Il mondo degli esclusi non è fatto solo d’incapaci

La professionalità è un concetto che sta stretto alla corrispondenza retributiva ed agli inquadramenti in senso verticale o orizzontale attuati dalla contrattazione collettiva perché deriva da un patrimonio complesso che è sintesi di una vita e dell’evoluzione di tanti valori.
Assistiamo così a casi di mancato rispetto del bagaglio professionale del dipendente e della sua professionalità e ad una sorprendente evoluzione del concetto di danno alla persona nella sua integrità, morale, psichica e fisica, che trova puntuale riscontro nelle aule giudiziarie.

Se si parla di meritocrazia, il pensiero va quasi sempre al mondo del lavoro. E’ quasi automatica la riflessione sul valore della prestazione e sulla professionalità. Competenza professionale e formazione continua sono temi ricorrenti che evocano la meritocrazia. Il mondo del lavoro è forse il campo dove possiamo meglio verificare la consistenza di questo valore. In quest’ambito, professionalità, capacità personali, iniziativa, trovano definizione su di un piano contrattuale principalmente retributivo, anche in dimensione collettiva. Alla prestazione corrisponde normalmente un inquadramento, una retribuzione, una tutela collettiva ed irrinunciabile. Di recente, in quest’ambito, abbiamo “scoperto” anche i valori della persona umana. Si dedicano convegni e pagine di giornale al fenomeno del “mobbing” ed emergono fattispecie di danno alla personalità che un decennio fa non sarebbero state immaginabili o sarebbero addirittura apparse risibili. In realtà, la professionalità nell’ambito del lavoro, è un concetto che sta stretto alla corrispondenza retributiva ed agli inquadramenti attuati dalla contrattazione collettiva. Si tratta spesso di un patrimonio complesso, sintesi di una vita e delle evoluzioni di tanti valori. Assistiamo così, di fronte ai casi di mancato rispetto del bagaglio professionale del dipendente e della sua professionalità, ad una sorprendente e puntuale evoluzione del concetto di danno alla persona nella sua integrità, morale, psichica e fisica, che trova puntuale riscontro nelle aule giudiziarie. Qualcuno può pensare che ci troviamo di fronte ad un’umanità viziata, egoista e volta al crepuscolo.Ma non è proprio così. La cattiva gestione delle risorse umane è un’offesa al soggetto, all’economia ed all’intera società. Spesso gli esclusi sono davvero capaci. Stando alle parole del professor Monasteri, studioso del “mobbing”, sono spesso “persone che sono al di sopra della media e proprio per questo vengono prese di mira” La conseguenza più dannosa di certi fenomeni è inflitta all’azienda in termini di redditività ed efficienza economica a causa dell’assenteismo e della minore produttività dei lavoratori non utilizzati correttamente in base ai loro meriti e capacità professionali.  Va quindi aggiunto il costo sociale dei disturbi psico – fisici, delle indennità di malattia e di eventuali pre-pensionamenti forzosi. Sprechi di competenze, risorse e spesso palesi affronti alla meritocrazia. Il problema non può rimanere nella dimensione individuale o puramente morale. Un cenno alle molteplici cause che portano alla mortificazione della meritocrazia. La prima contraddizione proviene dal mondo dell’impresa e del lavoro. Non si è mai parlato tanto di managerialità, flessibilità, economia del sapere. Ma la meritocrazia continua a stare alla porta, come non mai. Le aziende sono impegnate in rapide ristrutturazioni, fusioni, esternalizzazioni, cordate. Si sono affermate esigenze di flessibilità che connotano spesso rapporti precari. Si determina così una situazione di minor tutela e garanzia che teoricamente sembrerebbe  adatta a favorire i meriti e la professionalità. Ma non sempre il risultato è questo.

