Paese suggestivo, culla di antiche civiltà. Varietà di paesaggi e di ecosistemi che attraggono i turisti e rinomate delizie culinarie che stuzzicano i palati. Ciò nonostante nel paese degli Inca, benché dall’inizio degli anni ’90 siano leggermente diminuiti, gli indicatori di povertà rimangono allarmanti. L’ organizzazione Medici Senza Frontiere riporta che oltre la metà dei 27 milioni di abitanti vive in condizioni di indigenza. Quasi un terzo della popolazione peruviana vive nella capitale, Lima, ma persistono enormi differenze nelle condizioni di vita delle comunità insediate in remote aree rurali, quelle dei quartieri poveri delle città, e la popolazione urbana. Il divario tra ricchi e poveri caratterizza il paese: il 10% più ricco della popolazione gestisce il 40% della ricchezza, mentre il 40% più povero possiede meno del 14% delle risorse. I popoli indigeni rappresentano circa il 40% della popolazione del Perù, ammontando a 8-9 milioni; si stima che vi siano più di 60 gruppi indigeni sparsi per le montagne, lungo le coste e le regioni amazzoniche.
Eppure il Perù nell’ultimo decennio è risultato tra i primi Paesi in via di sviluppo dell’area, per crescita economica e stabilità, e la crisi economica mondiale non è riuscita a invertire la tendenza positiva del suo Pil.
Il Perù è un paese di tradizione mineraria, quello minerario è uno di settori più importanti dell’economia peruviana e rappresenta più del 50% delle esportazioni. I principali minerali esportati sono rame, oro, ferro, argento, zinco e piombo, tutti fortemente richiesti per i processi industriali di alto livello tecnologico. Si stima che fino ad oggi il Perù abbia estratto solamente il 12% delle sue risorse minerarie, e che con le tecnologie appropriate potrebbe triplicare la sua produzione attuale, specialmente in metalli di base. Il boom delle esportazioni di materie prime, concentrate nel settore minerario, non sembra rallentare la sua ascesa; e il Governo del Perù, come quelli di altre economie emergenti, vede nella politica estrattiva una scorciatoia per sollevare il paese dalla povertà.
Nel libro intitolato “Settore minerario peruviano: contributo allo sviluppo economico e sociale”, presentato annualmente dall’Istituto degli Ingegneri minerari in Perù (IIMP) in collaborazione con il Ministero dell’Energia delle Mine (MINEM), sono illustrati i benefici generati dalle attività delle miniere e il contributo concreto che l’estrazione apporta allo sviluppo economico e sociale del Paese. Il libro spiega l’impatto delle attività minerarie nell’economia nazionale e il ruolo permanente che queste svolgono nella lotta contro la povertà nelle aree più remote, promuovendo uno sviluppo decentrato.
In Perù la proprietà terriera è privata, ma il governo ha pieno diritto sulle risorse.
Organizzazioni ambientaliste, e comunità rurali e indigene che da secoli abitano quelle terre lottando per preservarle, si dichiarano radicalmente contrarie all’espansione dell’industria mineraria, attribuendole la responsabilità della contaminazione di acque e terreni e denunciando lo sfruttamento disumano dei lavoratori oltre ai casi clamorosi di avvelenamento da sostanze tossiche come piombo e mercurio.
Nel febbraio 2009 in una riunione del Programma Ambientale delle Nazioni Unite, i Ministri dell’Ambiente di 140 Paesi si sono accordati su misure vincolanti volte a ridurre le emissioni di mercurio in aria, terra e acqua e prevenirne i danni. L’OCMAL, Osservatorio dei Conflitti Minerari in America Latina, è incaricato da anni di monitorare e documentare i conflitti ambientali scatenati dall’imposizione di progetti estrattivi: di fatto, i conflitti sono all’ordine del giorno nelle zone coinvolte.
Il settore minerario certo sembra offrire una via preferenziale allo sviluppo di paesi come il Perù, ma il dibattito sempre attuale tra poteri pubblici, imprese private e società civile rimane aperto: fino a che punto è giusto sfruttare le risorse di un paese, se questo va a scapito del suo patrimonio culturale?
Eva Donelli