“Cara Corsetti,
…faccio il chirurgo negli Stati Uniti, dopo essere scappato da Roma. Sono fuggito perché non riuscivo a sopportare tutti i disastri che vedevo nelle Università e negli Ospedali. Dopo la laurea in medicina, mi sono specializzato in chirurgia, a Roma. Nei cinque anni successivi ho operato, in tutto, 9 pazienti e tutti per vene varicose! Mi sono trasferito negli Stati Uniti e qui in 7 anni ho effettuato oltre 2000 interventi, tra cui trapianti di fegato e intestino. Sono tornato in Italia e dopo poco ho realizzato il primo trapianto di intestino multiviscerale pediatrico. Naturalmente ho tentato molti concorsi da primario, ma non essendo raccomandato chiaramente non ho mai vinto. Economicamente non è andata meglio. Nelle strutture pubbliche, per i trapianti ci davano un bonus di poche centinaia di euro. Poi i sindacati hanno fatto in modo che il bonus venisse eliminato. Così davanti alla prospettiva di venti euro lordi l’ora, per un trapianto di fegato, sono tornato negli Stati Uniti dove mi aspettavano a braccia aperte. L’idea era di andare solo per due anni perché la mia famiglia risiede in Italia, ho chiesto all’Ospedale un’aspettativa per un periodo di studio e aggiornamento. L’ospedale mi ha invece imposto le dimissioni. Cosi’ muore la gente in Italia in sala operatoria, anche professionalmente.”
…dalla lettera di un chirurgo italiano
In molti anni di lavoro giornalistico, ho spesso raccolto testimonianze come questa: il racconto di grandi potenzialità produttive ed intellettuali, dissipate e offese nel nostro paese e dal nostro sistema e invece pienamente apprezzate e valorizzate in altri paesi.
La spiegazione è sempre la stessa, l’assenza di qualunque meritocrazia, l’assenza di ogni riconoscimento, di ogni opportunità per chi è bravo, anzi per chi è più bravo degli altri. Non esiste alcuna cultura di valorizzazione dell’idea o del progetto eccellente. Nei migliore dei casi nella scelta dei vincitori, in Italia, prevalgono beni di famiglia e ricchezze personali a garanzia di quello che si è. Ma il più delle volte, va anche peggio e il sistema e le scelte si alimentano di raccomandazioni, scambi di favori, piccoli e grandi ricatti che impongono il nome di qualcuno e si chiamano scelte politiche. Il concorso per divenire Primario in un ospedale italiano prevede che una commissione scelta dal direttore generale, individui tra i candidati una rosa di idonei, senza alcuna graduatoria e rimetta allo stesso Direttore Generale la scelta, sulla base di un rapporto fiduciario. E dinanzi al parere del Direttore Generale, spesso a nulla valgono pubblicazioni scientifiche, docenze, numero e complessità di interventi presenti in curriculum, perché la fiducia è sì una cosa seria, ma soggettiva e quel che è serio per me forse non lo è per voi che ora leggete. Seguendo questo modo di ragionare anche fuori degli ospedali, può accadere che essere un premio Nobel non venga considerata cosa del tutto seria, se l’italiano Premio Nobel per la fisica Carlo Rubbia, si è visto rifiutare, nel nostro e suo paese, la fiducia al suo progetto per produrre energia rinnovabile da specchi solari, progetto che invece ha ispirato grande fiducia al Governo Spagnolo, che ha subito accolto e finanziato Rubbia e le sue idee, nel frattempo sollevato anche dalla direzione dell’ENEA. Questa volta, per fortuna Rubbia non ha neppure dovuto faticare ad arrivare fino in America, gli è bastato fare un pezzetto di Mediterraneo. Così mentre si reintroducono i voti nelle scuole perché il giudizio non soddisfaceva, non era del tutto chiaro e un distinto poteva essere confuso con un discreto, mentre invece un cinque non si è mai confuso con un otto, ci chiediamo perché (evitiamo qui altri inquietanti interrogativi su quel che sta accadendo alla scuola pubblica italiana)? Ci chiediamo a cosa serva tutta questa chiarezza e questa educazione alla valutazione del merito, una volta cresciuti, diventati adulti. Forse per sentirsi frustrati e delusi al punto da sviluppare malattie e nevrosi o fuggire a gambe levate a fare la fortuna di un altro paese. Perché è così che va a finire: “i nostri migliori cervelli” fanno la fortuna economica, scientifica, culturale e artistica di molti altri paesi, come anni fa mi fece notare un saggio docente di una Università americana che vedendomi gongolare per il numero di docenti italiani presenti in quell’università mi disse: “ la vedo soddisfatta!…, ma non le dispiace che degli italiani tanto in gamba, facciano grande il mio paese anziché il suo?. Decine di grandi professionisti nati, laureati, specializzati e formati in Italia, a spese dell’Italia e realizzatisi poi negli Stati Uniti, a vantaggio della ricchezza degli Stati Uniti. Questo è il valore della meritocrazia, non un principio astratto o una mania del far vincere sempre i più bravi, serve a fare grande un paese sia in termini culturali che economici e sociali. Noi però, qui in Italia non abbiamo capito ancora che l’infrastruttura intellettuale di un paese è ciò che davvero conta, poiché le società si specializzano e scelgono sempre più, in luogo di un’economia basata sul lavoro manuale, un’economia basata sul sapere, ossia su intuizioni, idee, conoscenze e buoni metodi. Per questo negli Stati Uniti le Università ogni anno aprono campagne acquisti per avere i migliori docenti, percorrono centinaia di miglia alla ricerca dei migliori studenti delle high school americane, perché saranno loro, in primo luogo, a costruire una grande università, con i migliori progetti di ricerca che attrarranno i migliori finanziatori e sponsor e da loro otterranno ricchezza per sviluppare grandi progetti di ricerca e sviluppo, che ricadranno prima sul territorio dello Stato e poi sul paese tutto. Nel nostro paese, ogni tanto in virtù di sterili sensi di colpa, diversi governi di diversi colori, hanno fatto partire appelli ai “cervelli d’Italia” perché tornino, ma a fare cosa? Forse ad assistere ad una strana interpretazione della meritocrazia, quella per dialettica negativa, dove è la cattiva azione a fare curriculum.
Giovanna Corsetti
Giornalista RAI della redazione di “Report”, ha collaborato con “Mixer” e “Maastricht-Italia”