Negli ultimi tempi il dibattito sulla meritocrazia ha ripreso notevolmente quota in seguito ad alcuni provvedimenti assunti dal nuovo Governo. L’esecutivo ha voluto infatti occuparsi della questione cercando di colpire uno tra gli aspetti più evidenti che la caratterizzano: le assenze nell’ambito del pubblico impiego. Il decreto e la relativa circolare in materia stabiliscono infatti una serie di norme che fissano sanzioni in caso di mancato rispetto delle stesse. Il Governo ha dichiarato di aver raggiunto in poco tempo percentuali di abbattimento del fenomeno vicine al 50%. Se abbandoniamo però per un attimo l’impressione favorevole che immediatamente suscita un provvedimento di questa natura e proviamo ad approfondire il “mondo” che si cela dietro il termine “meritocrazia”, ci accorgiamo ben presto che la questione non è così semplicistica. I lavoratori del pubblico impiego, come quelli di private attività stanno attraversando un momento delicato e frustrante, mi rivolgo a quella moltitudine di persone che, angosciata dal costo della vita, dal blocco degli stipendi, dal precariato sempre più diffuso, riesce comunque a trovare la voglia di lavorare con entusiasmo. È un esercito di persone, impiegati, operai, commessi, infermieri, medici, direttori e manager, sindaci, docenti universitari, uomini e donne che “regalano” parte del loro tempo per aiutare chi ha bisogno più di loro, perfino politici di appartenenze diverse e tanti altri ancora. Cosa li accomuna? Un profondo disagio. Non sopportano più un mondo in cui chi dovrebbe dare l’esempio “predica bene, ma razzola male”. Dove la meritocrazia viaggia a rovescio. Dove la politica promuove gli amici, indipendentemente dalla loro competenza. Dove gli incompetenti dovrebbero dirigere i competenti, ma non sono in grado. Dove ormai si sono raggiunti i livelli di corruzione, arroganza e senso d’impunità simili a quelli che avevano messo in ginocchio la società negli anni ’90. Dove spesso si distrugge quel poco che resta di buono soltanto perché è merito del proprio nemico. Dove si chiacchiera, si compare, ci si vanta, ma non si assumono volentieri responsabilità. Dove le lobbies e le cupole, politiche, sociali od economiche che siano, si accordano tra loro soffocando quel che resta della democrazia e della meritocrazia. Sotto questa montagna di cenere ci sono ancora coloro che, nonostante tutto, credono ancora che la dignità, l’etica, il sentimento di appartenenza ad una comunità, la famiglia, la solidarietà, siano ancora dei valori per cui combattere. Zoli Serena ancora nel 2002 scriveva sul Corriere della Sera che “la felicità o l’infelicità non dipendono tanto da grandi eventi, se va su la destra o la sinistra, ma dalla vita quotidiana … per superare l’arrivismo, l’egoismo, l’avidità, è necessario pensare non solo al benessere singolo, ma anche a quello collettivo … e per realizzarlo servono leaders dotati di etica”. È ormai indispensabile ricostruire una società in preda ad una gran confusione. Restituire la propria quotidianità a ciascuno di noi, riconsegnare dignità alle persone rivalutando il cosiddetto “fattore umano”. Le macchine, la tecnologia, i criteri di valutazione ecc… rimangono scatole vuote se private di guide autorevoli. In questo processo di recupero etico non ha valore l’appartenenza ad uno schieramento piuttosto che all’altro, ma la competenza, l’equilibrio, l’umiltà e l’onesta delle persone. Solo a questo punto possiamo parlare di meritocrazia.
Alessandra Guerra