Gli “innocenti evasori”

Andrea Leccese

Analizzando le le basi “morali” dell’evasione fiscale scopriamo che esiste una diversa etica, peculiarmente italiana, capace di incoraggiare i bugiardi fiscali. Si tratta di quell’ethos, quella mentalità pubblica che il sociologo americano Banfield definì “familismo amorale”.

Stime attendibili, perché fornite dal Ministero dell’Economia, ci informano che, ogni anno, sfuggono al povero Fisco oltre 120 miliardi di euro. L’evasione fiscale ha pertanto assunto in Italia dimensioni “imbarazzanti per un Paese serio”, per dirla con Luca Cordero di Montezemolo. Si tratta di un fenomeno di illegalità di massa assolutamente incompatibile con la Democrazia.
Ma quello che accade sotto i nostri occhi sgomenti è che a questa evasione massiva si accompagna la spudoratezza di chi evade. Chi evade lo fa senza vergogna. Anzi, è perfino capace di scendere in piazza per rivendicare il proprio sacrosanto diritto di evadere. Frodare il Fisco è dunque considerata una colpa lieve, se non addirittura un motivo d’orgoglio. Insomma, chiamiamoli, se vogliamo, “innocenti evasori”.
Di fronte a tanta diffusa sfacciataggine, è ragionevole chiedersi quali possano essere le basi “morali” dell’evasione fiscale. Scopriamo allora che esiste una diversa etica, peculiarmente italiana, capace di incoraggiare i bugiardi fiscali. Si tratta di quell’ethos, quella mentalità pubblica che il sociologo americano Banfield definì “familismo amorale”.
Negli anni ‘50, negli Stati Uniti andava di moda studiare la società italiana. Fu così che Edward C. Banfield si trasferì per quasi un anno in uno sperduto paesino della Basilicata, insieme alla famiglia, per svolgere una ricerca di comunità che lo avrebbe reso famoso. Sua moglie, Laura Fasano, non chiese il divorzio solo perché figlia di emigrati originari di quelle parti.
Alla fine del suo soggiorno lucano, egli ritenne di aver individuato il difetto fondamentale della società italiana, che identificò nell’ ethos del “familismo amorale”. Esso consiste, in sostanza, nella netta contrapposizione tra gli interessi della famiglia nucleare e quelli della comunità e dello Stato. Il familista sembra seguire questa regola di carattere generale: massimizzare i vantaggi materiali e immediati della famiglia nucleare, pensando che tutti gli altri facciano lo stesso. È la regola che, in campo fiscale, sembra tradursi nell’ormai abusata giustificazione: “Evado perché tengo famiglia. Del resto, così fan tutti”.
Quando si parla di evasione fiscale occorre però fare dei distinguo: gli evasori non sono tutti uguali. Il barbiere che dimentica di rilasciare la ricevuta per non fallire non può essere messo sullo stesso piano del megaimprenditore che sposta i suoi redditi miliardari nei paradisi fiscali. Questa distinzione non vale solo dal punto di vista strettamente giuridico, perché chi evade poco viene punito con sanzione amministrativa, mentre chi evade tanto commette reato, ma anche politicamente, in relazione alle possibili soluzioni adottabili.
Non è ragionevole pensare di debellare l’evasione povera e diffusa con i soli controlli fiscali. L’amministrazione finanziaria non può organizzare le crociate contro i dentisti o gli avvocati. Né contro i panettieri, i salumieri, gli idraulici, gli imbianchini, le parrucchiere a domicilio, le estetiste cinesi, i falegnami che lavorano in nero o i meccanici che lavorano nel garage sotto casa. Per combattere la piccola evasione è, invece, fondamentale puntare sull’aspetto culturale. Bisogna convincere a contribuire chi non contribuisce. Occorre puntare sulla tax compliance, l’adesione spontanea agli obblighi tributari. Le regole vanno spiegate. Lo scrisse anche Aristotele nell’Etica Nicomachea: «I governanti devono invitare alla virtù ed esortare ad essa in grazia della bellezza morale». Se, dopo tanti secoli, ancora lo studiamo, significa che non diceva sciocchezze. Alla gente si deve spiegare il senso dell’imposizione tributaria. Con parole comprensibili, senza inganni, e con il diritto di vedere quali sono i risultati. Con il diritto di essere informati sul modo in cui si spende il denaro pubblico. Per questa via, l’idea di contribuire al bene comune non può che essere affascinante.
In un’intervista rilasciata al Corriere della Sera nel dicembre del 2011, il Presidente della Conferenza Episcopale Italiana, Cardinale Angelo Bagnasco, usa parole assolutamente apprezzabili: «Nessuna copertura è dovuta a chi si sottrae al dovere di contribuire al benessere dei cittadini attraverso il pagamento delle imposte. Le tasse non sono un optional». E, qualche giorno dopo, Bagnasco ci fa sognare: «Evadere le tasse è peccato. Per un soggetto religioso, questo è, addirittura, motivo di scandalo».
