Il peacekeeping

Angela Michela Rabiolo

Il Ministro della Difesa Roberta Pinotti non esclude la possibilità di un intervento armato insieme a Onu, Nato e Ue. L’obbiettivo principale resta però la realizzazione delle clausole del Patto di Ginevra attraverso i rapporti diplomatici

pinotti“Se dovesse servire, l’Italia è disponibile anche ad inviare un contingente di peacekeeper”. Lo dichiara il Ministro della Difesa Roberta Pinotti in un’intervista rilasciata poco tempo fa. L’Italia è dunque pronta ad intervenire per cercare di risolvere la crisi in Ucraina perché “di fronte a quello che sta accadendo non possiamo e non vogliamo solo stare a guardare”.
Si tratterebbe comunque di un intervento congiunto da realizzare attraverso l’Onu, la Nato e l’Unione Europea, nella speranza di incentivare i rapporti diplomatici e di contenere una situazione che rischia di trasformarsi in una guerra civile, guerra che porta dietro di sé lo spauracchio di una contrapposizione in blocchi a livello mondiale.
Il Ministro cerca però di abbassare i toni, anche se non nega un clima generalizzato di preoccupazione. “La situazione è molto preoccupante e il governo non la sottovaluta. Non penso siamo alla vigilia di una guerra europea. Detto questo – e ne ho parlato anche con il Ministro degli Esteri – non possiamo stare a guardare”.
Non sarebbe la prima volta che l’Italia interviene in momenti di disordine, nel 2006 infatti ha inviato dei contingenti per fronteggiare la guerra tra Israele e Libano. Il Ministro afferma a proposito che “i nostri militari sono lì, fanno il loro dovere e da allora non ci sono più stati scontri. Recentemente ho incontrato le autorità libanesi che ci hanno ringraziato e ci chiedono di rimanere”.
Non si tratta di avercela con la Russia e non è una dimostrazione di forza nei loro confronti. Come afferma il Ministro: “anche la Russia ha ammesso che i rivoltosi sul campo sono sfuggiti a ogni controllo. Noi italiani, insieme alla Germania, abbiamo finora lavorato per evitare che le sanzioni alla Russia dessero adito a una escalation difficile da controllare. Noi siamo disponibili a fare di più”.
Ovviamente, si cercherà di fare di tutto per evitare una nuova missione, gli sforzi per ora restano concentrati sul versante politico e diplomatico e l’obbiettivo principale è ritornare al rispetto dell’accordo di Ginevra che prevede il disarmo immediato dei gruppi armati, lo sgombero di piazze ed edifici, la fine di ogni violenza e il monitoraggio speciale da parte dell’Osce con il sostegno e la partecipazione di osservatori mandati dagli Usa, Ue e Russia. Lo stesso Ministro, parlando della probabile missione, dichiara che “ancora non siamo a questo, parlare di invio di peacekeeper è prematuro, ma dobbiamo essere pronti”.
Una nuova missione di pace porta in primo piano la questione sugli armamenti italiani e la decisione di investire nell’acquisto dei caccia F-35, argomento scottante dato il prezzo, che continua a lievitare insieme ai ritardi, per 90 aerei da pagare in un momento di crisi economica e di tagli ingenti alla spesa pubblica.
Il Ministro difende però le spese a scopo militare dicendo che “ in Italia, purtroppo, c’è ancora poca ‘cultura della difesa’.
Per molti non è ancora chiaro che Difesa non significa voglia di aggredire. Difendersi significa proteggersi. E per farlo a volte occorrono anche delle armi sofisticate. Armi in grado, per esempio, di distruggere in sicurezza, da lontano, una base per prevenire il lancio di un missile contro obiettivi italiani. Vanno bene le critiche, a patto di guardare cosa succede in Libia, in Siria, in Ucraina. I conflitti intorno a noi, purtroppo, esistono”.
Il tipo di aereo caccia F-35 però non si sta rivelando all’altezza delle aspettative ma presenta anzi alcuni problemi tecnici. Un aereo che dovrebbe essere stealth -invisibile al radar- attualmente è di un ordine di grandezza più rumoroso degli aerei che dovrebbe sostituire; lo sviluppo di software per l’aereo, come sottolineato dal Report del Pentagono, è sempre più in ritardo e ciò a propria volta ha un  mpatto negativo sulla capacità di completamento di sviluppo e test in volo.
Solo nel 2015 il pacchetto software sarà pronto per una capacità operativa iniziale come da tempo richiesto e desiderato proprio dal Corpo dei Marines. Attualmente il programma si trova quindi in una situazione che configura un ritardo di sette anni ed uno sforamento del budget di più di 160 miliardi di dollari rispetto alle previsioni iniziali.
In proposito, il Ministro afferma “ogni sistema ha bisogno di tempo per essere sviluppato. Certo oggi questo aereo sembra diventato il simbolo del male, ma mi sembra che ciò sia dovuto soprattutto alla campagna elettorale che è stata fatta. Come se lo avessimo scoperto adesso! Il programma del nuovo caccia parte nel 1998 e sarà portato a compimento soltanto nel 2030. Ma prima di parlare di F-35, di quanti ne dobbiamo acquistare, noi abbiamo deciso di partire da un approccio nuovo, il Libro Bianco: ci dirà quali minacce dovrà affrontare l’Italia e quali mezzi di difesa serviranno “.
Si era parlato intanto di un dimezzamento nel numero di caccia ordinati, da 90 a 45, in un’ottica di risparmio e anche in risposta alle polemiche che hanno fatto dell’argomento uno dei temi principe dell’agenda di molti politici.
Il Ministro della Difesa non conferma né smentisce “semplicemente ribadisco che non sarebbe serio dare numeri ora. Non escludo che il JSF -Joint Strike Fighter, programma di produzione degli F-35- si possa ridurre, lo hanno già fatto altri Stati. Servono tuttavia analisi strategiche su cui basare le nostre esigenze, non possiamo parlare solo di tagli perché forse producono consenso”.
In ogni caso, il Ministro fa riferimento ai tagli che già sono stati effettuati in tema di spese militari.
“Il Sipri -Stockholm International Peace Research Institute – ha fatto un’analisi della spesa militare degli ultimi dieci anni ed è venuto fuori che l’Italia ha ridotto il suo budget del 26%, contro un 6,4 della Francia e il 2,5 della Gran Bretagna. Possiamo ancora ridurre. Da qui al 2024 gli effettivi passeranno da 190 a 150 mila, i civili da 30 a 20 mila, ci sarà una riduzione del 30% degli ufficiali. Abbiamo individuato oltre 380 caserme da chiudere e 1500 cespiti militari da mettere a disposizione della comunità. Nessuna altra amministrazione ha fatto altrettanto “.

Angela Michela Rabiolo
Caporedattrice SocialNews

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