Vecchio sarà Lei!

Mai come oggi, nella storia dei paesi occidentali, si è verificata la presenza di una proporzione cosi alta di persone anziane, mai come oggi l’invecchiamento è stato caratterizzato da condizioni di generale buona salute e mai gli anziani sono stati caratterizzati dalle attuali capacità di contribuire al benessere proprio e della collettività in cui sono inseriti.

L’incremento del numero di persone maggiori di 60 anni quale risultato dei miglioramenti nella nutrizione, nella salute e nell’istruzione ed il declino del tasso di fertilità rappresentano gli aspetti più evidenti, da un punto di vista demografico, degli ultimi decenni. Graficamente, questo cambiamento può essere rappresentato dal passaggio della popolazione mondiale dalla tipica forma a piramide attuale ad una forma di tipo più cilindrico, che rappresenta la popolazione nel 2050. Nei Paesi Occidentali, grazie ai progressi della medicina, ai miglioramenti della situazione igienica, alimentare e lavorativa, si è assistito ad un notevole allungamento della durata media della vita che, insieme alla diminuzione del tasso di natalità, ha determinato, nel corso degli ultimi decenni, una profonda modifica della struttura della popolazione: la popolazione anziana è aumentata in maniera considerevole e nel futuro il fenomeno si accentuerà ancora di più. L’Europa è, e si stima rimarrà, il continente più vecchio. La percentuale di anziani crescerà dal 20% del 1998 al 35% del 2050, quando circa un terzo della popolazione avrà più di 60 anni. In Italia, il fenomeno è particolarmente accentuato. Secondo i dati dell’ISTAT, la popolazione italiana, nel Gennaio 2002, contava circa 10.655.000 ultra 65enni (il 18.7% della popolazione totale), mentre attualmente ne conta 11.800.000 (il 20%). La stessa fonte riporta quanto l’indice di vecchiaia, che esprime il rapporto tra la popolazione ultra 65enne e la popolazione fino ai 14 anni, sia destinato ad attestarsi al 146% entro il 2010. Secondo le previsioni dell’Istituto Nazionale di Statistica, in Italia, nel 2018, la durata media della vita raggiungerà i 78,8 anni per gli uomini e gli 84,3 anni per le donne. La più precoce mortalità degli uomini è attribuibile, oltre che a fattori biologici, anche a fattori socio-economici. Alcune cause di morte, infatti, colpiscono più frequentemente il genere maschile (es. gli incidenti) e tali cause sono legate a specifici fattori di rischio, quali alimentazione, abitudini di vita, stress, ecc. Ciò che è importante notare è che non si è allungata la durata massima della vita umana dei singoli individui, visto che resta assolutamente straordinario il raggiungere o superare i 110 anni, ma si è allungata la durata media, essendo stata ridotta la mortalità precoce, ed essendo quindi diventato particolarmente elevato il numero di persone che riesce a superare gli 80 anni (52,4% per i maschi e 72,4% per le femmine, con un andamento in costante incremento). Complessivamente, tale fenomeno prende il nome di “invecchiamento demografico” ed ha, ovviamente, numerose ripercussioni su tutti i sistemi sociali. Si pensi, ad esempio, al sistema assistenziale, sanitario, previdenziale. Alcune conseguenze sono positive: se si considera il sistema sanitario, con l’aumentare della durata della vita media sono aumentate le conoscenze scientifiche sugli anziani, sono stati resi disponibili farmaci testati sulla popolazione anziana stessa, nuovi e più adeguati strumenti di valutazione e diagnosi, conoscenze circa gli stili di vita più opportuni per prevenire l’insorgere di condizioni di disagio o malattia. Ciò ha determinato il fatto che non si è solo allungata la durata della vita media, ma anche quella della vita media in buona salute. A riprova, si possono considerare i dati relativi all’andamento del cosiddetto “Disability Adjusted Life Expectancy” (Dale). Questo indice riflette l’aspettativa di vita in assenza di disabilità e mostra anch’esso un andamento crescente. In altre parole, con l’aumentare dell’aspettativa di vita, si assiste anche all’aumento dell’aspettativa di vita in buona salute. Nel nostro paese, questa si colloca intorno ai 72 anni. In sostanza, nelle società occidentali si sta assistendo ad una vera e propria rivoluzione socio-demografica. Mai come oggi, nella storia dei paesi occidentali, si è verificata la presenza di una percentuale cosi alta di persone anziane. Mai come oggi l’invecchiamento è stato caratterizzato da condizioni di buona salute generale e mai gli anziani hanno posseduto le attuali capacità di contribuire al benessere proprio e della collettività. Ciononostante, anche se in misura minore rispetto al passato, l’invecchiamento rimane correlato ad alcuni problemi sanitari e psicologici. In particolare, l’allungamento della vita e la mutata epidemiologia sanitaria e sociale sono destinati ad aumentare la prevalenza e l’incidenza, sulla popolazione, di casi di patologie che richiedono particolare e prolungata assistenza e la prevalenza e l’incidenza di disturbi cognitivi, sia lievi, sia severi.
