La necessità di reperire nuove risorse finanziarie ha portato ad utilizzare lo strumento dei derivati, rivelatosi in seguito particolarmente a rischio per i costi che può comportare in presenza di imprevedibili sviluppi dei mercati finanziari. Il ricorso ai derivati è accettabile solo se rivolto alla copertura del rischio di variazione dei tassi o a ristrutturare lo stock complessivo del debito in un diverso equilibrio tra tassi fissi e tassi variabili.
Il crescente indebitamento degli enti locali, la conseguente necessità di reperire nuove risorse finanziarie, i precisi vincoli di bilancio imposti dalle norme e le continue limitazioni ai trasferimenti dalla finanza statale alla finanza locale, costituiscono l’insieme delle cause che hanno indotto molte amministrazioni locali a ricercare nuove soluzioni tanto innovative, quanto rischiose, per far fronte alle proprie necessità finanziarie. Tra queste soluzioni, fenomeno emergente di questi ultimi anni è il ricorso alla ristrutturazione del debito. Si utilizza spesso lo strumento dei derivati, rivelatosi in seguito particolarmente a rischio per i costi che può comportare in presenza di imprevedibili sviluppi dei mercati finanziari.
La Corte dei conti, come istituzione nazionale di controllo esterno articolata sul territorio, è dal 2003 investita del compito di verificare, ai fini del coordinamento della finanza pubblica, il rispetto degli equilibri di bilancio da parte di Regioni, Province e Comuni, con particolare riguardo al patto di stabilità interna connesso al rispetto dei vincoli comunitari. In tale ambito di responsabilità, la Corte ha analizzato l’esposizione debitoria delle autorità locali per verificare l’utilizzazione di strumenti di finanza derivata. In una prima fase (2003-2004), la Corte ha preso in esame un campione di 148 comuni minori (con popolazione compresa fra gli ottomila e i diecimila abitanti). Sulla base di un’analisi preventiva, sono stati ritenuti più esposti ai possibili rischi connessi all’utilizzo dei “derivati” rispetto ai comuni più grandi, per via di capacità tecniche minori nella gestione di operazioni di particolare complessità.
In una seconda fase (2004-2005), l’indagine è stata estesa a quasi tutte le Regioni italiane (17 su 20) e ad un campione di comuni di media e grande dimensione (tra i quali Roma, Genova e Napoli). Nelle due indagini (ed in successivi aggiornamenti relativi al periodo 2005-2006), sono stati acquisiti tutti i contratti aventi ad oggetto operazioni su derivati stipulati nell’arco temporale 2003-2006, particolarmente significativo in quanto in tale periodo sono state approvate norme analitiche per la gestione del debito da parte delle autorità locali. Dal 2007, a seguito di nuove competenze attribuite alla Corte dei conti in materia di consulenza a favore degli enti territoriali e dietro segnalazione del Ministro per il Tesoro, alcune Sezioni Regionali della Corte hanno eseguito indagini e valutazioni su singoli contratti “derivati”, posti in essere da singoli comuni, pervenendo ad indicare una serie di linee-guida:
• Non è consentito trasferire il peso finanziario dei contratti in essere sugli esercizi futuri.
• Sono ammesse solo operazioni sui derivati di acquisto “collar” indirizzate alla protezione del rialzo dei tassi di interesse.
• È stato fissato un merito di credito (rating) che debbono possedere gli intermediari finanziari.
L’Italia fa parte della European Monetary Union (EMU) che impone precisi vincoli di bilancio. I principali sono: rapporto deficit/GDP non superiore al 3%; rapporto debito/GDP non superiore al 60%, o, comunque, tendenzialmente orientato al suo raggiungimento. A tal fine, l’Italia ha posto in essere una serie di misure restrittive che hanno coinvolto gli enti locali, chiamati anch’essi, sulla base di un “Patto di stabilità interno”, ad attuare politiche di contenimento della spesa e del debito.
Cosicché, a partire dai primi anni 2000, per attenuare gli effetti di restrizione della crescente crisi di liquidità connessa alla politica di contenimento del debito attuata dal governo a livello centrale, la disciplina del credito a favore degli enti locali è stata riformulata sulla base dei seguenti obiettivi:
• facilitare l’accesso al mercato dei capitali
• consentire un più ampio margine di manovra alle regioni e agli enti locali per assumere autonome iniziative di finanziamento
• ampliare la gamma delle modalità di gestione del debito
• disciplinare i nuovi strumenti finanziari derivati per limitarne l’utilizzazione a casi ben circoscritti
• evitare i rischi legati a politiche d’indebitamento speculative determinate dall’intento di ottenere immediati vantaggi in termini di liquidità con pregiudizio sugli equilibri futuri di bilancio
Principali innovazioni normative riguardanti la gestione del debito da parte delle autorità locali.
