La laurea si prende in Romania

Paolo G. Brera

Centinaia di futuri medici diplomati negli atenei di Timisoara. Così gli italiani si attrezzano per evitare le difficoltà (e le spese) dei nostri test d’ingresso. Ma al ritorno il riconoscimento del titolo di studio resta un’incognita.

Ma guarda dove sono finiti, i nostri futuri dentisti, per imparare il mestiere: in Transilvania, vicini di casa dell’uomo dai canini più famosi del mondo, il conte Dracula. Più di 600 studenti italiani alla privata Vasile Goldis di Arad, una cinquantina alla statale di Timisoara; un altro migliaio sparpagliati nel resto della Romania, tra Iasi e Bucarest, tra Cluj e Costanza. Metà studiano per diventare odontoiatri, l’altra metà sarà medico. Ma stanno arrivando anche dozzine di infermieri e veterinari. C’era una volta la fuga dei cervelli italiani, oggi anticipiamo i tempi: esportiamo direttamente il semilavorato. Secondo gli ultimi dati disponibili (rapporto Migrantes 2011) 42.000 ragazzi hanno varcato i confini e studiano all’estero. Migliaia di candidati medici sono rimbalzati contro “quei test assurdi” per due, tre, quattro anni consecutivi prima di decidersi a coltivare i sogni in un terreno meno ostile.
Virtù dell’Europa unita: ti laurei dove riesci, eserciti dove vuoi. Molti hanno scelto la Spagna, ma costa una fortuna tra tasse e carovita. Così a ogni iscrizione sciamano a centinaia in Romania, ogni anno più numerosi: in una mano la valigia dell’emigrante, nell’altra quella di mamma o papà che paga e conforta. Quando partono per la Transilvania sembrano Claudio Bisio e Angela Finocchiaro in Benvenuti al Sud. Benvenuti in Romania, invece: “Mia figlia – racconta la psichiatra Nicla Picciariello – era la migliore della classe, al liceo, ma ha provato quattro volte il test a Medicina e non è passata: lo sanno tutti che i posti erano già assegnati. Sconfortante, me lo lasci dire. Così si è iscritta alla statale di Timisoara. Per noi è stata una ferita: non dovremmo avere pregiudizi”.
“Ma è un Paese arretrato, tanti criminali… Siamo partite insieme, le ho detto di togliersi i brillanti, via le borse di Chanel, solo vestiti dimessi. Quando sono arrivata qui mi sono vergognata. È un sogno, altro che inferno! Le auto si fermano due metri prima delle strisce, le facoltà hanno ottimi laboratori e mi sento molto più sicura a girare sola e ingioiellata qui che in Italia”. Vale il reciproco: “Un giorno – racconta Alessandro Nicolò, II anno di odontoiatria ad Arad – ho detto a una professoressa che arrivavo da Reggio Calabria ed è sbiancata: “Oddio ma lì sparano per strada, è pericoloso, c’è la ‘ndrangheta!” Le ho risposto: accidenti, guardi che da noi dicono lo stesso della Romania”.
A Timisoara e Arad, l’eldorado degli aspiranti camici italiani, quasi tutti vengono dal Mezzogiorno. “Certo, spero di tornare al più presto nel mio Paese – racconta Marzia Russo, ventenne di Foggia, II anno di Medicina in inglese ad Arad – ma sarò per sempre grata alla Romania: in Italia mi sarei dovuta laureare in una disciplina che non mi interessa. Qui ho già iniziato il tirocinio, entro in sala operatoria, cambio medicazioni e assisto a operazioni delicate. In Italia? Farei solo teoria”. In realtà, le nostre università non permettono facilmente il reintegro, una volta aggirato il test. “Ma quest’anno 29 ragazzi sono riusciti a tornare all’Università di Bari”, sorride Nino Del Pozzo di Tutor University, che offre assistenza logistica alla Vasile Goldis di Arad. Ogni anno quasi 90.000 Italiani affrontano il test delle facoltà mediche, e l’80% viene dal Centro-Sud. Ne passa uno su otto.
“In Italia per iscriverti ai test – spiega Maria Vincenza M., uno dei 170 ammessi quest’anno ad Arad su 300 candidati italiani – spendi da 50 a 100 euro ogni tentativo. Poi ci sono i corsi: io ho speso 4.000 euro, ma il listino aveva soluzioni da 9, 10 e anche 12.000 euro tra teoria, esercizi, simulazioni e glossario. In più ho speso 500 euro di libri”. “Fate la somma, moltiplicate per 90.000 studenti e capirete perché in Italia questa follia dei test non la cancelleranno mai”, dice un papà, Raffaele, in cerca di casa per la figlia. “In questi dieci anni – dice Giuseppe Lavra, vicepresidente dell’Ordine dei medici di Roma – ci troveremo con 40.000 medici in meno. Il guaio è che non mancano ancora, così non facciamo nulla per risolvere il problema”. Un paradosso che costa milioni: in Romania ogni studente spende in media 4.000 euro di tasse ogni anno, che “diventano 10 o 12.000 con affitto, mantenimento e trasferimenti”.