Appare dunque essenziale che ogni sistema nazionale si mobiliti sul piano strategico-operativo al fine di trovare tutti gli strumenti necessari per mettere in atto le risposte culturali, politiche ed organizzative necessarie a far fronte a questo imponente cambiamento demografico, valorizzando le opportunità ad esso connesse e preparandosi a fronteggiare le emergenze che da esso deriveranno. L’invecchiamento della popolazione pone crescenti domande circa i fattori che permettono di rallentare il declino delle funzioni psico-fisiche legato all’età e quindi anche circa l’incidenza della disabilità. Oltre ai fattori genetici, che chiaramente determinano il tipo di cambiamenti osservati durante la senescenza, nelle ultime decadi è stata rivolta maggiore attenzione al ruolo che anche altri fattori hanno sul processo d’invecchiamento: differenze individuali, aspetti sociali, quali il grado di coinvolgimento nella vita comunitaria ed il supporto percepito, alcuni aspetti comportamentali come l’alimentazione, lo stress, il fumo, l’attività fisica.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha adottato il termine “Invecchiamento Attivo” (Active Aging) per esprimere un invecchiamento che ottimizza le possibilità di salute, partecipazione e sicurezza al fine di migliorare la qualità della vita in questa fascia della popolazione. Con il termine si riconosce la possibilità per le persone di sfruttare il loro potenziale fisico, sociale e mentale lungo il corso della vita e di contribuire alla società secondo i loro bisogni, desideri e capacità. La parola Attivo fa riferimento alla partecipazione continuata nelle questioni sociali, economiche, culturali, spirituali e civiche, e non esclusivamente alla capacità di rimanere fisicamente attivi o di far parte della forza lavoro. L’approccio dell’invecchiamento attivo si basa sul riconoscimento dei diritti umani delle persone anziane e dei principi di indipendenza, partecipazione, dignità, assistenza e realizzazione personale espressi dalle Nazioni Unite. Sposta strategicamente la programmazione da un approccio “basato sul bisogno”, che implica un ruolo passivo dell’anziano, ad un approccio “basato sui diritti”, che ne riconosce l’uguaglianza di opportunità in tutti gli aspetti della vita. Enfatizza, inoltre, la responsabilità di partecipazione alla vita politica e a tutti gli aspetti della vita comunitaria. Il concetto d’invecchiamento attivo fa riferimento a due grandi aspetti: tradizionalmente, esso rimanda a tutte quelle attività direttamente connesse alla prevenzione ed alla promozione della propria salute, quali l’eseguire screening di controllo, condurre uno stile di vita fisicamente attivo, evitare comportamenti di rischio e di abuso. Più recentemente, tuttavia, questo termine è stato utilizzato in riferimento ad una serie di altre attività e comportamenti, quali il lavoro retribuito, il volontariato, il caregiving, alcune attività sociali e comportamenti di tipo civico, mediante i quali gli anziani seguitano ad offrire ed a mettere al servizio della comunità le loro capacità ed esperienze. Il passaggio da una logica basata sui “bisogni” ad una logica basata sui “diritti” non si associa ad un diminuito bisogno di interventi di natura psico-sociale a favore degli anziani, ma ad uno spostamento della filosofia che guida tali interventi. Esso dismette le modalità di tipo prescrittivo, legate ad un’idea di anziano malato o bisognoso di cure a favore di interventi mirati ad aumentare i sistemi di opportunità offerti all’individuo a prescindere dal fatto che egli decida di coglierle o meno. Opportunità di partecipazione nelle questioni sociali, economiche, culturali, spirituali e civiche. Opportunità di non essere semplicemente l’oggetto di politiche sociali o sanitarie, ma di sentirsi responsabili della propria salute e di promuoverla attivamente. Opportunità di definire la salute, anche per gli anziani, in linea con la carta di Ottawa come “il grado in cui un individuo o un gruppo è capace, da un lato, di realizzare aspirazioni e soddisfare bisogni e, dall’altro modificare l’ambiente, valorizzando le proprie risorse sociali e personali, così come le proprie condizioni fisiche”.

Per saperne di più: Grano C., Lucidi F. (2005) Psicologia dell’invecchiamento e promozione della salute. ROMA CAROCCI EDITORE

Fabio Lucidi
Professore Associato
Dipartimento di Psicologia Università di Roma “La Sapienza”

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