La psicologia in questi contesti opera non tanto su patologie da curare quanto su normalità da preservare o da ritrovare. Le popolazioni non assistite rischiano di andare incontro a fenomeni di automedicazioni del disagio, ma anche il soccorritore diventa una figura ad alto rischio di traumatizzazione.
Guardando gli eventi emergenziali per quanto attiene alle ripercussioni che hanno sulle popolazioni colpite,considerate nella loro globalità, dobbiamo dire che vanno in contro a bruschi e gravi cambiamenti per quanto riguarda le abitudini, i progetti di vita, le condizioni e le prospettive economiche, la rete delle relazioni, la possibilità di esercitare il proprio ruolo, ecc. e tutto questo espone quelle popolazioni ad un improvviso e marcato stato di frustrazione e disagio che determina una condizione di disadattamento generalizzato. Considerando, invece, i singoli individui di una popolazione colpita da un disastro, dobbiamo dire che possono esserci vari tipi di reazioni e che possono variare molto per entità e tipologia. Possiamo avere, infatti, forme lievi di disagio a carattere depressivo-ansioso, che, se non insorgono fattori ulteriori di compromissione, evolvono verso una remissione spontanea, e forme più o meno marcate di sofferenza psichica che richiedono un intervento psicologico mirato, competente e tempestivo.
Già queste semplici e brevi riflessioni ci evidenziano, pur senza soffermarci particolarmente sulle problematiche psicologiche facilmente intuibili delle vittime che hanno riportato ferite e danni fisici permanenti, e dei loro parenti più prossimi, che il malessere psicologico attraversa tutta la popolazione colpita, anche se in modo differente e che la sofferenza richiede attenzioni e cure per far sì che le forme più lievi di malessere vadano via via sfumando, pevenendo il rischio di cronicizzazioni, e le forme più marcate di malessere abbiano la necessaria attenzione clinica, secondo quanto previsto dalla normativa italiana per l’intervento psicologico nelle emergenze. (Criteri di massima sugli interventi psicosociali da attuare nelle catastrofi, Gazzetta Ufficiale del 29 Agosto 2006 n.200). Le popolazioni non assistite rischiano, infatti, di andare incontro a fenomeni di automedicazioni del disagio, consistenti nell’uso eccessivo di generi di “conforto”: alcol, sigare, cibi grassi, zuccheri, pane, psicofarmaci, droghe, ecc., che determineranno compromissioni della salute fisica, a causa della comparsa o dello scompenso di diabete, ipertensione, colesterolo, problemi bronchiali, ecc., compromissioni ulteriori della salute psichica ed anche della qualità delle relazioni, sia all’interno della famiglia che all’esterno, comparendo una sempre maggiore irritabilità, intolleranza, aggressività.
Come è evidente l’assistenza psicologica alle popolazioni colpite è, come la normativa italiana sottolinea, necessaria da subito, va attivata insieme alle altre componenti dell’attività di soccorso, deve durare, dice sempre la norma, per tutto il tempo necessario a far recuperare il miglior equilibrio possibile a tutti i cittadini che presentano delle difficoltà ed a quanti hanno subito danni fisici e perdite affettive in particolare. Da quanto appena detto emerge un tratto peculiare della Psicologia dell’Emergenza, ossia il suo forte orientamento ad operare non tanto su patologie da curare quanto su normalità da preservare o da ritrovare. Una figura centrale del momento dell’emergenza è quella del soccorritore a cui bisogna riservare una specifica attenzione proprio per le peculiarità del suo ruolo. Il soccorritore, infatti, è sempre sulla scena dell’evento e proprio per questo diventa una figura ad alto rischio di traumatizzazione, trovandosi nella condizione di sviluppare una traumatizzazione per via empatica, ossia a causa dell’identificarsi con la vittima, del mettersi al posto della vittima, oltre che dell’essere spettatore di situazioni di forte impatto emotivo. Proprio in considerazione dell’elevato rischio di compromissione della salute psichica del soccorritore la normativa italiana prevede, infatti, che: ”Destinatari primari degli interventi di supporto psicologico in emergenza sono le vittime dirette… i testimoni diretti… i familiari delle vittime, i soccorritori, volontari e professionisti, che a qualsiasi titolo abbiano prestato il proprio aiuto alle vittima e ai sopravvissuti”.
Sempre in ordine alla tutela della salute psichica dei soccorritori la norma precisa anche che: ”A prescindere dalla tipologia dell’evento catastrofico, è opportuno valutare a priori i fattori di rischio di un contesto emergenziale per poter prevenire disagi di natura psicofisica nei soccorritori. Una volta che gli operatori sanitari si troveranno ad intervenire sul luogo della catastrofe dovrà essere garantito il loro lavoro attraverso un’azione di monitoraggio volta ad individuare segni e/o sintomi di possibili condizioni di stress e/o di disturbi psichici”. La norma proprio per rendere possibile questo prevede anche, infatti, che: ”È ipotizzabile che l’equipe di supporto psicologico debba rimanere in attività per un tempo più lungo rispetto al Posto Medico Avanzato (PMA), con cui è in continuo raccordo, per consentire di essere a supporto anche a tutto il personale che ha preso parte alle operazioni di soccorso”. È evidente da quanto detto sopra che, come dice M. Lechat, 1989, ”I disastri sono distruzioni su larga scala dell’ecologia umana che le comunità non sono in grado di assorbire con le loro sole risorse. Rappresentano problemi di primaria importanza per la salute pubblica a causa delle morti, dei traumi, e delle sofferenze che provocano”.
Michele Cusano
Docente di Psicologia dell’Emergenza, Università di Trieste
Facoltà di Psicologia;
Presidente Società Italiana di Psicologia dell’Emergenza (SIPEM)