Tra diritto ed etica: matrimonio tra persone omosessuali

Recentemente, il Tribunale di Venezia ha affrontato questa delicata materia. I Giudici escludono che l’art. 29 della Costituzione giustifichi il trattamento differenziato delle coppie omosessuali rispetto a quelle eterosessuali.

In un recente procedimento, il Tribunale di Venezia è stato chiamato ad affrontare una delle più delicate materie oggetto di discussione, non solo tra i giuristi: omosessualità e diritti. In data 4 febbraio 2009, i Giudici hanno sollevato un’eccezione di incostituzionalità su alcune norme che disciplinano il matrimonio. Nelle sue motivazioni, l’ordinanza si distingue per il manifesto tentativo di entrare nel merito della problematica, affrontando articolate tematiche di diritto e di riflesso argomentazioni eticamente sensibili. In particolare, il tema dibattuto è relativo alla riconoscibilità del diritto al matrimonio di una coppia omosessuale. L’occasione è un ricorso promosso da una coppia dello stesso sesso nei confronti dell’Ufficio anagrafe di Venezia. Quest’ultimo aveva rifiutato di procedere alle pubblicazioni di matrimonio richieste dalla coppia, motivando il diniego ad instaurare il procedimento preparatorio, previsto dall’art. 98 del codice civile, ritenendo “l’assoluta illegittimità della pubblicazione” ed affermando che “l’istituto del matrimonio è inequivocabilmente incentrato sulla diversità del sesso tra i coniugi”. Nel motivare la sospensione del procedimento ed il rinvio alla Corte Costituzionale, il Tribunale di Venezia richiama inizialmente un concetto semplice, ma importante: “nel sistema italiano il matrimonio tra persone dello stesso sesso non è né previsto né vietato espressamente”. L’affermazione non deve stupire, se si considera che l’insieme della norme che disciplinano il matrimonio è stato introdotto nel nostro ordinamento nel 1942 e con la riforma del diritto di famiglia del 1975, momenti storici nei quali il legislatore era ben lontano dal porsi la questione del matrimonio tra persone dello stesso sesso. Anzi, del tutto chiaramente ed in ossequio ad una tradizione consolidata e millenaria, gli artt. 107 e 108 del codice civile si riferiscono al marito e alla moglie come “attori” della celebrazione e protagonisti del rapporto coniugale, così come gli artt. 231 e ss quali autori della generazione.

