In Guatemala, Paese al primo posto in America Latina per violenze sulle donne, la povertà risulta conseguenza e insieme causa delle più gravi forme di discriminazione nei riguardi delle donne maya. Che per difendersi hanno dato vita alla “Rete per il coordinamento delle organizzazioni di donne Ixhiles”, mostrando che la promozione culturale è il primo passo sulla via del riscatto.
Maria Luz aveva 30 anni quando il marito decise di lasciare il Guatemala per cercare lavoro in Florida. Al momento della partenza, affidò la moglie al proprio fratello. Da quel momento, per lei, iniziò un calvario fatto di maltrattamenti, violenze ed abusi sessuali da parte del cognato. Il marito, una volta negli Stati Uniti, si era completamente disinteressato della sua sorte e non le mandava neanche un soldo. Un giorno, Maria rimase incinta del cognato, che, a quel punto, la cacciò di casa. Fu costretta ad abbandonare il suo villaggio e a cercare altrove un luogo dove crescere il suo bambino. Storie come questa sono ordinaria amministrazione nel Quiché, dipartimento nel nord-ovest guatemalteco, dove le donne vivono in condizioni di povertà estrema e sono vittime di discriminazioni e violenze inaudite.
Per loro, spesso analfabete o, al più, con un’istruzione elementare, è molto difficile trovare un impiego. Quando ci riescono – spesso in cambio di favori sessuali – sono costrette a subire prepotenze e molestie da parte di datori di lavoro e colleghi. Queste discriminazioni sono in parte retaggio della guerra civile che ha insanguinato il Paese per quasi 40 anni (dal 1960 al ’96), durante la quale la violenza sulle donne era praticata in modo “sistematico” come uno degli strumenti del genocidio. Le principali vittime del conflitto furono, infatti, i maya (che rappresentano più della metà della popolazione), accusati di appoggiare i gruppi rivoluzionari al fine di espropriarli delle loro terre. Il bilancio del conflitto fu di 300.000 maya uccisi ed un milione e mezzo costretti alla fuga. La maggior parte donne.
A questo si aggiunge la cultura machista e sessista, che in Guatemala è diffusa in modo endemico e considera “normale” e legittima l’imposizione brutale sulle donne, le quali «subiscono una triplice violenza: aggressioni fisiche, pressioni psicologiche, subordinazione economica», come ha evidenziato l’antropologa messicana Marcela Lagarde. Sulla violenza fisica, basti ricordare che, nel 2009, il Guatemala si è classificato al primo posto, in America Latina, per numero di donne assassinate, quasi tutte impunemente. Quanto all’aspetto economico, se da un lato la cultura misogina è una delle cause della povertà in cui versano le donne (soprattutto in area rurale), dall’altro, il fatto di dipendere economicamente da padri, fratelli o mariti contribuisce a mantenere quest’ultime in una posizione di perenne subalternità. Posizione pericolosa, se pensiamo che, secondo uno studio del Ministero di Gobernación guatemalteco del 2008, almeno il 61% dei “femminicidi” commessi nel Paese è frutto di violenza domestica.
Nella regione Ixhil, dipartimento del Quiché, dove vive Maria Luz, la maggior parte della popolazione è maya-ixhil (uno dei 22 popoli originari del Paese). Qui, le vittime principali di violenza ed emarginazione sono proprio le donne ixhiles, doppiamente discriminate, in quanto indigene ed in quanto donne. Fragili e combattive al tempo stesso, queste donne hanno deciso di rimboccarsi le maniche e lottare per i propri diritti riunendosi, a partire dal ‘99, nella Red coordinadora de organizaciones de mujeres ixhiles. Maria Luz ha trovato riparo presso questa associazione, che l’ha ospitata e l’ha aiutata a trovare un impiego da sarta, grazie al quale, oggi, può mantenere se stessa ed il figlio. Le principali attività della Red sono «di tipo formativo, attraverso l’alfabetizzazione e il professionalizzarsi delle donne; di tipo produttivo, mediante la creazione di fondi di microcredito; di accompagnamento alle vittime della violenza, e anche di tipo politico, tramite azioni di coordinamento con le organizzazioni non governative (ong) e statali che operano per i diritti delle donne» come ci spiega Juana Baca Velasco, coordinatrice della Red. Anche Juana ha alle spalle una storia difficile. Dopo mille sacrifici è riuscita a studiare e a diventare assistente sociale, ma si è trovata contro alcune realtà istituzionali di Nebaj, uno dei municipi del Quiché, che conta 53.000 abitanti. Le iniziative di Juana a favore delle donne davano fastidio, soprattutto il fatto che gestisse somme di denaro destinate a progetti di microcredito per aiutare le compagne ad avviare piccole attività produttive. Juana ha subito intimidazioni e pestaggi finché, nel 2004, è stata vittima di un attentato da cui però è uscita indenne. Oggi gli aggressori sono stati condannati ed è in corso un processo contro il sindaco di Nebaj, sospettato di essere il mandante dell’aggressione contro di lei. Malgrado le difficoltà, Juana ha continuato la sua lotta e, anche grazie a lei, oggi la Red è diventata un punto di riferimento in tutto il territorio, riconosciuta anche dalle istituzioni.