La precarietà non aguzza né l’ingegno, né i meriti. Non è vissuta come una fase d’ingresso nel mondo del lavoro o una fase di mobilità professionale. E’ imposta e vissuta come un destino ineluttabile. Spesso, le aziende alle prese con rapide trasformazioni, si concentrano su numeri, organigrammi, strutture e modelli esterni che servono da guida a manager rampanti, ma proni davanti alle idee del momento, conformisti e privi di idee. Così il fattore umano è relegato all’ultimo posto. Del resto, trasferimenti e concentrazioni non permettono investimenti sulle persone. I balletti della finanza hanno fatto dimenticare che le aziende sono fatte di mezzi e attività produttive, ma, soprattutto, da uomini che ne possono determinare il destino. Assistiamo in questi giorni ad una crisi epocale, con gravi ripercussioni sui mercati. Si è trascurata l’economia reale con il necessario peso del capitale umano.La dimensione delle aziende nella realtà nazionale non agevola l’affermarsi della meritocrazia. Si tratta spesso di aziende medio – piccole, dove vige il famoso capitalismo familiare. In una recente intervista, Roger Abravanel, già direttore di Mc Kinsey, ha affermato che la scarsa propensione alla ricerca di professionalità all’esterno della famiglia ha indotto quest’ultime ad adattare lo sviluppo delle aziende alle esigenze familiari, precludendosi possibili vie di sviluppo. Il nostro pensiero va anche ad ipotesi ventilate di recente, che prevedono concorsi regionali con precedenza ai residenti in regione ed a classi scolastiche riservate agli immigrati. Siamo vicini alle tematiche della discriminazione, un fenomeno che impedisce l’emergere del merito. Il pensiero va subito ai classici casi di discriminazione, che tutti condannano. Parliamo delle discriminazioni per razza, sesso, orientamento sessuale, credo religioso. Molte volte si guarda alle origini sociali, all’ambiente frequentato, al modo di esprimersi o di atteggiarsi. Alla capacità di relazionarsi in certi ambienti, alla vita familiare o affettiva, anche quando queste doti non servono. Chiediamo un’affinità ed un conformismo non necessari, che spesso rassicurano la nostra pigrizia a pensare oltre. Non è sempre detto che chi sa stare a tavola, racconta le migliori barzellette, intrattiene nei salotti, sia alla fine il candidato ideale per posizioni delicate. In un’ottica di tutela difensiva, il rapporto contrattuale è affidato principalmente alla contrattazione collettiva. Gli attori sono organizzazioni a vasto raggio che tutelano ampie ed indifferenziate categorie. Essi hanno l’interlocutore principale nelle sedi politiche. Pretendono di rappresentare tutti gli interessi, anche configgenti, che vanno dal grande dirigente, al manovale, all’immigrato, al disoccupato. Del resto, nel nostro ordinamento, non esistono regole certe di rappresentatività sindacale. L’unico criterio riconosciuto è quello della sottoscrizione di un contratto collettivo. E’ intuibile che esso privilegia il numero e la forza politica, ma non sempre la rappresentatività di istanze e professioni specifiche. Ogni intervento individuale è visto in chiave di pregiudizio della generalità.

Mancano rappresentanze a livello di categorie professionali o a livello aziendale. La professionalità gode di ampia tutela legale e contrattuale. Essa assume, come molti diritti nell’ambito del rapporto di lavoro, carattere di diritto indisponibile. La tutela, sicuramente meritoria, spesso non ne permette però l’evoluzione. Non è agevole un percorso professionale modulato a livello individuale. Aspetti particolari di affronto alla meritocrazia emergono anche nel mondo del pubblico impiego. L’articolo 97 della Costituzione garantisce l’imparzialità ed il buon andamento della pubblica amministrazione. Le riforme succedutesi dagli anni ‘90 ad oggi hanno imposto una netta ripartizione tra organi di governo e dirigenza. Si intrecciano esigenze di fedeltà ai disegni politici di chi è chiamato a governare con la necessità di disporre ai vertici delle persone migliori.  Questo bilanciamento spesso non riesce.  Si sono volute applicare al pubblico le regole dell’impresa. Si è trattato di un lodevole tentativo per dare smalto ad una pubblica amministrazione fonte di sprechi e disservizi. La meritocrazia, però, è sempre lontana. Manca la valutazione della professionalità. Nel pubblico, chi assume o promuove non subisce né in chiave negativa, né positiva, il frutto delle proprie scelte. Lo ha capito la Corte Costituzionale. Ha tacciato di incostituzionalità norme che permettevano disinvolte promozioni ed assunzioni, molto spesso sponsorizzate da vertici politici di enti locali e sindacati. E’ stato imposto l’obbligo del concorso e la giurisdizione amministrativa sullo stesso. Vietato il transito da un’area professionale all’altra, una vera promozione senza concorso. Sicuramente un lodevole rimedio, ma non la soluzione. Il pubblico dipendente dovrebbe essere assunto dopo una valutazione personale del dirigente, e allo stesso modo dovrebbe essere licenziato o promosso. Si è invece ingabbiato di nuovo tutto il sistema. Per ultimo, il mondo delle professioni “libere”. Si evita una selezione in entrata finalizzata alla necessaria tutela dell’utenza. Norme medioevali scoraggiano la concorrenza e la crescita imprenditoriale e garantiscono l’immutabilità dei privilegi di pochi e la sopravvivenza di molti. Si impedisce così la mobilità sociale e l’emergere dei talenti.  Il dubbio è che, alla fine, i mediocri riescano a scegliere ed a cooptare i mediocri, conservando sé stessi.

Fabio Petracci.
Avvocato , consigliere dell’Ordine degli Avvocati di Trieste,
componente il Consiglio di Amministrazione dell’ Ezit Ente
Zona Industriale di Trieste e della Commissione Lavoro e Professioni presso il Cnel

 

Massimiliano Fanni Canelles

Viceprimario al reparto di Accettazione ed Emergenza dell'Ospedale ¨Franz Tappeiner¨di Merano nella Südtiroler Sanitätsbetrieb – Azienda sanitaria dell'Alto Adige – da giugno 2019. Attualmente in prima linea nella gestione clinica e nell'organizzazione per l'emergenza Coronavirus. In particolare responsabile del reparto di infettivi e semi – intensiva del Pronto Soccorso dell'ospedale di Merano. 

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