Volevamo che i nostri cari fossero aiutati

Ciò che è accaduto negli anni successivi alll’approvazione della Legge 180 è chiaro a tutti: non si voleva attuarla. Evidentemente qualcuno ci perdeva, o vi erano interessi economici e politici che cozzavano con gli interessi della collettività, con il bene pubblico, con la “salute pubblica” Furono anni molto difficili perché i manicomi venivano “svuotati” selvaggiamente e nel territorio non nascevano nuovi servizi.
Le Linee di Indirizzo Nazionali per la Salute Mentale, emanate dal Ministero della Salute nel marzo scorso e approvate dalla Conferenza delle Regioni e delle Province Autonome, fanno proprie le indicazioni formulate dalla Conferenza di Helsinki e contenute nel Libro Verde della Commissione Europea. I due documenti pongono l’accento sulla validità etica e sull’efficacia dell’esperienza italiana. La nostra Legge 180, inglobata nella Legge di Riforma Sanitaria n° 833 del 1978, è infatti legge di grande civiltà, che ha avviato un percorso di trasformazione culturale e pratico dal quale è impensabile poter tornare indietro.

Non si tratta solo di “chiudere i manicomi”, ma di spostare l’attenzione dalla malattia alla persona sofferente, al suo contesto di vita, ai suoi bisogni, alla ripresa possibile. Il lungo e complesso processo sociale che ha portato all’approvazione della Legge di Riforma Sanitaria è stato possibile non solo grazie al movimento antistituzionale guidato da Franco Basaglia, ma anche alla partecipazione del movimento degli studenti, dei lavoratori, delle donne. I principi e gli obiettivi della Legge di Riforma, a trenta anni dalla sua promulgazione, non sono del tutto concretamente attuati, ma mantengono tutta la loro forza e validità, in quanto principi sanciti dalla nostra Carta Costituzionale. Oggi, a 60 anni dalla nostra Costituzione e 30 dalla Legge di Riforma Sanitaria, analizzare i progressi fatti con la dovuta obiettività, è doveroso e necessario.

L’istituzione del Servizio Sanitario Nazionale ha consentito l’accesso al diritto alla “tutela della salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività”. La tutela della salute fisica e psichica deve avvenire nel rispetto della dignità e della libertà della persona umana e il complesso delle funzioni, delle strutture e delle attività sono destinati alla promozione, al mantenimento e al recupero della salute fisica e psichica di tutta la popolazione, senza distinzione di condizioni individuali o sociali, assicurando l’uguaglianza dei cittadini.

Tra gli obiettivi d perseguire, la Legge di Riforma Sanitaria indica con chiarezza: “la tutela della salute mentale, privilegiando il momento preventivo e inserendo i servizi psichiatrici nei servizi sanitari generali in modo da eliminare ogni forma di discriminazione e di segregazione, pur nella specificità delle misure terapeutiche, e favorendo il recupero ed il reinserimento sociale delle persone colpite da sofferenza mentale”. Gli artt. 33, 34, 35, 64, 65, 66 affrontano specificatamente le questioni della salute mentale indicate dalle Legge 180, definendo percorsi e responsabilità istituzionali. Spetta alle Regioni disciplinare l’istituzione di servizi a struttura dipartimentale che svolgono funzioni preventive, curative e riabilitative relative alla salute mentale. Di norma, tali interventi sono attuati dai servizi e presidi territoriali non ospedalieri.

Ciò che è accaduto negli anni, subito dopo l’approvazione della Legge di Riforma Sanitaria, è chiaro a tutti: non si voleva attuarla.

Evidentemente, qualcuno ci perdeva. Vi erano interessi economici e politici che cozzavano con gli interessi della collettività, con il bene pubblico. Con la “Salute Pubblica”. Furono anni molto difficili perché i Manicomi venivano “svuotati” selvaggiamente e nel territorio non nascevano i nuovi servizi. I Manicomi venivano “alleggeriti” ma non chiusi e le condizioni di vita delle persone che ancora vi erano internate peggioravano vergognosamente. Ciò che stava accadendo era indegno di un Paese civile, come dimostrato dalle inchieste giornalistiche e parlamentari degli anni 80 e 90 (suggerisco la lettura di “Manicomio Italia” di Franco Stefanoni – Editori Riuniti). Qualcuno, pretestuosamente, attribuiva la responsabilità alla Legge 180, ma noi familiari sapevamo bene che così non era ed è da questo tentativo di strumentalizzazione che parte la storia del nostro movimento.

