Il business della ricostruzione

In Abruzzo si è costruito male, si è rubato sui materiali, non si sono mai fatti controlli, non si sono osservate le norme antisismiche e, forse, si sono fatte arricchire le mafie, sulla pelle dei cittadini.

Edifici classificati “strategici”, immobili di uso pubblico, palazzi privati diventati bare collettive. È questo il triste bilancio del cinismo e dell’incuria umana lasciato dal terremoto dell’Aquila, dopo le vittime umane. La prima struttura a essere stata sequestrata è stata la casa dello studente, che nella notte del terremoto, ha ucciso undici studenti universitari. Le macerie dell’Aquila stanno facendo emergere i tanti abusi e le tante carenze di una crescita urbanistica incontrollata e irregolare. Tra cemento di qualità molto scadente, armature in ferro prive della cosiddetta ”staffatura”, solai precipitati come castelli di sabbia. L’intera gamma dell’edilizia delinquenziale che, in tanti parti d’Italia, oltre a devastare il territorio, lucra sulla qualità dei materiali e sulla professionalità della mano d’opera e dei presunti imprenditori, a L’Aquila ha trovato il suo palcoscenico più drammatico. Imprenditori senza scrupoli che riducono al minimo i costi e lucrano al massimo sui ricavi, mettendo anche nel conto centinaia di vite umane, per la Procura dell’Aquila sono anche i responsabili di quei quasi 300 morti che un terremoto di magnitudo relativamente bassa non avrebbe ucciso, se le strutture avessero retto.

Carabinieri, polizia e guardia di finanza hanno già ricevuto l’ordine di identificare una serie di costruttori, progettisti e direttori dei lavori. Sono loro i protagonisti del piccolo boom edilizio dell’Aquila, che da metà anni Sessanta in poi ha plasmato la vasta area residenziale a ridosso del centro storico. La Procura, una volta tanto, sembra voler fare sul serio. Il Procuratore Rossini ha ammesso che gli indagati saranno anche “arrestati” nel caso si dovesse accertare che i motivi per cui sono crollati i palazzi non sia stato solo il terremoto, ma vi siano anche le responsabilità di chi ha costruito male. Ma c’è dell’altro. No comment è la risposta del procuratore Rossini a chi gli chiede di verifiche in corso sulla certificazione antimafia di imprese molto attive all’Aquila e dintorni negli anni passati. Probabilmente, l’indagine sul disastro si incrocerà con un’altra, quella dell’antimafia sugli appetiti criminali collegati al business della ricostruzione. Non siamo di fronte a timori teorici, quelli della direzione distrettuale che ha avviato insieme alla procura nazionale antimafia uno screening delle imprese controllate da mafia, ’ndrangheta e camorra pronte a far rotta sull’Aquila, dove nel prossimo decennio pioveranno i miliardi per la ricostruzione.

Nei database dell’antimafia non c’è soltanto il precedente dell’Irpinia, non c’è soltanto la traccia delle molte imprese casertane tuffatesi nella ricostruzione dell’Alto Sangro dopo il sisma del 1984. Ci sono decine di storie sui caposaldi della camorra nella Marsica, nel Vastese e nell’area metropolitana di Pescara. Proprio qui fu arrestato sei anni fa Vincenzo Carobene, considerato l’agente immobiliare dei casalesi, in cerca di appalti per le imprese del clan. Una trama molto simile a quella ricostruita dalla squadra mobile di Chieti dietro la catena di attentati dell’estate scorsa a Vasto. Secondo la relazione della Procura Nazionale Antimafia, la regione Abruzzo è ormai da anni oggetto di forte attrazione per la criminalità comune ed anche per quella mafiosa. Gli scali marittimi di Pescara, Giulianova, Vasto ed Ortona focalizzano nella regione alcune rotte commerciali secondarie utilizzate anche per i traffici di stupefacenti, provenienti prevalentemente dall’Albania, e la tratta di esseri umani. Penetrante ormai la presenza di elementi legati alla camorra (soprattutto) ma oggi anche alla ‘ndrangheta e alla mafia siciliana. Mentre dall’esame delle schede dei procedimenti pendenti presso la Procura Distrettuale de L’Aquila non è dato evidenziare una presenza attiva della criminalità pugliese, anche se la zona sembra preferita per il soggiorno obbligato o come rifugio dei latitanti pugliesi.

Le indagini in questo settore, pur non essendosi concluse con procedimenti significativi, hanno dato corso a due procedimenti di particolare interesse, che presentano tutte le caratteristiche di possibili infiltrazioni mafiose, ed in particolare di Cosa Nostra, nel settore degli appalti e dello smaltimento dei rifiuti, attraverso la costituzione e/o il trasferimento in Abruzzo di società che potrebbero servire, il condizionale è d’obbligo essendo le indagini appena all’inizio da un lato come serbatoio per il riciclaggio di denaro sporco e dall’altro per ottenere finanziamenti pubblici e/o appalti per lo smaltimento dei rifiuti. Indipendentemente dal decorso delle indagini e degli eventuali esiti processuali, dalle macerie dell’Aquila emergono misfatti edilizi compiuti venti o trent’anni fa. (La cosa più incredibile dal punto di vista tecnico è che le case migliori, quelle che hanno retto meglio l’urto, sono state costruite più di trent’anni fa. Addirittura il vecchio ospedale, costruito nel 1700, non ha subito neppure una crepa mentre il moderno ospedale San Salvatore si è afflosciato su se stesso). Non siamo di fronte a casi isolati o a un tragico destino. No, nulla di tutto questo. Ed ancora non sappiamo quanti palazzi e strutture, soprattutto nel centrosud, sono stati costruiti in tal modo. Ciò che abbiamo intuito poche ore dopo la scossa fatale oggi è già chiaro a tutti: si è calcolato male dove costruire, si è costruito male, si è rubato sui materiali, non si sono mai fatti controlli durante la costruzione e dopo la costruzione, non si sono osservate le norme antisismiche, e, forse, si sono fatte arricchire le mafie, sulla pelle dei cittadini.

Bianca La Rocca
Responsabile dell’ufficio stampa di Sos Impresa Confesercenti

Massimiliano Fanni Canelles

Viceprimario al reparto di Accettazione ed Emergenza dell'Ospedale ¨Franz Tappeiner¨di Merano nella Südtiroler Sanitätsbetrieb – Azienda sanitaria dell'Alto Adige – da giugno 2019. Attualmente in prima linea nella gestione clinica e nell'organizzazione per l'emergenza Coronavirus. In particolare responsabile del reparto di infettivi e semi – intensiva del Pronto Soccorso dell'ospedale di Merano. 

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