Per duemila Italiani fanno una ventina di milioni di euro ogni anno che le famiglie avrebbero speso volentieri in Italia, invece che in Romania. E anche l’esodo in conto studi diventa business. “Per venire qui a Arad – dice Del Pozzo – da noi spendono 3.000 euro per l’iscrizione e l’assistenza ai test di lingua, e fino a 10.000 con il tutor. Ogni tanto ci arrivano telefonate strane, gente che pensa che studiare qui sia una finzione. Beh, ragazzi, non avete capito niente: 15 giorni di vacanze a Pasqua, una ventina a Natale e poi luglio e agosto, il resto dell’anno non ti muovi. C’è obbligo di frequenza e vi conoscono uno a uno, non ci si passano i badge come in Italia”. “Una volta superato il test iniziale di romeno, che per fortuna è semplice da imparare – dice Antonino Nicolò, 25 anni, futuro dentista figlio d’arte e rappresentante di tutti gli studenti – si studia mattina e pomeriggio, teoria e pratica in laboratorio, test ogni sei mesi e se non passi ripeti l’anno come al liceo. I professori sono eccellenti, abbiamo strumenti e tecnologie per laboratorio e ricerca e il mestiere lo impari davvero: al quarto anno ho iniziato a fare devitalizzazioni, una pratica difficile perché tocchi il nervo. Abbiamo tre studi a Reggio, ma se avessi studiato in Italia sarei arrivato da mio padre come gli altri, senza saper fare nulla”. Antonino parla il romeno meglio dei romeni. Lo conoscono tutti: “Se ti si rompe un tubo in casa, se cerchi un avvocato o un marito basta chiamare lui… Antoninoooo”, scherza Anamaria Nyeki al compleanno di Sebastian Popescu, un amico comune. Gli hanno già offerto, dice, di restare come assistente, a fine corso. “Mi sento a casa, ma lo stipendio è bassissimo. Vedremo”.
Ad Arad – 180.000 abitanti e un’architettura asburgica deliziosa, ma diroccata – le famiglie appena arrivate dall’Italia le incontri a colazione nella hall del migliore albergo. Quasi sempre almeno uno dei genitori è medico, a volte primario: “Insegno radiologia alla Sapienza – dice Francesco Briganti – e sono qui per mia figlia. La mia presenza dimostra che il test è una cosa seria, e che in Italia molte cose non funzionano”.
Da qualche anno, in Romania le lauree false sono nel mirino. Alla Grigore T. Popa di Iasi hanno stracciato 62 titoli conquistati da italiani senza imparare una parola di romeno. E nel 2010 il rettore della Spiru Haret di Bucarest è stato sospeso: “Nel 2009 avevano rilasciato 50.000 diplomi – ha raccontato in tv l’ex ministro dell’Istruzione Ecaterina Andronescu – e lo stesso l’anno precedente”. Lauree facili, facilissime. Per discernere il loglio dal grano, Andronescu ha proposto di far ripetere gli esami in università irreprensibili, “pubbliche o private”. E tra queste “la Vasile Goldis di Arad”, la più amata dai ragazzi italiani. Il guaio è il riconoscimento incerto della laurea. Nella Ue sarebbe automatico, ma gli scandali inducono prudenza. “Monitoriamo da tempo – spiega il ministero della Salute italiano – un preoccupante fenomeno di titoli rilasciati a seguito di corsi ad hoc, formalmente validi ma nella sostanza privi di valore.
Le richieste di riconoscimento sono in netta espansione. In Romania, solo in una decina di casi è stata accertata la regolarità del corso”. Loro, gli studenti, sono disposti a scommetterci sei anni di vita. Affittano camera a 200 euro, montano Sky in italiano “anche se non si potrebbe” e vivono il loro sogno tra caffè “ristretto” e covrigi caldi, le cialde ammazzafame. Vita universitaria, amori e amicizie senza frontiere. Se metti piede fuori dalla cittadella, ad Arad, sprofondi nella povertà e nel latifondo. Ma il centro è dei grandi edifici pubblici e del teatro austro-ungarico, con bar e ristoranti affollati da ragazzi romeni e italiani, da studenti israeliani e tunisini. “Mai una violenza, un furto o un’aggressione”, assicura Antonino al ristorante. Un gigante romeno si avvicina per salutarlo. È il capo della polizia anticrimine. “Chiede di spiegare ai nuovi arrivati di non fare sciocchezze: non è come in Italia, un solo spinello e ti arrestano per spaccio internazionale. Lo stesso per l’alcol: se guidi, tolleranza zero”.

Per gentile concessione di La Repubblica,
pubblicato il 6 novembre 2012.

Paolo G. Brera
Inviato di La Repubblica

Rispondi