Nel 1985 la parola “malattie rare” era pressoché sconosciuta ai medici, ai ricercatori, alle autorità sanitarie, ai media. Ma dedicare un intero istituto allo studio delle malattie rare non era un’idea bizzarra, ma rispondeva ad un bisogno reale.
In un pomeriggio di primavera del 1985, un elicottero rosso si è posato sul prato davanti alla facciata di Villa Camozzi-Vertova, nel paese di Ranica, a pochi chilometri da Bergamo. Villa Camozzi, come viene comunemente chiamata, è un edificio dei primissimi dell’Ottocento, per 150 anni dimora della famiglia Camozzi Vertova, una tra le più importanti famiglie di Bergamo. Nel 1985, dopo essere stata anche un convento di suore, la Villa era in uno stato di abbandono e iniziale decadimento, ma stava per rinascere a nuova vita. Dall’elicottero rosso stava scendendo l’allora Ministro per la Ricerca Scientifica e Tecnologica, il Senatore Luigi Granelli. Il Ministro era venuto per apportare rilievo e risonanza all’annuncio che l’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri aveva avuto in dono dall’Istituto Sanpaolo di Torino, la Villa Camozzi e che l’avrebbe trasformata in un Centro di Ricerche Cliniche, uno dei primi in Italia specificamente e interamente dedicato a sviluppare la ricerca medica con i pazienti. Ma non solo (e qui l’annuncio era veramente sorprendente): il Centro si sarebbe principalmente dedicato a studiare le malattie rare. Perché occuparsi di malattie rare? E cosa sono le malattie rare? Nel 1985, questa parola chiave “malattie rare” era pressoché sconosciuta a medici, ricercatori, autorità sanitarie, media
A quasi nessuno era mai venuto in mente che le malattie potessero essere anche qualificate in base alla loro frequenza. È bastato aspettare qualche giorno dopo l’annuncio di Villa Camozzi, per capire che dedicare un intero istituto allo studio delle malattie rare non era un’idea bizzarra, ma rispondeva ad un bisogno reale. In poche ore, il centralino telefonico dell’Istituto veniva sommerso da chiamate da tutta Italia. Si trattava di persone che avevano proprio una malattia rara, o parenti di ammalati, soprattutto genitori di bambini. Tutte le telefonate, pur nella varietà delle condizioni cliniche che riferivano e delle situazioni personali che descrivevano, testimoniavano l’urgenza di avere risposte precise a tanti e diversi quesiti che non avevano ancora trovato risposta. Le persone accoglievano con entusiasmo l’idea che, finalmente, qualcuno si accorgesse di loro, premevano perché i ricercatori si mettessero subito al lavoro per scoprire la causa della loro malattia e magari anche la cura… Era come scoprire un mondo sconosciuto, sommerso, ignorato o sottovalutato, non solo dall’opinione pubblica, ma anche – stando ai racconti – dalla medicina e dal sistema sanitario.
La migliore risposta ai quesiti di cui sopra – perché occuparsi delle malattie rare – la stavano dando i pazienti stessi. Certo, l’idea di occuparsi di malattie rare era venuta all’Istituto a poco a poco negli anni, durante i quali molti pazienti, in modo sporadico ed occasionale, si erano rivolti al Negri, che era conosciuto anche al pubblico più largo come un istituzione libera, indipendente e rigorosa nel campo scientifico, per un aiuto. La prima cosa che avevamo capito da queste occasionali esperienze era questa: sapere di più della propria condizione è forse l’esigenza più urgente che ha chi soffre di una malattia rara. Trovare però chi è in grado di rispondere alle domande che si affollano nella mente non è affatto facile. Nei racconti dei pazienti, qualunque sia la loro malattia, ricorre spessissimo una sequenza di eventi, esperienze, incontri contrassegnati dall’incertezza, dal dubbio, dalla mancanza di punti fermi. Molto spesso, emerge un’esperienza di solitudine e di abbandono, rafforzata quando si apprende che la malattia di cui si soffre, purtroppo, al momento, non ha una cura… Dunque il bisogno che qualcuno si occupasse di queste persone c’era ed era grande, l’intuizione che l’Istituto potesse rispondere a questo bisogno era venuta e, infine, il luogo per farlo, ora c’era… Allora, nessuno, o quasi, in Europa, si occupava di malattie rare, mentre, negli Stati Uniti, un movimento di cittadini per promuovere la consapevolezza pubblica dell’esistenza di queste malattie e per promuovere la ricerca di nuove cure era partito da qualche anno e aveva prodotto un primo importante risultato. Nel 1983 era stata infatti promulgata la prima legge sui farmaci orfani, che incentivava la ricerca e lo sviluppo di nuove terapie.
Senza sostegno pubblico, o senza particolari aiuti, l’industria del farmaco non le portava a termine. Iniziando il nostro impegno per le malattie rare, la prima cosa che abbiamo imparato è che i pazienti affetti da malattie rare soffrono della scarsità di informazione e di cultura medica. Interviste con molti pazienti affetti da una malattia rara hanno evidenziato che spesso si verifica un grave ritardo nella diagnosi della malattia rara. La diagnosi di una malattia rara può evidentemente essere difficile, perché il medico curante può non aver mai visto quella malattia, e probabilmente non ne vedrà altri casi per molto tempo. Spesso, quindi, passa del tempo prima che venga posta la diagnosi con precisione. Anche nel caso la diagnosi sia formulata in tempo, i pazienti – o i loro parenti – costantemente riferiscono molte difficoltà ad ottenere rapide ed esaurienti informazioni riguardo la loro malattia. In particolare, risultava difficile sapere quali erano i centri clinici più qualificati per studiare e curare le malattie rare. La scarsità di informazione sulle malattie rare costituisce uno dei maggiori ostacoli in cui si imbattono i pazienti. Una volta formulata la diagnosi, il paziente e la sua famiglia desiderano che tutto ciò che si deve sapere della malattia, specie ciò che riguarda le cause, la prognosi e la terapia, venga loro spiegato in modo chiaro e comprensibile. Spesso di fronte ad una diagnosi insolita, provano il desiderio che questa venga confermata in ambito specialistico.