Noi non volevamo il manicomio. Volevamo per noi una “normalità di vita” che non costasse l’internamento dei nostri cari. Volevamo che fossero aiutati, che avessero le giuste cure, che potessero venir fuori da una situazione che pareva senza via d’uscita. E volevamo, così come indicava la Legge di Riforma Sanitaria, che nel “territorio” si sviluppassero i servizi, le “case famiglia”. Volevamo che i nostri cari non venissero “deportati” in altre regioni, lontani dalle loro case, dai loro affetti. Per noi, ciò che accadeva in alcuni luoghi simbolo, grazie allo straordinario lavoro portato avanti da coraggiosi e instancabili operatori della salute mentale (Trieste, Gorizia, Arezzo, Imola, Perugia, Modena, Reggio Emilia, Merano, Napoli, Pordenone, Ales, Torino, Mantova, Roma, e altri ancora) era la dimostrazione pratica che, se si voleva, la Legge di Riforma poteva essere applicata in tutto il Paese.

Era chiaro che quelle pratiche cambiavano la qualità della vita delle persone, che la sofferenza mentale era una condizione umana con la quale si poteva convivere, se adeguatamente sostenuti e compresi. Il nostro impegno è partito nelle nostre città, dalle nostre storie personali, dalla costruzione delle Associazioni quale strumento di partecipazione, di condivisione e crescita collettiva.

Nel 1986, le nostre prime Associazioni dei familiari (nove, sparse sul territorio nazionale), si costituiscono in Coordinamento Nazionale e promuovono in tutto il Paese un’intensa attività di partecipazione politica che coinvolge migliaia di famiglie. E’ svelato l’inganno. Sono chiare le inadempienze e le responsabilità istituzionali. Nel 1993, il Coordinamento promuove la nascita dell’Unione Nazionale delle Associazioni dei Familiari, che si sviluppa velocemente sull’intero territorio nazionale.

Il confronto istituzionale si fa più serrato e si sposta su più livelli. Le nostre proposte divengono più concrete e chiare. Partecipiamo alla Commissione Ministeriale per il superamento degli Ospedali Psichiatrici, ai lavori delle Commissioni Parlamentari, sosteniamo fortemente l’iter di approvazione dei Progetti Obiettivo Nazionali Salute Mentale. Sperimentiamo noi stessi percorsi concreti di “buone pratiche”, promuovendo piccole residenze, cooperative sociali, l’auto-aiuto, laboratori culturali, attività formativa, centri di ascolto… Si tratta dell’Organizzazione maggiormente rappresentativa delle famiglie Italiane, sia in termini di “storia”, sia in termini di rappresentanza effettiva: 160 Associazioni impegnate in 19 Regioni, oltre 15.000 famiglie associate. I rapporti internazionali si sviluppano con l’adesione all’EUFAMI (Organizzazione Europea delle Associazioni dei familiari), la collaborazione con l’Organizzazione Mondiale della Sanità e l’Associazione Mondiale di Riabilitazione Psicosociale (WAPR). Sollecitiamo l’attuazione di piani di intervento per la realizzazione dei servizi territoriali di salute mentale capaci di farsi carico della domanda di salute della comunità nelle 24 ore; il superamento degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari e di tutti i luoghi di internamento.

