Scuola, famiglia e bambini disabili

Annamaria Bernardini de Pace

Spesso, la disabilità non è soltanto un problema di salute, ma anche la conseguenza dell’interazione del soggetto affetto da deficit, motorio o psichico, con un mondo esterno tristemente e vigliaccamente indifferente, se non addirittura ostile.

Tutti i bambini sono uguali. Anche quelli disabili. Almeno sulla carta, essi possiedono gli stessi diritti degli altri e sono meritevoli della tutela più ampia e della protezione più diversificata. La Convenzione sui Diritti del Fanciullo, approvata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 20 novembre 1989, riguarda tutti i bambini. Lo dice chiaramente l’articolo 2: nessuna distinzione di sorta, nessuna discriminazione. L’articolo 23 precisa addirittura che “un fanciullo fisicamente o mentalmente disabile deve godere di una vita soddisfacente che garantisca la sua dignità, che promuova la sua autonomia e faciliti la sua partecipazione attiva alla vita della comunità”. Anche la successiva Convenzione Internazionale, del 16 dicembre 2006, sui diritti delle persone con disabilità, ratificata dal nostro Paese con la Legge 18/2009, rafforza il principio dell’universalità e dell’indivisibilità di tutti i diritti umani, con esplicito riguardo a quei fanciulli che vivono condizioni fisiche e mentali particolarmente difficili e che, dunque, hanno maggiori bisogni e necessitano di più intense tutele.

Nel nostro panorama, la Legge quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate, n. 104/1992, all’articolo 1 precisa che “la Repubblica garantisce il pieno rispetto della dignità umana e i diritti di libertà e di autonomia della persona handicappata e ne promuove la piena integrazione nella famiglia, nella scuola, nel lavoro e nella società”. Un proposito lodevole. Che tuttavia, non sembra trovare piena applicazione nella pratica. Per comprendere bene la questione, si deve considerare che, spesso, la disabilità non è soltanto un problema di salute, ma anche la conseguenza dell’interazione del soggetto affetto da deficit, motorio o psichico, con un mondo esterno tristemente e vigliaccamente indifferente, se non addirittura ostile. L’ambiente in cui il bambino cresce e si sviluppa, se inadeguato, può infatti persino aggravare l’handicap: alcuni minori, anche con leggere menomazioni, accrescono il loro disagio fino a diventare gravemente disabili quando, a causa delle barriere culturali, sociali ed ambientali, non possono soddisfare i loro bisogni, anche minimi, ed i loro diritti fondamentali. In tali situazioni, è evidente che famiglie e scuole – le prime forme sociali con cui il minore si rapporta – devono essere trattate e supportate dallo Stato e dalle leggi con la massima attenzione possibile, con interventi e politiche di sostegno sempre più incisive ed adeguate, finalizzate anche a stimolare maggiormente la sensibilità sociale (se lo Stato interviene con leggi specifiche, significa che la società non sembra ancora essere pronta ad accettare del tutto la diversità – anche fisica – ed il disagio).

Spesso è proprio la famiglia, seppure anche inconsapevolmente, a non favorire, fino a negarla completamente, l’integrazione del disabile: magari per eccesso di protezione nei suoi confronti e per evitargli l’umiliazione del rifiuto altrui; oppure per la vergogna di “mostrare” un figlio diverso; per l’incapacità di affrontare la gestione di un bimbo disabile; o, ancora, per la mancanza di risorse economiche. L’aiuto che deve essere garantito al nucleo familiare di un bimbo disabile è molto ampio e diversificato. Può andare dall’appoggio psicologico, per far comprendere ai genitori che il loro bambino non è una “cosa” di cui vergognarsi e per aiutarli ad interpretare e favorire le necessità dei loro piccoli, anche dal punto di vista emotivo, all’aiuto nella gestione della vita di tutti i giorni, collaborando con mamma e papà nella competente cura quotidiana del minore, fino al sostegno economico, offrendo alle famiglie in difficoltà un intervento concreto per far fronte alle svariate esigenze materiali connesse alla cura ed alla crescita del minore disabile.

La famiglia è il luogo in cui ogni bambino, soprattutto se disabile, deve trovare soddisfazione a tutti i suoi bisogni primari. Anche, e proprio, con l’aiuto e l’intervento delle istituzioni. Il minore deve essere preparato ad affrontare il mondo esterno. In questo senso, è fondamentale anche il ruolo della scuola, che rappresenta per tutti i fanciulli la prima esperienza “esterna” alla famiglia, e che deve essere in grado di accogliere ed aiutare i bambini con disabilità al pari degli altri. Del resto, il diritto all’integrazione scolastica e all’istruzione sono principi costituzionalmente garantiti: “La scuola è aperta a tutti” (art. 34, Cost.). E la Repubblica ha il compito di tutelare i diritti inviolabili dell’uomo anche nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità (art. 2, Cost.). Pertanto, anche nella scuola. Agli studenti disabili deve essere garantito l’accesso all’istruzione, diventando essi parte integrante del contesto scolastico, al pari degli altri alunni e senza alcuna forma di discriminazione. Gli istituti scolastici dovrebbero sempre assicurare, attraverso adeguati aiuti, l’accoglimento del disabile, riconoscendogli, per esempio, il costante appoggio, per tutta la frequenza scolastica, dell’insegnante di sostegno. Ma non è sempre così. Basti pensare che, negli ultimi anni, moltissimi genitori di bambini portatori di handicap sono stati costretti a rivolgersi al Tribunale per il riconoscimento del diritto dei loro figli a ricevere appropriata assistenza scolastica. Anche se gli strumenti legislativi a tutela dei minori disabili e a sostegno di famiglie e strutture scolastiche ci sono, sembrano dunque mal sfruttati e scarsamente capaci di garantire concreta protezione e supporto laddove ve ne sia bisogno. Eppure, sarebbe compito dello Stato rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che limitano, di fatto, la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impedendone lo sviluppo (art 3 Cost.). Una società può dirsi civile quando si organizza in modo tale da trasformare le disabilità dei suoi cittadini in opportunità. Anche a favore di quelli non disabili che sanno farsi carico in positivo del problema.

Annamaria Bernardini de Pace
Avvocato, giornalista e scrittrice

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