C’è chi ha perso gli occhiali, chi la dentiera, chi i documenti personali, chi le medicine: il terremoto ha pareggiato tutti, senza fare sconti a nessuno né per censo né per età.
Il terremoto è un evento che sprigiona una grande energia dalle viscere della terra. I suoi effetti possono essere devastanti sia sulle persone, sia sulle cose. In una scala definita per intensità del trauma psichico, il lutto e il trasloco sono gli eventi a maggior impatto: non è dunque difficile definire come devastante per i superstiti il distacco e/o la perdita di affetti e di oggetti, fenomeni che – nel terremoto – spesso si sommano. In effetti, l’intervento sanitario in queste condizioni può essere suddiviso in due parti: una pragmatica, di intervento tecnico propriamente detto, e un’altra di tipo socio-sanitario. Questa è una suddivisione fittizia, poiché l’una parte influenza (talora anche grandemente) l’altra, ma può essere utile per una chiarezza espositiva.
L’intervento tecnico nelle primissime fasi consiste soprattutto nell’evacuazione delle persone dalle zone terremotate, sia per l’incertezza del ripetersi dei fenomeni, sia per la precarietà delle strutture presenti. Espletati i primi soccorsi, sono necessari numerosi mezzi di trasporto (elicotteri e soprattutto ambulanze) che portano i feriti in luoghi più idonei al loro trattamento. In loco deve essere previsto solo un punto di assistenza in grado di valutare ed eventualmente stabilizzare clinicamente i soggetti da evacuare. Parte delle persone che afferiscono spontaneamente necessitano solo di essere tranquillizzate, ma questo fa parte del trauma psichico determinato dall’evento. Successivamente, con la rimozione delle macerie, aumenterà il ritrovamento pietoso delle salme.
La porzione “fortunata” della popolazione, scampata al sisma, si ritrova negli accampamenti (inizialmente tendopoli) e si abbraccia con gesti di grande solidarietà. C’è chi ha perso gli occhiali, chi la dentiera, chi i documenti personali, chi le medicine: il terremoto ha pareggiato tutti, senza fare sconti a nessuno, né per censo, né per età. I più sgomenti, e quindi più disperati, sono coloro che più avevano; a tutti è necessario dare una speranza/certezza di ricostruzione che riesca a motivare e riattivare le risorse umane presenti in ciascuno. In questo senso, è prezioso il supporto degli specialisti psicologi. Le spese per la sanità sono state sempre sbilanciate a favore degli ospedali rispetto al territorio: normalmente, il 60% contro il 40%. Si parla perciò di una visione ospedalo-centrica, che si sta cercando di modificare verso un obiettivo così frazionato: 45% per l’ospedalità, 5% per la prevenzione e 50% per il territorio. Naturalmente – come tutti sappiamo – gran parte delle spese sono legate al personale, che dovrebbe quindi essere spostato sul territorio. A dire il vero, per molti anni le attività territoriali sono state considerate un “refugium peccatorum”, il luogo dove mandare personale poco motivato, anziano o comunque inservibile alla stressante turistica ospedaliera. A completare il quadro, si deve riportare che le attività di medicina sul territorio sono molto variegate e, ancora oggi, poco codificate, rendendo difficile la loro valutazione qualitativa e temporale. Hanno ancora forte incidenza l’aspetto culturale della popolazione e la “storia” della sanità regionale: non bisogna infatti dimenticare che in alcune regioni l’aspetto sociale era rimasto alle organizzazioni sanitarie, mentre in altre la tutela sociale era stata affidata ai comuni e agli enti locali. Apparentemente tutto questo può sembrare sganciato dalla criticità terremoto.
Eppure, avendo il sisma raso al suolo l’organizzazione sanitaria e, per L’Aquila, reso inagibile l’ospedale, si può intravedere un’opportunità che è anche una speranza di “rifondazione” della gestione della salute, con un più facile (direi quasi obbligato) raggiungimento del descritto obiettivo di riequilibrio della spesa. Le opportunità – che danno speranza fattiva – sono necessariamente le risorse umane professionali non più occupate/occupabili nell’ospedale, e la possibilità di una telemedicina sempre più estesa e articolata. In queste fasi di azzeramento dei ceti sociali, anche il personale sanitario (medici, infermieri, tecnici, ausiliari, ecc.) è domiciliato presso le tende/strutture provvisorie. Fornendo un minimo di mezzi tecnologici e presidi sanitari, questi operatori possono risultare una risorsa in loco in grado di essere riferimento e gestire la tutela della salute della comunità locale. Per il caso specifico del terremoto aquilano – dove sono attualmente presenti più di 110 tendopoli – è stato già effettuato un censimento sia della popolazione che insiste su ciascun campo, sia delle “risorse” sanitarie esistenti. Poiché non tutti i centri hanno presenze sanitarie, si prevede la copertura di quest’ultime da parte di strutture viciniori, ma anche di prevedere/programmare, ove possibile, un accorpamento di più campi. La figura di riferimento sarà di livello infermieristico, mentre la presenza medica verrà assicurata in pochi centri (quelli più numerosi), ma con orario continuativo. Il supporto tecnologico nei campi potrà essere assicurato grazie a collegamenti informatici per le patologie più frequenti e croniche (cardiologiche e respiratorie). Il supporto specialistico su mezzi mobili è ormai possibile anche con livelli importanti di tecnologia: ecografie, mammografie, visite oculistiche e odontoiatriche, ecocardiografie, sono tutte prestazioni erogate in concreto da camper appositamente attrezzati.
Superato, verosimilmente nel prossimo futuro, il trauma acuto del terremoto, rimane la gestione della popolazione con la sua cronicità sanitaria. Si potrà prevedere e realizzare un ridimensionamento delle funzioni ospedaliere orientate alla gestione del paziente acuto ed alle discipline specialistiche impegnative sia dal punto di vista diagnostico, sia terapeutico, mentre si potrà concretizzare – grazie alla telemedicina e all’infermiere di territorio – una sorta di ospedale diffuso.
Augusto Borzone
Direttore sanitario aziendale – ASL, L’Aquila