L’attivo più importante del nostro paese è la nostra gente, il talento dei nostri giovani. Se emigrano significa che stiamo lasciando scappare la più importante fonte di sviluppo che il paese possieda. (Rafael Puyana, concertista colombiano di rilievo internazionale durante l’incontro dei Saggi latinoamericani su Scienza, Cultura ed educazione, Bogotà 1998)
“Emigrare nell’Italia del ventunesimo secolo? Non vedo il motivo per cui una persona giovane volesse farlo. Mi risulta una pazzia”, mi disse sette anni fa un’anziana signora inglese, ex funzionaria del governo britannico per gli affari economici in Arabia Saudita. Donna emancipata, che aveva scelto l’Italia per passare i suoi ultimi anni. E che trovai di ritorno in America Latina, in uno di quei viaggi che faccio una volta all’anno e in cui raramente trovo compagni di poltrona interessanti, con cui possa condividere la visione del paese che ho scelto per vivere e lavorare. Rispondere a questa domanda non fu facile e continua a non esserlo, dato che la meritocrazia non è proprio il punto di forza nel mondo del lavoro italiano. Ma ciò non significa che lo sia anche nei nostri paesi, in cui i flagelli del nepotismo e il favoreggiamento vengono combattuti con intraprendenza ed esperienze lavorative sin dai primi anni dell’università.
La nuova emigrazione degli italiani di fronte al fenomeno “EXTRACOMUNITARI”
Ogni otto assunzioni in Italia, una viene ricoperta da un immigrato, spesso sottovaluto e che vanta un livello di studi e competenze tecniche superiore alla media di coloro con cui condivide il posto di lavoro.
Su un campione di cinque laureati italiani, almeno la metà rivolge lo sguardo altrove, col proposito di sviluppare studi post-laurea, stabilire residenza permanente all’estero ed accedere a posti di lavoro in aziende o istituti di ricerca. Opportunità che spesso non riscontrano risposta nei grandi centri urbani e provinciali dell’Italia di oggi, a causa del nepotismo nelle piccole e medie aziende, del favoreggiamento di candidati non qualificati o semplicemente dalla scarsa preparazione pratica con cui i laureandi affrontano il primo impiego. Il Know How si acquisisce attraverso un periodo di “stage”, nel quale si impara ciò che gli atenei non svelano ai laureandi: saper lavorare su casi pratici applicando i fondamenti teorici imparati in aula. Un secondo aspetto è legato alle competenze linguistiche. Emigrare implica il dominio di almeno due lingue straniere. Quelle che risultano più importanti ai giovani immigrati sono l’inglese, il tedesco, lo spagnolo ed il francese. Di fatto, le nazioni più ricercate per chi intende trovare occupazione qualificata nell’ambito delle discipline scientifiche, sono quelle all’estremo Nord. Là l’inglese è la regola, in Italia è spesso trascurata. Un caso significativo è la migrazione qualificata verso l’Inghilterra e la Spagna. Il “Paese del sole” ha riscontrato, negli ultimi otto anni, un incremento nell’ingresso di immigrati qualificati. Di questi, il 50% proveniente dall’America Latina. Immigrati che riescono ad omologare i loro titoli di studio in breve tempo, senza muoversi dal paese d’origine e tramite i consolati spagnoli. Il 30% di questi emigrati ottiene un lavoro qualificato e riesce ad integrarsi in maniera positiva. L’Italia mostra due immagini che si incrociano in maniera quasi paradossale: l’emigrazione italiana qualificata che cerca sbocchi all’estero e la difficoltà degli immigrati di trovare sbocchi professionali coerenti con la loro formazione, se non tramite un lavoro autonomo.
ALCUNE CIFRE SUL LAVORO “EXTRACOMUNITARIO” IN ITALIA
Secondo un’indagine presentata dalla Caritas, anche se laureato, un immigrato in Italia si ritrova spesso a fare l’operaio. Un terzo degli occupati stranieri risulta collocato in maniera svantaggiosa rispetto ai suoi titoli. Cifre allarmanti, se consideriamo che circa la metà degli occupati stranieri è in possesso di una laurea o di un diploma. Altri dati emergono dal Rapporto Caritas-CNA: nel lavoro dipendente si sottolineano problemi relativi alla continuità ed alla qualifica, con ricadute sulla remunerazione. Questi aspetti spingono ad intraprendere la “via autonoma”. Alcune collaborazione occasionali mascherano una situazione di lavoro dipendente non regolarizzata. In Veneto, Lombardia, Lazio, Piemonte ed Emilia Romagna è doveroso parlare di realtà imprenditoriali formali, debitamente registrate presso le Camere di Commercio. 95.000, secondo il Dossier Statistico dell’Immigrazione. Le grandi metropoli ospitano un quarto delle imprese condotte in Italia da cittadini stranieri. Nel lavoro autonomo, i cittadini extracomunitari rappresentano il 92% del totale, superando la popolazione comunitaria d’origine straniera in maniera molto ampia. L’attività imprenditoriale viene esercitata in settori come il commercio al dettaglio, l’edilizia, l’impiantistica, la pesca, la ristorazione, l’abbigliamento, pulizie e trasporti. Sale anche l’ambito della comunicazione, con realtà ideate, sviluppate e sponsorizzate dagli stessi immigrati. Portali su internet, trasmissioni televisive e radiofoniche, riviste ed alcuni giornali. Contenuta l’incidenza degli stranieri che svolgono attività intellettuali. Gli studi sull’occupazione qualificata sono pochi, ma ci indicano che la discriminazione riguarda un ostacolo da non sottovalutare. Il concetto di “anzianità” sul posto di lavoro prevale ancora nella mentalità italiana come criterio meritocratico e ciò spiega perché sono gli stranieri arrivati fra il 1989 ed il 2000 la parte significativa affermata nell’ambito professionale. Il 40% degli immigrati laureati si dedica a lavori non attinenti alla loro formazione. Un fatto preoccupante se consideriamo che, negli ultimi due anni, l’incremento degli studenti stranieri negli atenei supera del 2,5% le cifre del 2005. Di fronte ad iniziative d’integrazione di tipo imprenditoriale, emergono la ricerca dell’immigrato del vero lavoro qualificato e di quello di seconda generazione che trova nell’Università una risorsa capace di rimodellare il suo status. I settori preferiti nei quali gli stranieri qualificati esercitano le loro competenze sono di matrice linguistico-scientifica, come la mediazione culturale, il ruolo di interprete, la medicina, l’infermieristica ed altre carriere nell’ambito della salute. Fra le discipline più ambite dai 42.493 studenti stranieri negli atenei italiani, troviamo Medicina seguita da Economia, secondo il rapporto Caritas. L’istruzione è un importante punto di partenza per i figli degli immigrati. E’ un bene da custodire e coltivare, fulcro dell’ideale meritocratico che speriamo possa diventare punto di partenza verso una società più equa e sviluppata su valori più solidi.
LINA SCARPATI
Giornalista ed Specialista in comunicazione d’impresa ed Analisi e Ricerca di Mercato