L’ordinanza, dunque, fa una disamina dei principi con cui confrontarsi, ad iniziare dall’art. 2 della Costituzione, nella parte in cui riconosce i diritti inviolabili dell’uomo, non solo nella sua sfera individuale, ma anche sociale. In quest’ultima, la famiglia assurge a ruolo primario di estrinsecazione della personalità. Ne consegue, quale diritto fondamentale dell’individuo, il diritto a sposarsi, inteso nella sua accezione positiva di libertà di contrarre matrimonio con la persona prescelta, sia in quella negativa di non sposarsi e di convivere senza formalizzare l’unione (così Corte Cost. sentenza 445/2002), principio riconosciuto anche a livello sovranazionale. La scelta di sposarsi o non sposarsi è dunque personale e sottoposta a tutele così pregnanti da non consentire allo Stato di intervenire, se non per tutelare ulteriori interessi prevalenti di incompatibilità. Sul punto, i Giudici di Venezia superano ogni illegittimità del matrimonio omosessuale, non individuando “alcun pericolo di lesione ad interessi pubblici o privati di rilevanza costituzionale, quali potrebbero essere la sicurezza o la salute pubblica”. Il Tribunale non si sottrae, in motivazione, ad una legittima osservazione: il diritto di eventuali figli di crescere in un ambiente familiare idoneo, diritto che investe un indiscutibile interesse sociale. I Giudici superano l’osservazione ponendo l’attenzione sulla netta distinzione tra il diritto al matrimonio ed il diritto di una coppia, coniugata ed omosessuale, ad avere figli adottivi. Diritti non necessariamente connessi. In ogni caso, nel nostro ordinamento, non è consentita un’adozione senza una preventiva valutazione della capacità genitoriale. In tal modo verrebbe esclusa ogni “automaticità” tra il matrimonio, la richiesta di adozione e la decisione del Tribunale per i Minorenni. L’ordinanza affronta una seconda argomentazione, non meno incisiva e connessa alla precedente: l’eguaglianza dei cittadini. Tale principio cardine dei sistemi democratici è previsto all’art. 3 della nostra Costituzione, dove si afferma l’eguaglianza dei cittadini senza distinzione, tra l’altro, di sesso e di condizioni personali (nelle quali rientra l’orientamento sessuale), norma che nella sua seconda parte, quella che si riferisce all’uguaglianza c.d. sostanziale, impegna lo Stato a rimuovere gli ostacoli che, di fatto, limitano la libertà e l’eguaglianza dei cittadini. Ne consegue che il divieto di sposarsi in capo agli omosessuali sarebbe, secondo il Tribunale, un’irragionevole disparità di trattamento, soprattutto confrontandola con chi ha ottenuto la rettificazione di attribuzione di sesso, possibile con la legge 14 aprile 1982, n. 164. L’ordinanza presenta, sul punto, spunti del tutto condivisibili sotto il profilo logico-giuridico, richiamando precedenti orientamenti della Consulta, volti a sottolineare come la suddetta legge “consenta una valorizzazione dell’orientamento psicosessuale della persona contribuendo al superamento dell’isolamento, dell’ostilità e dell’umiliazione che troppo spesso accompagnano l’esistenza di queste persone (Corte Cost. sentenza n. 165 del 6 maggio 1985).Il Tribunale di Venezia evidenzia, dunque, come le illegittime discriminazioni subite dai transessuali e richiamate dalla Corte Costituzionale “siano mutuabili per gli omosessuali”. Particolare interesse suscita la riflessione sull’inquadramento dogmatico che l’art. 29 della Costituzione fa della famiglia, identificandola come “società naturale fondata sul matrimonio”. Il Tribunale, correttamente, interpreta tale principio nel senso che si afferma la “preesistenza e l’autonomia della famiglia quale comunità originaria e pregiuridica”. Questa comunità, come suggerisce A. M. Sandulli, è dotata per sua natura di una sfera di autonomia, in quanto trova “essenzialmente nel costume, nelle regole presenti della coscienza sociale e dell’ordine interno di ciascuna convivenza familiare i canoni della propria disciplina”.

