pro e dei contro da valutare attentamente prima dell’applicazione. Vediamo più da vicino alcune situazioni peculiari e come un Paese abbia escogitato un metodo finora efficace per ridurre la popolazione carceraria.

TERZO MONDO? NO, LE CARCERI DI SUA MAESTÀ

Violenza all’interno delle strutture, cronica mancanza di personale, sovraffollamento (anche se non paragonabile ad altre situazioni  europee) e celle nelle quali non si terrebbe nemmeno l’animale più abbietto. Non stiamo parlando del terzo mondo, ma della drammatica situazione in cui versano le reali prigioni della Gran Bretagna. Secondo l’Ispettorato per gli istituti di reclusione di Sua Maestà, queste hanno raggiunto il loro livello peggiore degli ultimi dieci anni. I dati mostrano che, soltanto lo scorso anno, ben 239 reclusi sono deceduti dietro le sbarre, il 29% in più rispetto a cinque anni fa. Parallelamente, c’è stato anche un costante aumento di episodi di autolesionismo, mentre gli assalti al personale sono saliti del 28% rispetto al 2010. Una situazione in rapida incandescenza, per la quale urge trovare un rimedio efficace. Sempre secondo l’Ispettorato, risulta necessario prendere in considerazione le pene alternative alla detenzione, se si intende far scendere la popolazione carceraria dell’isola, attualmente attestata a quota 86.000.

RIMEDI FINLANDESI

Fino agli anni ’70, la Finlandia aveva le carceri più affollate d’Europa e ciò pur trattandosi di una Nazione dal basso profilo criminale. Poco più di trent’anni dopo, la stessa ha dimezzato il suo tasso di detenzione ed è diventata un modello da imitare. L’ingrediente principale di questa trasformazione relativamente rapida è la cosiddetta prigione “aperta”. Ossimoro concettuale, ma pare funzioni. Come? Semplicemente togliendo le classiche barriere architettoniche delle prigioni “vecchio stampo“: niente più sbarre, né uniformi. Al posto delle tradizionali celle vi sono stanze singole, mentre docce, cucine, televisioni e saune sono in comune. I detenuti passeggiano all’interno della casa circondariale, coltivano l’orto, vanno a pesca, ma, soprattutto, per 7 euro l’ora, lavorano. Nei casi previsti ricevono assistenza per uscire dall’alcolismo o dalla tossicodipendenza. Su tutto il territorio finlandese si contano tredici istituti di questo tipo, i quali ospitano più di 1/3 della popolazione carceraria. Il vantaggio è triplice: oltre a garantire migliori condizioni per i detenuti, gli stessi vengono preparati al reinserimento nella società attraverso costi di gestione decisamente bassi, mediamente inferiori del 33% rispetto a quelli tradizionali. Questo cambiamento “genuinamente riabilitativo“ è stato intrapreso a partire dal 2005, iniziando con la sostituzione della pena per i crimini non violenti con lavori socialmente utili. Tale fattore ha condotto ad una forte diminuzione dei detenuti senza, al contempo, un aumento della recidiva.

LO STRANO CASO DELL’IRLANDA

Paradossale: nel periodo 1995-2013, in Irlanda i crimini sono diminuiti, mentre il numero di carcerati è aumentato del 57%. Evidentemente, la cultura penale dell’isola verde presenta qualche lacuna. La situazione ha richiamato l’attenzione della Commissione Giustizia del Joint Oireachtas, la quale ha richiesto al Governo di assumere due decisioni urgenti: incentivare le pene alternative per i crimini non violenti ed impegnarsi a ridurre la popolazione carceraria di un terzo nei prossimi dieci anni. Le misure sono finalizzate ad emulare i livelli dei Paesi scandinavi, su tutti la Finlandia.

NON LAVORI? TI MERITI IL CARCERE!

«Non c’è bisogno di accantonare niente di quel che c’era di buono all’epoca sovietica, nemmeno la terminologia». Il leader bielorusso Aleksandr Lukashenko, a più riprese definito l’ultimo dittatore in Europa, ha reintrodotto un articolo del codice penale sovietico che riguarda il cosiddetto reato di parassitismo. Chi non lavora è un parassita a spese dello Stato e va multato. Con il decreto firmato pochi mesi fa, saranno multati tutti i cittadini che non lavorano e, quindi, non pagano le tasse. Dovranno pagare 20 mensilità di minimo sindacale, equivalenti a 3,6 milioni di rubli bielorussi (223 euro). Gli evasori rischiano una multa salata e perfino l’arresto con l’obbligo di svolgere lavori socialmente utili. Secondo i dati ufficiali del febbraio scorso, la disoccupazione nel Paese si attesta allo 0,8%. Tuttavia, la società di ricerche americana Gallup stima un più attendibile 24%. Da qui la bizzarra proposta di Lukashenko per incentivare i “fannulloni” a trovare un impiego. Nelle mire del decreto rientrano anche le casalinghe, non proprio una categoria abituata a starsene con le mani in mano, ed anche gli stranieri residenti nel Paese. Gli unici esclusi sono i pensionati, i disabili, i minori, coloro i quali sono impegnati in lavori stagionali, gli imprenditori e i liberi professionisti, i quali già versano contributi onerosi allo Stato. «La gente capirà» sostiene Lukashenko, forse temendo il probabile autogol dell’iniziativa.

L’INFERNO BU LGARO

È ancora l’“International Centre for Prison Studies“ a lanciare l’allarme per la situazione carceraria di uno dei Paesi recentemente entrati a far parte dell’Unione Europea, la Bulgaria. Calci, pugni, manganellate, vermi e muffa. Un vero e proprio inferno nel cuore dell’Europa. Sono le spaventose condizioni delle prigioni bulgare denunciate nell’ultimo rapporto dall’I.C.P.S. che ha visitato, negli ultimi anni, numerosi istituti carcerari del Paese, intimando al Governo di intervenire al più presto per sanare le violazioni ai più elementari diritti umani. Richieste cadute nel vuoto, nonostante gli obblighi assunti da Sofia al momento del suo ingresso nel Consiglio d’Europa e nella UE nel 2007. Nel frattempo, le condizioni dei detenuti peggiorano di anno in anno..

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