Ai cittadini va spiegato che il Fisco è la pietra angolare del nostro sistema democratico. Senza soldi, non si canta messa. Senza imposte, non può funzionare lo Stato sociale. La Repubblica disegnata nella Carta Costituzionale è uno Stato che interviene nell’economia con l’obiettivo di fondare una società decente, che tuteli la dignità di tutti, in considerazione del valore incommensurabile della Persona umana. I nostri Padri Costituenti non credevano nella “mano invisibile” del mercato, non si fidavano del capitalismo “sbrigliato”, senza regole. E avevano perfettamente ragione… Ecco perché la Repubblica italiana ha il compito di “rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese” (art. 3, comma 2, Cost.). Per realizzare questo principio di “uguaglianza sostanziale” sono necessarie le risorse che si raccolgono grazie alle entrate tributarie. Perciò, “tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva” (art. 53 Cost.). Il dovere tributario fa parte di quei “doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale” di cui all’art. 2 della Costituzione.
Per tirare le somme, l’adempimento tributario acquista il significato di una concreta partecipazione del cittadino alla vita democratica. In questo senso, le tasse sono davvero “una cosa bellissima”. Tornano in mente le parole del Ministro Tommaso Padoa Schioppa che provocarono insulse reazioni di disappunto. Eppure, si trattava semplicemente di un enunciato di civiltà: «La polemica anti-tasse è irresponsabile. Dovremmo avere il coraggio di dire che le tasse sono una cosa bellissima e civilissima, un modo di contribuire tutti insieme a beni indispensabili come la salute, la sicurezza, l’istruzione e l’ambiente». Peraltro, cosa ci aspettiamo da un Ministro dell’Economia, che promuova le frodi fiscali?
Come sosteneva molti anni prima l’altro Ministro Ezio Vanoni, il segreto sta “nel creare, attraverso la persuasione politica e morale, un clima nel quale si senta che, difendendo la razionale o uguale applicazione dei tributi, si difende non una legge formale dello Stato, ma l’essenza stessa della vita dello Stato”. Ogni genere di riforma avrà uno scarso effetto, se i cittadini non saranno convinti della necessità dell’imposizione tributaria. Per combattere efficacemente l’evasione, occorre procedere, con la massima urgenza, ad instaurare un clima etico molto forte, nel quale le famiglie percepiscano che il Fisco è il fondamento della Democrazia e che le imposte finanziano una spesa pubblica di qualità.
Si è detto che gli evasori non sono tutti uguali, e che, per arginare l’evasione piccola e diffusa, la si deve combattere soprattutto sul terreno culturale. Per contrastare, invece, più efficacemente la grande evasione, potrebbero essere sufficienti piccoli interventi normativi. Il fenomeno di evasione probabilmente più grave, in relazione agli importi sottratti a tassazione, è quello della cosiddetta “esterovestizione”. Di essa si è parlato frequentemente, negli ultimi anni, a proposito di alcuni big dello sport e dello spettacolo, accusati di avere fittiziamente trasferito la propria residenza all’estero, in particolare in “Paesi a fiscalità privilegiata”. Ma accade anche che si costituiscano fittiziamente società a Lussemburgo, in Svizzera, nell’isola di Man e via elencando. Ogni volta in cui il Fisco mette il becco in situazioni del genere, gli importi delle contestazioni sono elevatissimi, centinaia di milioni di euro o anche di più. Di quante vite avrà bisogno il più furbo dei salumieri per evadere quanto ruba alla comunità in un solo anno un signor esterovestito?
Occorre, però, considerare che, quando il reddito fuoriesce dai confini nazionali, i controlli fiscali si complicano notevolmente perché all’estero circolano liberamente le persone, le imprese e i capitali, ma i poteri investigativi del Fisco, inevitabilmente legati alla sovranità nazionale, devono necessariamente contare sulla collaborazione delle autorità estere. Una collaborazione che non sempre arriva, soprattutto dai famigerati “Paesi a fiscalità privilegiata”. Stando così le cose, provare che un cittadino ha preso la residenza all’estero solo per non dichiarare i redditi in Italia non è affatto agevole. Parimenti, non è agevole dimostrare che una società è italiana, quand’anche, furbescamente, abbia stabilito la sua sede a Paradiso (comune vicino a Lugano).
Fatto sta che, con la normativa vigente, a fronte di evasioni abnormi, le sanzioni previste hanno un effetto di deterrenza del tutto irrisorio. Di conseguenza, sarebbe opportuno un inasprimento delle pene, con la possibilità di utilizzare anche lo strumento delle intercettazioni telefoniche. Solo così il Fisco e la polizia giudiziaria potrebbero disporre di maggiori chances investigative nella lotta all’evasione internazionale. I criminali fiscali si combattono anche così, con sanzioni proporzionate ai loro illeciti. Del resto, anche qui ci viene in soccorso Aristotele: i governanti non devono soltanto educare, ma anche “infliggere punizioni e castighi a quelli che non ubbidiscono e sono riottosi per natura, e bandire totalmente gli incorreggibili”. Come dire? Ipse dixit.

Andrea Leccese
Ufficiale della Guardia di Finanza e autore di “Le basi morali dell’evasione fiscale”
(Armando Editore, 2008) e “Innocenti evasori” (Armando Editore, 2012)

Massimiliano Fanni Canelles

Viceprimario al reparto di Accettazione ed Emergenza dell'Ospedale ¨Franz Tappeiner¨di Merano nella Südtiroler Sanitätsbetrieb – Azienda sanitaria dell'Alto Adige – da giugno 2019. Attualmente in prima linea nella gestione clinica e nell'organizzazione per l'emergenza Coronavirus. In particolare responsabile del reparto di infettivi e semi – intensiva del Pronto Soccorso dell'ospedale di Merano. 

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