L’evoluzione storica che ha riguardato la famiglia ha visto il crollo dell’indissolubilità del matrimonio, così come l’equiparazione dei coniugi; il superamento di istituti quali la potestà maritale e la dote, ma anche l’abrogazione del delitto d’onore e dell’altrettanta, odiosa, previsione di estinzione del reato di violenza carnale a mezzo matrimonio riparatore. Effetti così incisivi da modificare il carattere “tradizionale” del concetto di famiglia e di matrimonio. Tutto ciò senza che le norme costituzionali fossero minimamente modificate. Sembra, dunque, che il legislatore costituzionale abbia inteso l’art. 29 come una norma in bianco, quantomeno nel rinviare la determinazione del concetto di famiglia al momento storico in cui la norma è destinata ad operare. In questo quadro, si inserisce il ruolo fondamentale della Corte Costituzionale, la quale, con le proprie sentenze, ha consentito la modifica del concetto tradizionale di famiglia e di equiparazione dei diritti dei coniugi, dando la spinta interpretativa alla riforma del diritto di famiglia del 1975. I Giudici di Venezia escludono, dunque, che nella disposizione dell’art. 29 possa trovare fondamento il trattamento differenziato delle coppie omosessuali rispetto a quelle eterosessuali: “l’accezione costituzionale di famiglia, lungi dall’essere ancorata ad una conformazione tipica e inalterabile, si è, al contrario, dimostrata permeabile ai mutamenti sociali con le relative ripercussioni sul regime giuridico familiare”. Veniamo ora all’esame di un’argomentazione spesso richiamata per individuare un’ulteriore differenziazione: la capacità procreativa della coppia e la tutela della procreazione. Sul punto, il Tribunale sottolinea come “né la Costituzione, né il diritto civile prevedano la capacità di avere figli come condizione per contrarre matrimonio ovvero l’assenza di tale capacità, come condizione di invalidità o causa di scioglimento del matrimonio, essendo matrimonio e filiazione istituti nettamente distinti”. Si aggiunga che legare il matrimonio ad una condizione personale, come la capacità di procreare, sarebbe, anche per una coppia eterosessuale, in violazione del principio di uguaglianza. Da ultimo, i Giudici fanno riferimento all’art. 117 della Carta Costituzionale ed al principio secondo il quale il legislatore è vincolato al rispetto delle regole derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali. Anche la Corte Europea riconosce la titolarità del diritto al matrimonio del cittadino comunitario ed in un’occasione ha dichiarato contrario alla Convenzione il divieto di matrimonio tra persone dello stesso sesso, per violazione del principio del rispetto della vita privata (art. 8, 12, 14 della Convenzione per la Salvaguardia dei Diritti dell’uomo e delle Libertà Fondamentali). Le Istituzioni Europee, in numerosi atti, hanno invitato gli Stati membri a rimuovere gli ostacoli che si frappongono al matrimonio di coppie omosessuali, ovvero al riconoscimento di istituti giuridici equivalenti, indicazioni che rappresentano la presa di posizione a favore del riconoscimento della disciplina, dettata per la famiglia legittima, da estendersi alle unioni omosessuali. Una recentissima risoluzione del Parlamento Europeo, datata 14 febbraio 2009 e richiamata dal Tribunale di Venezia, ha esortato la Commissione Europea a presentare proposte che garantiscano l’applicazione, da parte degli Stati membri, del principio di riconoscimento reciproco, tra gli Stati, delle coppie omosessuali e di adottare iniziative legislative per eliminare le discriminazioni cui sono sottoposte alcune coppie in ragione del loro orientamento sessuale.

Si deve, infine, anche prendere atto che in molti Paesi europei sono ormai consolidati alcuni modelli di relazioni familiari tali da includere quelle omosessuali. Olanda, Belgio, Spagna hanno rimosso, tout court, il divieto di sposare una persona dello stesso sesso; altri Stati prevedono istituti riservati alle unioni omosessuali. Il Tribunale di Venezia, sulla base di queste ed altre motivazioni, che in questa sede di rapido commento non è possibile richiamare analiticamente, ha dichiarato la non manifesta infondatezza della questione di illegittimità costituzionale di cui agli artt. 93, 96, 98, 107, 108, 143, 143bis, 156bis e 231 del codice civile, laddove, sistematicamente interpretati, non consentono alle persone di orientamento omosessuale di contrarre matrimonio con persone dello stesso sesso, per contrasto con gli artt. 2, 3, 29 e 117 I° comma della Costituzione. Molto tempo sarà necessario per configurare un diritto di famiglia uniforme a tutta la comunità europea. Congiurano, in questa direzione, non solo fattori di differenziazione sociale e religiosa, ma consolidate tradizioni di diritto privato. La politica italiana, poi, sconta una debolezza. Una dura ortodossia che investe ogni tema eticamente sensibile e la difficoltà a dialogare, apertamente, su questi temi. Sembra che, in tale clima sociale, spett sempre più ai giudici la soluzione di delicate questioni di diritto civile, conseguenza del cambiamento dei costumi, della scienza e della tecnica, per un’incapacità politica di legiferare senza rincorrere o inseguire direttive spesso incostituzionali, condizionati da fragilità e convenienze. Spetta alla politica, viceversa, fissare i principi cardine, che solo in un secondo momento l’intervento dei giudici adatterà al caso concreto. Fin quando i ruoli saranno ribaltati, fin quando si contrapporranno ai principi costituzionali, come quelli richiamati in quest’ordinanza, altri e diversi valori “non negoziabili”, spesso in contrasto con essi, fin quando l’”identità” costituzionale repubblicana non sarà compromessa, la Carta costituzionale, come afferma il prof. Rodotà, “resterà l’unica base democratica per una discussione sui valori sottratta alle contingenze e alle ideologie”.

Roberto Casella
Avvocato

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