Qualcuno, di fronte alla prospettiva che per una data malattia non vi sia terapia nota per essere efficace, dichiara di essere disposto a sperimentare cure nuove anche se non ancora di certa efficacia e vuole sapere dove deve rivolgersi. Non di rado, il paziente intraprende la ricerca di un centro famoso o rinomato in un certo campo da solo e viaggia da un ospedale all’altro senza un’indicazione precisa. Altre volte, di fronte ad una diagnosi di una malattia che non ha cura, che non viene per ora studiata in nessun posto al mondo, non rimane che rassegnarsi e vivere il proprio disagio da soli e con la propria famiglia. Dunque, il Centro di Villa Camozzi ha svolto in Italia un ruolo pionieristico agli inizi degli anni ‘90, quando non esisteva pressoché nulla. All’inizio, quindi, ciò che offrivamo erano soprattutto informazioni. Sembra strano, ma succedeva spessissimo che i pazienti avessero sì una diagnosi, ma che non sapessero quasi nulla della loro malattia. Il nostro sforzo era di fornire loro ogni tipo di informazione utile, soprattutto dove rivolgersi per avere l’assistenza migliore. Infatti, allora e a maggior ragione oggi, ci sono in Italia molti centri eccellenti. Il punto era, ed è, farli conoscere a chi ne ha bisogno.
Come abbiamo già detto, all’inizio degli anni ‘90 l’accesso ad Internet era cosa di pochi, e comunque poco c’era in rete sulle malattie rare. Oggi c’è moltissimo, anche se non tutto quello che si trova è valido. Dall’inizio dell’attività del Centro di Informazione ad oggi, in 16 anni, sono giunte richieste di informazione da parte di 12000 pazienti e sono state catalogato quasi 1000 malattie diverse che riguardano praticamente tutte le aree della medicina.
Questa è una delle cose più sorprendenti: all’inizio, anzi per un bel numero di anni, chi si rivolgeva a noi erano quasi solo i pazienti e i loro parenti, pochissime volte i medici; nel corso degli ultimi anni, la fisionomia dell’attività del Centro si è venuta gradualmente trasformando: da punto di smistamento di notizie aggiornate sulle malattie rare a vero e proprio centro di documentazione e di cultura su tutti i problemi relativi. Prima si trattava soprattutto di rispondere ai quesiti dei pazienti; per quanto complessi potessero essere i problemi posti, il Centro di Informazione era soprattutto un servizio per il pubblico. Nel corso degli anni, l’accrescersi della banca dati contenente notizie relative a numerose malattie rare è andata configurandosi come un vero e proprio patrimonio di dati che possono e potranno diventare utilissimi nella programmazione degli studi clinici. Ora, grazie all’attività del Centro di Informazione, si dispone di uno strumento per individuare i pazienti, rintracciarli e proporre loro, a tempo debito, la partecipazione ad uno studio. Il Centro di Informazione ha poi avviato contatti con altre organizzazioni in Europa che si occupano di fare informazione – nel senso più largo e comprendente tutti gli aspetti che abbiamo via via menzionato – nel campo delle malattie rare. Infine, con il passare degli anni, accanto a questa attività -diciamo così- di servizio per i pazienti, è aumentata l’importanza dell’attività istituzionale, la collaborazione con ministero, assessorati regionali, aziende sanitarie locali, singoli medici, e possiamo dire -credo senza immodestia- di aver contribuito a dare forma alla politica sanitaria sulle malattie rare in Italia. Contemporaneamente, abbiamo mantenuto rapporti di collaborazione con ricercatori e istituzioni a livello internazionale, specie con la Commissione Europea.
Per concludere…
Con questo racconto, con queste note sparse in cui abbiamo mescolato ricordi personali con considerazioni generali, probabilmente non abbiamo offerto dei modelli o delle ricette per spiegare come si parla con i pazienti. Quando abbiamo cominciato l’attività del Centro, non avevamo seguito corsi o letto manuali, pur sapendo che parlare con loro era il nostro compito principale. È venuto tutto da sé, non per una particolare predisposizione o dono della natura. Noi eravamo interessati ad esplorare una terra ancora sconosciuta, quella delle malattie rare, da cui sapevamo che avremmo tratto tanti motivi per fare ricerca. Abbiamo scoperto che quella terra era abitata da gente in difficoltà, che aspettava di ricevere ascolto ed aiuto. Per quanto era nelle nostre possibilità, abbiamo cercato di darlo. Certo è che abbiamo imparato molto.
Giuseppe Remuzzi
Direttore del Dipartimento di Medicina Specialistica e dei Trapianti,
dell’unità di nefrologia e dialisi degli Ospedali Riuniti di Bergamo,
coordinatore della ricerca dell’istituto Mario Negri di Bergamo
Arrigo Schieppati
Dirigente medico presso la struttura “Ospedali Riuniti di Bergamo”
Erica Daina
Capo unità del Centro di Informazione per le Malattie Rare presso il
Centro di Ricerche Cliniche per le Malattie Rare Aldo e Cele Daccò