Questione di fiction

Negli ultimi anni registi e attori hanno condotto battaglie e soprattutto lanciato proposte legislative per aiutare il cinema, ma dobbiamo ammettere che non ci sono nel nostro paese le condizioni per poter fare del cinema una impresa culturale che possa lavorare nella certezza di risorse e soprattutto puntare a conquistare mercati stranieri.

Il grido d’allarme per il cinema italiano era stato lanciato da diverso tempo per i troppi tagli al FUS (fondo unico dello spettacolo) ripetuti in questi anni. Ora ne raccogliamo i frutti avvelenati. Sono davvero preoccupanti le cifre riguardanti il 2009 e presentate nelle scorse settimane dall’Anica. Diminuiscono i film italiani prodotti, 97 titoli nello scorso anno contro i 123 dell’anno precedente, cala di 6 punti la quota di mercato del cinema italiano mentre collassano gli investimenti pubblici con una diminuzione del 50%. Si tratta di numeri impressionanti che dimostrano come sia in corso una consapevole volontà di distruggere quella che un tempo era una nostra industria del cinema che aveva fatto scuola perfino agli americani, ma che ora sopravvive come un’azienda artigianale. È il segno di un’Italia che declina proprio nei settori in cui un tempo mostrava le proprie eccellenze. Se pensiamo che negli anni ’30 avevamo la scuola di fisica più importante al mondo, quella di via Panisperna, con docenti e ricercatori che sarebbero poi diventati premi Nobel, oggi osserviamo non solo la fuga dei cervelli dal nostro Paese ma il deserto di iscritti alle facoltà di fisica italiane. Che la cultura e l’Istruzione non siano ai primi posti di chi ci governa è noto, esemplari a questo proposito le parole del ministro Bondi quando definisce “accattoni” gli attori del cinema che avevano denunciato lo stato di crisi al Presidente Napolitano per la giornata dello spettacolo. Nel frattempo chiudono le sale di città a favore dei multiplex di periferia, contribuendo a allontanare il pubblico che apprezza il cinema di qualità mentre si accumulano i film che non trovano adeguata distribuzione.

Mi è capitato di partecipare a un festival straniero dove ho visto premiato un bel film di un regista italiano che non ha distribuzione perché ostaggio del produttore il quale, una volta incassati i soldi pubblici non ha interesse a immetterlo sul mercato. Ironia della sorte un cinepanettone ha ottenuto nel 2009 la qualifica di “film di interesse culturale” garantendosi così la possibilità di accedere al sostegno pubblico. Che si arrivi a spendere il termine “interesse culturale”per una mega produzione (italiana si intende) con mega incassi garantiti in partenza, serve uno sforzo di immaginazione non da poco. Negli ultimi anni registi e attori hanno condotto battaglie e soprattutto lanciato proposte legislative per aiutare il cinema sul modello di esperienze fortunate come quella francese. Il movimento 100 autori ha contribuito in modo considerevole ad avanzare proposte in questo senso (senza cadere nell’assistenzialismo clientelare) come la “tax credit”, ma dobbiamo ammettere che, nonostante questo, non ci sono nel nostro Paese le condizioni per poter fare del cinema un’impresa culturale che può lavorare nella certezza di risorse e soprattutto puntare a conquistare mercati stranieri. Manca la consapevolezza che si deve sostenere un settore che ha anche forti implicazioni economiche oltre che culturali. E come ci ricorda sempre il movimento 100 autori, “in tutti i Paesi del mondo occidentale l’industria dell’audiovisivo è considerata una risorsa strategica per l’economia e la cultura. La produzione di fiction, di cinema e di documentari genera enorme ricchezza, crea migliaia di posti di lavoro altamente qualificati e incide in modo determinante nell’elaborazione dei valori fondativi della comunità”. È proprio questa consapevolezza che manca e che continua a relegare il cinema nella sfera dell’intrattenimento. Occorre non demordere e soprattutto agevolare nelle nostre sale, anche con l’impegno delle amministrazioni locali, il cinema di qualità, evitando i cambi i destinazione d’uso dei cinema che resistono nei centri urbani, agevolandoli sul piano tariffario e dell’accesso e soprattutto operare per la divulgazione della cultura dell’arte cinematografica, offrendo agli autori la possibilità di presentarsi. Il cinema italiano di qualità esiste: occorre dargli le opportunità che merita.

Daniele Gualdi
Professore a contratto Facoltà di Economia di Forlì
Università di Bologna

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