Scegliere la propria strada non sempre è facile, a volte le aspettative dei genitori si infrangono contro la volontà dei loro figli e non è detto sia un male. A volte li proteggono troppo, privandoli delle esperienze che trasformano i giovani in adulti
Intorno al tavolo ovale di ciliegio intarsiato, che era appartenuto almeno a tre generazioni, sedevano in quattro, come ogni giorno, per il rito del pranzo: papà, mamma, Luca, il primogenito di 20 anni e sua sorella di 16. Il clima era teso. La posta in gioco altissima. Per la prima volta nella sua vita, Luca aveva deciso di affrontare la situazione a viso aperto. Il nodo era la scelta universitaria: non si sentiva più di continuare con quel tipo di studi. Le parole si intrecciavano da una parte all’altra. Di là erano tonde, secche, decise, piene di enfasi sull’importanza di seguire la strada tracciata dai padri, per continuare ciò che loro avevano preparato per noi. Di qua erano incerte, spezzate, sospese. Eppure piene di vita, di quella vita che non vuole dirsi con la voce che non sia la propria. Padre e figlio, uno di fronte all’altro, due modi di essere, due visioni del mondo, due mondi in transizione. Quella fu l’ultima conversazione sull’argomento. Dopo di che Luca lasciò l’università, ma dovette lottare molto, rinunciando ai vantaggi che il padre gli avrebbe concesso se avesse continuato il suo cammino.“L’uomo non ha una natura ma una storia, scrive E. Ortega y Gasset. La sua storia è qualcosa che deve essere scelta, inventata, a mano a mano che si svolge. Essere umani è essenzialmente questa scelta e questa invenzione.”.Luca la sua storia l’aveva in parte ereditata, in parte scelta, in parte inventata. Egli sapeva che nasciamo all’interno di un vincolo, biologico, culturale, affettivo, ma soprattutto che il nostro destino dipende dalla nostra capacità di comprendere il mito della famiglia nella quale siamo nati e cresciuti. Di elaborarlo e riscriverlo in maniera coerente con le nostre aspirazioni. Luca era riuscito a credere fino in fondo nel suo sogno, quello di diventare musicista, il primo musicista di una generazione di giuristi. I meriti erano stati interamente suoi. Aveva dovuto difendere con fatica la passione per la musica dalla sufficienza dei giudizi di suo padre, ma, soprattutto, dai compromessi di una società che non è capace di valorizzare il talento e manda avanti chi non lo merita. “Tutte le famiglie felici sono simili l’una all’altra. Ogni famiglia infelice è infelice a modo suo”.Riaprendo una vecchia edizione di Anna Karenina, Luca trovò questo pensiero piuttosto appropriato agli sviluppi della sua storia familiare: un matrimonio fallito, un divorzio pesante, un figlio, Matteo, nel pieno dell’adolescenza.
La scena cambiata. Al posto del tavolo di ciliegio, uno più informale, ma altrettanto bello. Siedono in quattro. Papà Luca, la sua compagna Valeria, sua figlia Martina di otto anni, e Matteo, alle soglie dell’esame di maturità. La discussione è veloce, le parole si confondono con i suoni degli iPod. La vita non è più la stessa, inequivocabili i segni di patti infranti, dolori normalizzati, sentimenti liquidi, fugaci. Talora anche intensi e sinceri. “Sapete, – esordisce Matteo – i genitori di Daniele hanno deciso di ritirare il figlio da scuola, dopo aver litigato con quella di matematica, contestandole di averlo interrogato dopo una settimana di assenza. Loro sì che lo difendono. Anzi, il padre, che è uno importante, dice che gli farà continuare il liceo in un istituto privato. Tanto, dopo Daniele farà l’avvocato come lui, oppure il magistrato”.Luca rimane assorto e comincia a vagare con il pensiero. “Genitori che difendono ad oltranza i loro figli, i quali in casa diventano tiranni e fuori non sanno dove andare. Il mondo li seduce con la forza delle immagini, immagini di involucri vuoti, di fragilità pronte ad erodersi al primo contatto più forte con la realtà. Magari un giorno anche mio figlio mi chiederà di raccomandarlo…”
“Papà -continua Matteo – devo fare un tema sulla meritocrazia nella nostra società. Si intitola: “La meritocrazia è un sistema di valori che valorizza l’eccellenza indipendentemente dalla provenienza”. Mi dai una mano? Non so proprio che cosa scrivere!”. Mentre sparecchia la tavola, Valeria li guarda in modo tenero, padre e figlio, ancora una volta l’uno di fronte all’altro. Martina, intanto, è andata nella sua stanza a fare i compiti. Non sa ancora se domani incontrerà suo padre, che non mantiene mai le promesse, ma si sente felice lo stesso. Vuole bene a Matteo, anche se non è suo fratello. Si fa scaricare la musica da internet e spesso si addormenta sulle sue ginocchia. A Martina piace la musica. Quando ascolta Luca suonare, immagina un mondo fatto come i tasti del pianoforte: bianchi, neri, differenti, ma uguali, tutti importanti, anche se a diverse altezze. Immagina che un giorno le sue mani libere e pulite, muovendosi sulla tastiera, racconteranno che in questo mondo nuovo gli uomini hanno imparato a credere nei sogni, a coltivarli, a combattere fino in fondo per realizzarli.
GIUSEPPE RUGGIERO
*Psichiatra, psicoterapeuta familiare, direttore IMePS. Istituto di Medicina e Psicologia Sistemica