Fra psichiatria e psicologia

Coerentemente con  il rifiuto di una visione unitaria della disciplina psicologica, Gian Franco Minguzzi, psichiatra, percettologo, docente di psicologia, segretario di Psichiatria Democratica e “co-pensatore” della Legge 180, aveva rifiutato, all’inizio degli anni ’80 di aderire al costituendo Dipartimento di Psicologia dell’Ateneo bolognese nel quale insegnava, preferendo afferire, e motivando la scelta in più di una occasione, per quel che riguardava la sua attività di ricerca accademica, al Dipartimento di Filosofia del medesimo Ateneo.

Tra la disciplina (psicologia) e coloro che la praticano (psicologi) si gioca infatti da tempo una storia difficile di ruoli, identità, appartenenze e funzioni a tutt’oggi irrisolta e tutto sommato molto attuale nel panorama culturale italiano ed europeo. Fare psicologia non coincide necessariamente con l’essere psicologi e non tutti gli psicologi, infatti, sono iscritti all’Ordine degli psicologi istituito soltanto  con la Legge n° 56 del 18 febbraio 1989 più di 10 anni dopo quindi dell’approvazione della legge di riforma psichiatrica. Scriveva nel 1984 con il preciso intento di mantenere vivace un dibattito già iniziato negli anni  Gian Franco Minguzzi “ chi sono queste persone il cui ruolo professionale è nuovo per l’Italia? Quali sono i loro compiti? Quali i loro problemi?  Trenta anni fa, quando si lavorava negli Ospedali Psichiatrici e si concordava nella necessità di modificare le modalità di trattamento del disagio psichico, più figure si adoperavano nella riflessione del come ciò avrebbe potuto essere possibile: erano laureati in medicina, filosofia, sociologia, erano infermieri, assistenti, figure professionali molto sfaccettate quelle che hanno portato un contributo diretto alla riforma e alla pratica successiva del lavoro di équipe nei servizi di Salute Mentale. Essi hanno rivestito un ruolo “nuovo” e rivestono un ruolo particolare nella mappa dei ruoli della macchina organizzativa riferita al disagio psichico.

Nel  manicomio degli anni ‘70 non esistevano psicologi ma solo medici psichiatri, infermieri psichiatrici, inservienti, pazienti. E non è un caso pertanto che molti psichiatri abbiano scelto in quegli anni di non praticare una professione ricca di soli contenuti biologici per scegliere invece un approccio anche di comunicazione e di parola, orientato sulla storia del paziente, le sue relazioni nella famiglia e nel contesto sociale. Una figura di psichiatra di comunità attento oggi allo sviluppo di reti sociali che rispondono al bisogno di costruire nuovi percorsi di socialità, in linea proprio con i punti fermi sanciti dalla Legge 180. Una figura di esperto che interpretando quelle forme di disagio diffuso che poco avevano a che fare con la sola patologia psichiatrica organizza insieme alle equipe multiprofessionali azioni finalizzate a prevenire forme di disagio severo e promuovere salute.  Sono molti oggi gli psicologi che hanno incominciato a fare pratica, parola assai nota ai promotori del cambiamento, sul territorio accanto ai famigliari e ai pazienti che dovevano reinventarsi  un modo altro di convivere con la propria sofferenza, sia essa diretta  come portatori di disagio o come famigliari di sofferenti psichiatrici.

In questi 30 anni, al di fuori delle mura psichiatriche, attraverso percorsi di ricerca, finanziati fino a pochi anni fa dagli organi competenti (CNR, OMS, Ministero della Ricerca, ecc) , sono state progettate e ricercate  azioni finalizzate a rispondere ai bisogni dei gruppi e degli individui impegnandosi su campi ancora oggi fondamentali quali la dialettica che si instaura fra partecipazione e gestione sociale nell’ambito della salute mentale con ricerche sulla rappresentazione sociale del malato e della malattia mentale, la valutazione della qualità dei servizi di psicoterapia nel pubblico e nel privato, le modalità di manifestazioni e funzionamento dei comportamenti umani, mantendo alta l’attenzione sui rischi sottesi alla mancanza di riflessisone  sui confini che esistono fra intervento sociale e sanitario, sul senso della prevenzione, sulle nuove forme di manifestazione di disagio psichico, sulle modalità attuali di inclusione ed esclusione sociale, sul significato di promozione della salute, ecc Accanto a questa figura di psicologo che lavora oggi in accordo con le altre figure professionali e risorse umane impegnate nei Dipartimenti di Salute Mentale per progettrare e realizzare progetti di intervento nell’ambito della Salute Mentale non va dimenticato lo psicologo “ricercatore di base”, lo psicologo attento allo studio dei processi mentali, lo psicologo che fa pratica clinica e verifica contestualmente, alla luce dei contributi più recenti nell’ambito della cognizione, dei processi mentali, delle neuroscienze nuove forme di sapere rivolte ad una migliore conoscenza dei comportamenti umani ed un loro trattamento lì dove questi divessero essere fonte di disagio.

Silvana Contento
Presidente Istituzione Gian Franco Minguzzi

Massimiliano Fanni Canelles

Viceprimario al reparto di Accettazione ed Emergenza dell'Ospedale ¨Franz Tappeiner¨di Merano nella Südtiroler Sanitätsbetrieb – Azienda sanitaria dell'Alto Adige – da giugno 2019. Attualmente in prima linea nella gestione clinica e nell'organizzazione per l'emergenza Coronavirus. In particolare responsabile del reparto di infettivi e semi – intensiva del Pronto Soccorso dell'ospedale di Merano. 

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