Nel 2001
• possibilità di procedere ad estinzione anticipata di passività contratte dopo il 21 dicembre 1996, finanziata attraverso collocamento di titoli obbligazionari; rinegoziazione dei mutui;
• possibilità di fare ricorso a strumenti derivati;
• possibilità di emettere titoli obbligazionari con rimborso in un’unica soluzione alla scadenza (“bullet”), con l’obbligo di costituire un fondo di ammortamento reinvestibile (“sinking fund”) o di effettuare un “amortizing swap” per trasformare il debito “bullet” in debito ammortizzabile
Nel 2003
• vengono individuate le operazioni su derivati ritenute ammissibili, cioè quelle a copertura del rischio di tasso d’interesse nell’ambito della tipologia “plain vanilla”:
1. “swap di tasso di interesse” (interest rate swap – IRS)
2. acquisto di “forward rate agreement”
3. acquisto di “cap”
4. acquisto di “collar”
5. copertura obbligatoria del rischio di cambio (cross currency swap)
Nel 2007
• è stata prevista una fase di monitoraggio ex-ante da parte del Ministero dell’economia e delle finanze. A tal fine, gli enti locali hanno l’obbligo di trasmettere al Ministero il testo del contratto prima della sua sottoscrizione
• qualora questi contratti violino la normativa vigente, il Ministero informa la Corte dei conti per l’adozione dei provvedimenti di sua competenza.
Le norme definiscono anche vincoli che gli enti locali debbono rispettare nel caso di operazioni di ristrutturazione del loro debito attraverso il ricorso ai contratti derivati. Ciò per garantire che tali operazioni abbiano lo scopo di gestione del debito e non finalità speculative.
• L’utilizzo di strumenti derivati deve tendere alla riduzione del costo del debito o alla riduzione dell’esposizione ai rischi di mercato.
• L’utilizzazione dei derivati è consentita solo per gestire effettive passività, con finalità di copertura dei rischi e non con finalità speculative.
• L’ammontare del contratto derivato deve corrispondere al valore del debito originario (sottostante).
• Le operazioni in derivati che modificano il piano di ammortamento non debbono comportare una scadenza posticipata rispetto a quella del contratto originario (coincidenza della durata delle obbligazioni).
• Tali operazioni non debbono prevedere un profilo di rimborso delle passività con un onere di rimborso capitale e/o interesse concentrato verso la data di scadenza.
In riferimento all’analisi delle problematiche emerse nel corso delle indagini sui contratti su derivati effettuate nel periodo 2003/2007, la Corte dei Conti osservava:
• Con la diffusione degli strumenti derivati è sensibilmente aumentato il rischio di operazioni finanziarie non sostenute dalle necessarie competenze professionali dei rappresentanti degli enti locali, specie se di piccole e medie dimensioni.
• Per far fronte a questa mancanza di competenza, gli enti locali minori hanno fatto affidamento a banche e intermediari finanziari sia per le strategie di ristrutturazione del debito, sia per la valutazione del loro effetto e dei rischi connessi.
• I responsabili degli enti locali di piccole e medie dimensioni hanno sottoscritto, come previsto della norma, la clausola contrattuale di “operatore qualificato”, pur non avendo comprovata esperienza nel campo dei prodotti derivati.
• Le Regioni e gli enti locali di maggiore dimensione hanno spesso costituito uffici con tecnici altamente qualificati nel settore dei contratti su derivati.
Le norme emanate nel 2003 hanno avuto un positivo effetto regolamentare e chiarificatore, ma, precedentemente, le operazioni sui derivati erano state concluse senza seguire criteri ottimali, né adeguate cautele. Inoltre, i contratti derivati sono stati spesso utilizzati per colmare deficit di bilancio o mancanza di liquidità. I contratti derivati più recenti risentono dell’evoluzione in crescita dei tassi di interesse connessa alla politica monetaria restrittiva della BCE (i tassi sono passati dal 2 al 4 per cento tra il 2005 e il 2007). Questo determina vantaggi per gli enti locali per i primi anni (2 o 3) di durata del contratto, mentre per gli anni successivi ci sono forti probabilità di perdita per l’ente locale.
Raccomandazioni della Corte dei Conti
• Il ricorso ai derivati è accettabile solo se rivolto alla copertura del rischio di variazione dei tassi o a ristrutturare lo stock complessivo del debito in un diverso equilibrio tra tassi fissi e tassi variabili.
• Creare una struttura centrale di tipo consultivo ed informativo per orientare gli enti locali di piccole e medie dimensioni nelle loro scelte di ristrutturazione del debito e di ricorso a contratti derivati.
• Creare una rete informatica per offrire un esame comparato delle clausole contrattuali proposte dagli intermediari finanziari, nonché un costante aggiornamento dell’andamento dei contratti in essere.
• Monitoraggio da parte delle Sezioni regionali di controllo della Corte dei conti dei contratti su derivati, non solo per una valutazione del rispetto delle norme, ma anche per una loro valutazione con riferimento alle effettive problematiche di gestione e di indebitamento dell’ente locale.
Luigi Mazzillo
Consigliere della Corte dei Conti