A cosa servono oggi i “ludica”

“Li chiamavano ludica (manicomi) fino a qualche anno fa e qualcuno li chiama ancora così. Ma noi no. A noi non piace questo nome: qui dentro non ci sono ludi (matti), ma persone. Miša Glavonjić è di Belgrado, è medico psichiatra e uno dei responsabili del centro di salute mentale Laza La zarevic, è uno dei testimoni diretti della grande transizione che sta vivendo il suo paese, la Serbia, in questi ultimi anni: cambiamenti istituzionali, politici, economici. Ma anche e soprattutto cambiamenti sociali. Se ne accorge proprio dal suo lavoro, al centro di salute mentale di Belgrado. “Questo centro esiste da 145 anni, prova solo a immaginare quanto il nostro mondo e il nostro paese è cambiato da allora. E anche i pazienti del Laza sono cambiati”. Molti studi, infatti, concordano su una cosa: ci sono degli elementi sociali, i cosiddetti fattori di vulnerabilità, che possono rendere più ampio e diffuso il fenomeno del disagio mentale.

La sofferenza psichica, cioè, cresce notevolmente quando sono messe in discussione le basi della propria identità culturale, quando si perde lo status precedente, quando il supporto sociale è assente o inadeguato, quando si è costretti forzatamente a migrare, se si devono affrontare gravi lutti. E’ facile allora capire perché il problema del disagio mentale sia così diffuso in un paese come la Serbia. Sono proprio gli avvenimenti capitati a questo paese negli ultimi 15 anni ad esasperare i suoi “fattori di vulnerabilità”: il collasso di un intero sistema politico ed economico, l’esplosione della conflittualità etnica, le vittime della guerra, le migliaia di profughi e di rifugiati, la debolezza del nuovo Stato e delle sue strutture, l’indebolimento delle reti parentali e sociali.

Con Miša lavora anche Dragana Stanković, psicologa specializzata. “Quello che più colpisce noi operatori dei centri di salute mentale è l’onda lunga della tensione degli anni scorsi, e quanto questa stia influenzando la vita della gente comune. Paradossalmente, c’erano meno pazienti ricoverati al Laza quando c’erano guerre in tutti i Balcani: la gente era più attiva, pensava a come sopravvivere. Oggi invece tutto è depresso, tutto è apatico”. Questa apatia generalizzata ha un duplice effetto: da un lato la mancanza di sostegno (istituzionale, sociale, familiare) alle fasce più deboli ha aumentato il numero delle persone da ricoverare ed ha accentuato lo stato di indigenza e solitudine di chi ricoverato lo era già. Dall’altro, sono crollate le motivazioni professionali di operatori e infermieri, che si sentono abbandonati proprio come i loro pazienti.

“Oramai agli ospedali psichiatrici si rivolgono tutti coloro che hanno problemi di povertà economica, relazionale o sociale”, continua Dragana. Ed anche le statistiche supportano questa considerazione: si calcola che all’interno delle strutture manicomiali della Serbia almeno il 25% dei ricoverati non presenti patologie che ne giustifichino il ricovero (in alcuni casi si arriva addirittura al 45%). Gli ospedali psichiatrici sono dei “recipienti per rifiuti” della società.

Con l’obiettivo di diffondere un modello organizzativo nuovo e sostenibile a livello nazionale, regionale e locale, è nato un anno fa il Centro di salute mentale Medijana a Niš, nel sud della Serbia. Il progetto, fortemente sostenuto da Caritas Italiana e da Caritas Serbia e Montenegro, nasce come vera e propria opera-segno: un nuovo modo di affrontare la tematica della salute mentale, dove il paziente viene trattato non solo dal punto vista medico, ma anche personale. E’ un modello nuovo per il paese, poiché le forme di trattamento sono tutte alternative al tradizionale ricovero ospedaliero. Ed è l’intera comunità sociale a venire responsabilizzata nella cura dei suoi elementi più deboli.

Approdo finale di questo cammino comune tra pazienti, operatori e comunità dovrebbe essere il reinserimento del paziente stesso nel suo ambiente familiare, sociale e lavorativo: il Medijana vuole dimostrare che i centri di salute mentale devono essere un luogo di passaggio e una sistemazione provvisoria, non un punto di approdo ed una sistemazione definitiva.

Grazie alla spinta data dagli incontri, organizzati da Caritas Italiana tra leader politici, direttori e medici dei centri psichiatrici di tutta la Serbia, è stata creata presso il Ministero della Salute una Commissione Nazionale per la Salute Mentale: operatori del settore e uomini delle istituzioni stanno provando a rimuovere gli ostacoli alla crescita di esperienze così positive, creando un fertile terreno legislativo e sociale per affrontare i problemi della salute mentale.

Le premesse buone sembrano dunque esserci tutte: società civile, medici e istituzioni che remano nella stessa direzione per aiutare nella maniera migliore chi è più debole ed emarginato socialmente. Perdere un’occasione del genere sarebbe da manicomio.

Daniele Bombardi
Coordinatore progetti di Caritas Italiana in Serbia e Bosnia Erzegovina

Massimiliano Fanni Canelles

Viceprimario al reparto di Accettazione ed Emergenza dell'Ospedale ¨Franz Tappeiner¨di Merano nella Südtiroler Sanitätsbetrieb – Azienda sanitaria dell'Alto Adige – da giugno 2019. Attualmente in prima linea nella gestione clinica e nell'organizzazione per l'emergenza Coronavirus. In particolare responsabile del reparto di infettivi e semi – intensiva del Pronto Soccorso dell'ospedale di Merano. 

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