La ricetta democratica

C’è un’osservazione, tra le tante ascoltate in questi mesi a proposito delle proteste degli studenti, che ho trovato agghiacciante. Si tratta del consiglio dato dall’ex Presidente della Repubblica ed ex Ministro dell’Interno Francesco Cossiga all’attuale titolare del Viminale, Roberto Maroni, in occasione di un’intervista al Quotidiano Nazionale. Dai giornali risulta che Cossiga propone di “ritirare le forze di polizia dalle strade e dalle università, infiltrare il movimento con agenti provocatori pronti a tutto, e lasciare che per una decina di giorni i manifestanti devastino i negozi, diano fuoco alle macchine e mettano a ferro e fuoco le città”. Dopo di che, forti del consenso popolare, la polizia ed i carabinieri potrebbero rimettere a posto le cose. Come? “Le forze dell’ordine non dovrebbero avere pietà e mandarli tutti in ospedale”, continua il senatore a vita. “Non arrestarli, che tanto poi i magistrati li rimetterebbero subito in libertà, ma picchiarli e picchiare anche quei docenti che li fomentano”. A questo punto Cossiga, dopo aver spiegato che le Brigate Rosse non nacquero nelle fabbriche ma nelle Università, spiega la sua idea di democrazia: “questa è la ricetta democratica, spegnere la fiamma prima che divampi l’incendio”.

Meno male che Cossiga è stato un professore universitario di diritto politico e costituzionale. Perché, in realtà, a me non sembra di sentir parlare un intellettuale europeo. Mi sembra piuttosto di ascoltare il discorso di qualche dittatore militare del Sudamerica. Che se ne frega non solo della Costituzione Italiana, ma anche di testi come la “Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo”. La libertà di espressione, per fortuna, è sancita da tutte le moderne costituzioni. La “Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali”, ratificata dall’Italia nel 1955, recita all’articolo 10: “Ogni individuo ha diritto alla libertà di espressione. Tale diritto include la libertà di opinione e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza che vi possa essere ingerenza da parte delle autorità pubbliche e senza limiti di frontiera”. Bisognerebbe tenerlo presente.

Bisognerebbe anche tener presente il motivo per cui gli studenti manifestano. Non scendono in piazza per ottenere qualche vantaggio immediato o un miglioramento della loro situazione contingente. Non protestano, insomma, per la carenza di testi nelle biblioteche, per l’obsolescenza delle attrezzature nei laboratori o per altri disservizi a livello organizzativo. Protestano, invece, perché sono preoccupati per il loro futuro. Temono la privatizzazione delle Università, vogliono che sia garantito a tutti il diritto allo studio e si battono per il reclutamento dei professori. Sono spaventati dalla precarietà, dal blocco della mobilità sociale, dalla sotto occupazione intellettuale.

Scendere in piazza per questi motivi è una grande dimostrazione di democrazia. La “ricetta democratica” non è spaccare la testa a chi va in corteo per esprimere la sua opinione. La “ricetta democratica” è partecipare, rifiutare il “me ne frego”. La società in cui viviamo sembra volerci inculcare ad ogni costo l’ideologia dell’affermazione di sé stessi: promuovere solo le proprie iniziative, curare il proprio orticello, occuparsi del proprio piacere personale sarebbe l’unico valore da perseguire. In realtà, è il modo migliore per farsi portare via le proprie libertà.

Martina Seleni

 

Massimiliano Fanni Canelles

Viceprimario al reparto di Accettazione ed Emergenza dell'Ospedale ¨Franz Tappeiner¨di Merano nella Südtiroler Sanitätsbetrieb – Azienda sanitaria dell'Alto Adige – da giugno 2019. Attualmente in prima linea nella gestione clinica e nell'organizzazione per l'emergenza Coronavirus. In particolare responsabile del reparto di infettivi e semi – intensiva del Pronto Soccorso dell'ospedale di Merano. 

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