Proprio a Nebaj, lo scorso 6 febbraio, insieme all’ong italiana Cisv che opera in Guatemala dalla fine degli anni ’90, la Red ha inaugurato la Defensoria de la mujer I’x, una struttura destinata ad accogliere le donne con figli al seguito che cercano riparo dalle violenze familiari, fornendo loro assistenza legale e psicologica. Nel contempo, continuano i corsi di formazione per rendere le donne più coscienti delle loro capacità e dei loro diritti, e per fornire loro adeguate competenze professionali che le mettano in grado di mantenersi da sole, abbattendo il circolo vizioso della dipendenza e della povertà. Si svolgono corsi e seminari su attività agro-pastorali, artigianato, sartoria, tessitura, cucina, pasticceria… Nel 2010, le donne beneficiarie dei corsi di formazione della Red saranno circa un migliaio. A loro volta, esse potranno contribuire a diffondere nel territorio una nuova mentalità, più rispettosa e democratica.
La Red si sta anche organizzando per avviare una cooperativa che garantisca la commercializzazione equa ed etica dei prodotti delle donne. E all’interno della Defensoria aprirà presto una caffetteria o comedor, per garantire la sostenibilità della struttura e creare un’ulteriore occasione di impiego per le beneficiarie del progetto. «Ma non è la povertà materiale a spaventarci» spiega Maria Luz, «non è la miseria l’aspetto primario contro cui vogliamo combattere. Quello che va abbattuto è il clima di disprezzo, violenza e omertà che da sempre noi donne siamo costrette a subire e che purtroppo le istituzioni non contrastano a sufficienza». In Guatemala, malgrado esistano alcune leggi avanzate in materia di violenza di genere e tutela dei diritti delle donne – come il Decreto 22 contro il femminicidio, approvato nel 2008 – queste risultano inapplicate a causa di corruzione, razzismo o machismo degli stessi operatori di giustizia. Perciò, denunciare un abuso o cercare soccorso in ospedale possono costituire un trauma aggiuntivo. «E’ per questo che la Red si è organizzata per fornire un servizio di “conciliazione”, che serve a mediare e dirimere le situazioni di controversie e abusi familiari o comunitari», spiega Anna Avidano, coordinatrice espatriata dell’ong Cisv in Guatemala. «Se ad es. un uomo picchia la moglie o la priva dei mezzi di sussistenza, è difficile che la donna voglia denunciarlo perché non le fa piacere che il marito finisca in galera. Allora si rivolge alla Red che interviene per migliorare la situazione. Nel 2009 si sono “accompagnati” con esito positivo una cinquantina di casi, al 90% sono le donne che chiedono aiuto, ma vi sono anche episodi di uomini che subiscono prepotenze da altri. Ovviamente la conciliazione non interviene nei casi più gravi, come lo stupro, perché allora si consiglia alle donne di sporgere formale denuncia, supportandole dal punto di vista legale ed economico».
Oggi, malgrado l’ostilità di alcune istituzioni locali, la Red sta diventando un punto di riferimento per migliaia di persone. «Uno dei punti di forza sta nella motivazione delle donne, che si impegnano non solo per se stesse e i propri figli, ma hanno di mira il benessere di tutto il Paese» spiega Juana Baca Velasco. La Red si pone ormai obiettivi di lungo respiro, come ci dice Juana: «Vogliamo contribuire alla creazione di una cultura di pace e al consolidamento di uno Stato democratico».
Stefania Garini
giornalista specializzata in tematiche socio-ambientali,
responsabile Italia per il Settore Informazione dell’ong Cisv