Oggi, nonostante l’impegno di tanti (operatori, amministratori, familiari, volontari, utenti dei servizi, cooperatori, sindacati), permangono delle situazioni assolutamente inaccettabili e in contrasto con le norme nazionali e comunitarie che abbiamo condiviso:
– Cliniche psichiatriche private che assorbono una quantità mostruosa di risorse pubbliche senza garantire esiti positivi;
– Una miriade di istituti e strutture residenziali fuori da qualunque controllo sulla qualità della vita delle persone che vi sono accolte e sull’efficacia degli interventi;
– Un numero elevato di Servizi Psichiatrici di Diagnosi e Cura in cui vengono violati i diritti umani (contenzione fisica, porte chiuse, elettroshock e forte contenimento farmacologico);
– Tanti servizi territoriali di salute mentale che faticano a garantire programmi di intervento che restituiscano speranza di guarigione alle persone con sofferenza mentale;
– Difficoltà oggettiva di tanti servizi di salute mentale a considerare “risorse” le persone e le famiglie nel processo della “presa in cura”. Questo si traduce in un intervento prevalentemente ambulatoriale/farmacologico che “scarica” sulla famiglia il peso maggiore dell’assistenza, compromettendo la possibilità di ripresa della persona.
– Non solo gli Ospedali Psichiatrici Giudiziari non sono stati superati ma, in alcuni, aumenta in maniera molto preoccupante il numero degli internati. C’è quindi ancora molto da fare e, riferendoci alle Linee di Indirizzo emanate dal Ministero della Salute, ci pare utile sottolineare un punto strategico: “Promuovere la salute mentale nella comunità: …In una società che presenta una maggiore domanda di salute mentale, l’intera collettività è chiamata a rispondere integrando politiche per la salute, per l’istruzione, per il lavoro, per la tutela sociale, per le pari opportunità e per il contrasto alla povertà ed all’emarginazione. La costruzione di un nuovo welfare di comunità non può non comprendere una politica di salute mentale integrata con tutte le altre politiche sociali e questo ad ogni livello istituzionale…Tutti i livelli della pubblica amministrazione e del mondo professionale sono coinvolti: ministeri, regioni, autonomie locali, aziende sanitarie, professionisti delle agenzie sanitarie e sociali del territorio, terzo settore, volontariato ed associazioni di utenti e familiari…Le regioni e le province autonome devono esplicitare come intendono realizzare gli obiettivi strategici richiesti dal presente piano nel triennio, attraverso un proprio Progetto Obiettivo, dal quale risultino evidenti sia le forme organizzative istituzionali della programmazione e della assistenza, sia il ruolo effettivo che le attività integrate di salute mentale dell’adulto e dell’infanzia hanno nei territori locali.

Tra le priorità individuate: centralità dei diritti sociali e di cittadinanza, in particolare quelli relativi alla cura delle persone affette da disturbi psichiatrici, in primo luogo da quelli più invalidanti, a sostegno di un approccio clinico non violento e non intrusivo, nella sfera della mente e del corpo, ma altamente responsabile sotto il profilo tecnico ed etico” E’ chiaro quanto sia determinante, in questo percorso di cambiamento e di trasformazione dei servizi, che i familiari e le persone che vivono l’esperienza della sofferenza mentale non abbassino il livello di guardia. Che si facciano parte attiva nel processo di cura, che conoscano quanto di importante sta avvenendo in tante parti del Paese (consiglio di visitare il sito www.formsalutementale.it), dove si privilegiano i percorsi di cura personalizzati, l’abitare assistito, il sostegno al lavoro, nel rispetto della dignità umana e nella libertà.

Gisella Trincas 
Presidente UNASAM
U.N.A.SA.M

Unione Nazionale delle Associazioni
per la Salute Mentale
Sede Legale c/o Istituzione G.F.Minguzzi Via Sant’Isaia, 90 – 40123 Bologna
tel. 051/524117 – fax 051/521268

 

Massimiliano Fanni Canelles

Viceprimario al reparto di Accettazione ed Emergenza dell'Ospedale ¨Franz Tappeiner¨di Merano nella Südtiroler Sanitätsbetrieb – Azienda sanitaria dell'Alto Adige – da giugno 2019. Attualmente in prima linea nella gestione clinica e nell'organizzazione per l'emergenza Coronavirus. In particolare responsabile del reparto di infettivi e semi – intensiva del Pronto Soccorso dell'ospedale di Merano. 

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